«Spesso il male di vivere ho incontrato». Queste celebri parole di E. Montale mostrano la perenne attualità dell’accidia: un velo opaco che rende ogni cosa insopportabile e fa sentire spenti, vuoti, senza energie; oppure, all’opposto, risulta impossibile fermarsi, restare in silenzio senza qualcosa da compiere e a cui pensare. «Accidia» significa letteralmente la debolezza dell’anima, che si manifesta come assenza di attrazione, di desiderio di vivere, perché considerata priva di senso.
mese di novembre, dedicato al ricordo dei defunti, si apre sul panorama delle realtà «invisibili» che noi professiamo nel Credo. Quest’anno la solennità di Cristo Re chiude «l’Anno della fede» indetto da Papa Benedetto nel ricordo del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. In questa stagione la nostra fede ci invita a riflettere che il tramonto della nostra esistenza non è destinato a una notte senza alba, ma sfocia in una calda luce: un’aurora che non conoscerà tramonto. Nella stesura di questo «confidenziale» mi hanno incoraggiato e aperto a una maggior fiducia le parole del cardinal Ersilio Tonini, morto tre mesi fa alla vigilia dei cento anni. Questo comunicatore ha lasciato scritto: «La morte è l’evento che mi ha accompagnato fin da ragazzo, particolarmente negli anni pieni di giovinezza. Fu un tema amato, frequentato, come scuola di libertà, di sapienza e di speranza».
«Nella mia esperienza personale di Dio non posso prescindere dal cammino - ha detto papa Francesco –; Dio lo si trova mentre si cammina: noi cerchiamo Lui e Lui si fa trovare da noi». Da sempre la direzione del cammino è segnata dal desiderio, infatti, Gesù dice che il nostro cuore è orientato là dove sta il nostro amore, l’anima della vita.
A Natale siamo tutti in cammino con i pastori per un rinnovato stupore: Dio si fa bambino! Dopo secoli di attesa, Dio decide di rinnovare la creazione facendosi uno di noi. Nel cuore di quella notte Maria e Giuseppe udirono un vagito: era la voce stessa di Dio tra noi. Fu la prima sillaba ancora incomprensibile della Parola “divina”. I pastori, persone semplici, che hanno nelle ossa l’eco della sofferenza dei poveri, avvertono questa singolare e misteriosa presenza e si mettono in cammino.
«È una legge generale del nostro esistere che noi viviamo in avanti e comprendiamo all’indietro». Questa frase di Jean Guitton mi aiuta ad avviare la riflessione sul nuovo anno che stiamo iniziando con tanta speranza.
Questa grande voglia di «vivere in avanti» non deve farci calpestare il passato, cancellando la memoria di volti raggianti di luce. La memoria serve a investire il futuro avendo sulle spalle il capitale dell’esperienza, infatti, «il vivere in avanti» ci fa scoprire che tutte le persone incontrate, gli avvenimenti ci hanno offerto scintille di luce per allargare la visione sulla vita.
All’inizio del nuovo anno mi piace coltivare nei sentimenti l’immagine di un contadino, in mezzo ad un campo arato di fresco, mentre spande con le robuste mani semi di futuro, i semi della speranza: speranza di vita, di benessere fisico e spirituale, speranza di amare e di essere amati.
Nella letteratura religiosa c’è un libro classico che ha aiuto tante anime a trovare il volto di Dio, è il «Diario di un pellegrino russo». Il protagonista è per l'appunto un pellegrino che attraversa l'Ucraina e la Russia portando nella sua bisaccia solo pane secco e la Bibbia. Questo pellegrino partecipando a una messa è rimasto colpito dall'esortazione di San Paolo a «pregare incessantemente». Inesperto si mette alla ricerca di chi gli insegni come fare a vivere la vita di ogni giorno e contemporaneamente avere la propria mente continuamente rivolta a Dio in preghiera. Incontra, infine, uno «starec», un padre spirituale, che gli insegna la cosiddetta preghiera di Gesù, cioè la «preghiera del cuore» che consiste nella ripetizione, come una litania, di questa espressione: «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore».
Il pellegrino intraprende il suo viaggio e, alla sua costante preghiera a forma di litania, aggiunge la sua personale esperienza e quella di qualificati testimoni di fede che incontra lungo il viaggio. Lo scopo del pellegrinaggio è quello d’imparare a pregare così da incontrare Gesù, il maestro, «la via, la verità e la vita».
La nostra vita è ritmata sullo scorrere del tempo, è scandita da cicli o ricorrenze annuali, mensili, settimanali, quotidiani. Eppure se ci si ferma a pensare che cos’è il tempo, anche noi dobbiamo confessare con sant’Agostino: «Che cosa è, dunque, il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so», e continua dicendo che il tempo è un vero mistero. Di esso noi tutti facciamo esperienza, eppure il passato non è più, ma vive solo nella memoria; il futuro non è ancora e vive solo nell’attesa; soltanto l’istante presente esiste, ma subito diventa passato… Pure san Benedetto nella sua Regola esorta a compiere all’istante ciò che vale per l’eternità.
Anniversari, ricorrenze, celebrazioni. è un ricordare che fa bene, rinnova impegno e aspirazioni? O si riduce a manie nostalgiche, a un vantarsi più o meno velato di un passato reso glorioso da altri?
L’essere umano ha l’istinto di avere un occhio al passato, per sapere come vivere meglio il presente e programmare un futuro costruttivo. è la saggezza dell’esperienza: vicende e modi di fare di ieri fanno da ispiratori provvidenziali al buon vivere di oggi.
Ricorrenze e celebrazioni sono memorie condivise. Il bisogno istintivo di ricordare induce a unirsi e concentrare le attenzioni su un fatto particolare, su una persona o su una realtà del passato, meritevoli di averli sott’occhio e lasciarsene influenzare ancora. L’aspetto formalizzato e pubblico del celebrare accentua le risonanze, con impatti moltiplicati da scambi e suggestioni condivise.
L’ostensione del quadro
della Madonna
«Salus popoli romani»
Caro direttore,
nel settembre scorso ho assistito e partecipato alla televisione alla veglia di preghiera e digiuno indetto da papa Francesco per invocare la pace. Ho visto anche la solenne ostensione dell’icona autentica della «Salus Populi Romani».
Le chiedo: che senso poteva avere l’ostensione di questa icona, posta accanto all’altare e al Santissimo Sacramento con un papa Francesco quasi costantemente genuflesso?
Per molti oggi questa «Parola» di Dio cade nel vuoto. Troppe volte Dio non fa più parte delle nostre abitudini. L’ateismo non è più soltanto il problema di pochi. «Dio non serve a niente», è l’obiezione più facile. In effetti, Dio non esiste per «servire» a qualche cosa, come molti ancora pensano; Dio non è il medico dei casi disperati, né un’agenzia di assicurazioni con dei pegni pagati con giaculatorie o pellegrinaggi, né un alibi per spiegare quello che l’uomo non capisce o ancora non riesce a fare.
Credere in un Dio così, è sedere nell’anticamera dell’ateismo.
Non è semplice fare un’analisi del complesso problema dell’irreligiosità moderna. Alla base del fenomeno dell’ateismo e dello scetticismo religioso c’è spesso l’ignoranza dell’autentico messaggio cristiano. Per questo la Chiesa ha teso la mano agli atei anche con l’Esortazione «La gioia dell’evangelo».
Nati e vissuti nella fede della Chiesa, i cristiani hanno bisogno di riscoprire la grandezza e le esigenze della vocazione battesimale. è paradossale che il battesimo, il quale fa dell’uomo un membro vivo del Corpo di Cristo, non abbia molto posto nella coscienza esplicita del cristiano e che la maggior parte dei fedeli non sentano l’ingresso nella Chiesa attraverso l’iniziazione battesimale come il momento decisivo della loro vita.
Il battesimo dato a noi nel nome di Cristo è manifestazione del preveniente amore del Padre, partecipazione al mistero pasquale del Figlio, comunicazione di una nuova vita nello Spirito; esso ci pone dunque in comunione con Dio, ci integra nella sua Famiglia; è un passaggio dalla solidarietà nel peccato alla solidarietà nell’amore.
L’uomo moderno sembra davvero convinto di essere padrone del suo destino. L’uomo e la donna oggi hanno sostituito la speranza teologale con una speranza umana e terrena.
Oggi, però, si accorgono di avere avuto troppa fretta nel proclamare la loro completa autonomia e nel gridare che Dio non c’è, o è inutile. L’ubriacatura del progresso ha reso l’uomo cieco di fronte a questi squilibri che esistono nel mondo e ai fenomeni nuovi, preoccupanti nella loro stessa novità. L’esperienza scottante di due guerre mondiali, i campi di sterminio, le paurose devastazioni delle bombe atomiche, lo squilibrio prodotto nell’ecologia, l’inquinamento atmosferico, le fosche e apocalittiche visioni dei futurologi, gli ripropongono il problema di una «salvezza» che ha dimensioni più vaste e più profonde.
La luce è uno dei bisogni primordiali dell’uomo. Essa non è solo un elemento necessario alla sua vita, ma quasi l’immagine della vita stessa. Questo ha influito profondamente sul linguaggio, per cui «vedere la luce», «venire alla luce» significa nascere, «vedere la luce del sole» è sinonimo di vivere.
Al contrario, quando un uomo muore, si dice che si è «spento», che «ha chiuso gli occhi alla luce». La Bibbia usa questa parola come simbolo di salvezza. Il salmo responsoriale pone la luce in stretto rapporto con la salvezza, mostrandone l’equivalenza: «Il Signore è mia luce e mia salvezza».
«Dio è luce e in lui non ci sono tenebre». Egli «abita una luce inaccessibile». In Gesù la luce di Dio viene a risplendere sulla terra: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». «Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre».
Riferendosi a Giuseppe Lazzati, il cardinale Dionigi Tettamanzi riteneva che nella situazione odierna la Chiesa e la società avessero bisogno “di lasciarsi interpellare dalla sua testimonianza e riflettere sull’esempio che un fedele laico come lui è stato e ha voluto essere”.
Chi lo ha conosciuto lo descrive signorile nel tratto, senza però che le persone semplici provassero soggezione o titubanza nel trattare con lui. Il senso dell’amicizia lo rendeva attento ai bisogni altrui, così da rendersi anche presente agli avvenimenti lieti o tristi di quanti conosceva: cose, se si vuole, semplici e quotidiane, come una telefonata, un biglietto di auguri, il parlare “meneghino” nel dialogo con qualcuno che si esprimeva meglio in dialetto. Viveva quanto afferma la recente enciclica di papa Francesco sulla fede: “Il credente non è arrogante, al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi è essa che ci abbraccia e ci possiede”.