All’indomani della sua elezione, papa Francesco ha celebrato l’Eucaristia con tutti i cardinali. Durante l'omelia, dopo aver denunciato la tentazione che fu di San Pietro di seguire Gesù con criteri della logica umana, ha terminato dicendo: «Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore. Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia - ha continuato papa Francesco -, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare alla presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti».
In più di un secolo (dal 1907, con alcuni periodi di interruzione) i cattolici italiani hanno mostrato, in questi appuntamenti che vedono raccolti i delegati scelti in tutte le diocesi italiane (quest’anno sono oltre 1300), tutta la loro premura e il contributo effettivo da loro portato alla società italiana: una collaborazione imprescindibile, che ha fatto da trama e da fondamento alla nostra società. E la famiglia? C’entra, eccome, perché il bene della famiglia semplicemente combacia con quello comune, perché la salute della società coincide con quella della famiglia.
La disgregazione della propria famiglia è spesso vissuta come l’esperienza personale in assoluto più dolorosa e lacerante. Eppure, la rappresentazione del dramma della separazione subisce una distorsione: da un lato è banalizzata e mercificata, dall’altro ne vengono amplificati gli aspetti dolorosi, in una visione senza speranza. Il disorientamento e lo scoraggiamento possono cogliere la persona separata, alimentando la sensazione di un’ingiusta esclusione nella comunità dei cristiani.
I parroci lo sanno molto bene: in tempo di esami e di interrogazioni il consumo di lumini in chiesa aumenta esponenzialmente e non è difficili incontrare tra i banchi della chiesa ragazzi che non si vedevano dai tempi della Prima Comunione. Bisogna ammettere infatti che la preghiera “perché mi vada bene il compito in classe” o “perché mio nipote sia promosso” sono tra le più gettonate. E, obiettivamente, al di là dell’affetto che dimostrano verso i nipoti, per cui si desidera sempre il meglio, tra le più insensate.
Forse ai tempi in cui si credeva al potere magico di certi gesti, luoghi o parole, si poteva anche pensare di portare Dio dalla nostra parte, di sperare in un Suo favore, di comprarLo con qualche offerta o sacrificio. Ma il cristianesimo ha spazzato via tutto questo e la croce di Gesù ha rivelato un volto di Dio completamente diverso, un Dio che non si compra ma che si offre, che non risolve magicamente i problemi ma se li carica sulle sue spalle. Non dobbiamo dunque aver paura di ricordare ai ragazzi (e a noi stessi!) che a scuola si è promossi solo se si studia e che interrogazioni e compiti in classe vanno bene solo se si lavora con passione e disciplina; scorciatoie pseudo religiose non esistono!
Uno degli scopi principali delle vacanze è quello di cambiare il ritmo delle giornate, per trovare tempi di riposo e fare cose che normalmente la vita quotidiana non permettono, a partire da uno stare insieme in famiglia più disteso e rilassato. Insieme all’orario giornaliero, alla residenza, alle compagnie e ai menù, anche la preghiera può cambiare durante le vacanze, anzi tale mutamento costituisce un arricchimento fecondo che merita di essere gustato fino in fondo.
di Andrea Ciucci
Poi, a un certo punto, bisogna fare i conti con la morte. Talvolta è quella quasi naturale di un nonno molto anziano che chiude gli occhi dopo una vita intensa, attorniato da figli e nipoti, e la cosa è appena più sopportabile. Altre volte invece è una morte tragica: una malattia, un incidente, dove spesso i defunti sono giovani, ragazzi, madri e padri, addirittura bambini, e qui lo strazio è infinito. Le parole vengono a mancare, si vorrebbe stare soli, tutto e tutti risultano fastidiosi. Eppure, questo è proprio il momento in cui la preghiera in famiglia diventa particolarmente importante e significativa.
Mancano poco più di quattro mesi alla conclusione dell’«Anno della fede», il 24 novembre con la solennità di Cristo Re. A quel traguardo dovremmo arrivare rigenerati, con maggior entusiasmo e generosità, abilitati a offrire un sapore di eternità al nostro tempo, a volte anemico, demotivato e stanco.
Papa Francesco in questi mesi ha ripetuto spesso che «alla Chiesa non servono cristiani da salotto» ma gente capace di arrivare alle periferie della nostra società negli accampamenti dei poveri.
Ai preti ha suggerito di apprezzare «l’odore delle pecore» stando in mezzo alla gente; ai cristiani ha suggerito di non accontentarsi di vivere una vita da credenti part-time, ma a tempo pieno. La vita buona ha le radici nel cuore di una fede praticata nella carità. Nell’indire l’Anno della Fede, papa Benedetto ha scritto: «La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cammino». È costante la voce di Gesù che suggerisce alla nostra coscienza: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».
Il senso di questa pagina stupenda del vangelo di Giovanni è che non siamo più sotto la legge, simboleggiata dalle sei giare di pietra per le purificazioni dei Giudei, ma sotto la grazia, cioè nell’impero dell’amore: Cristo infatti è il vero sposo, colui che ci regala la dote della giustizia e della fedeltà, ci dona quel che ci manca, e che la legge non può che denunciare. E così i nostri cuori cessano di essere cuori di pietra, proprio come le giare, e possono diventare cuori di carne, cuori cioè mossi dallo Spirito, dall’amore, e non dal timore e dalla legge: così San Paolo ci dice che non abbiamo ricevuto uno Spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma uno Spirito da figli, per mezzo del quale gridiamo “abbà, Padre”.
Mentre ripercorriamo con le labbra le dieci “Ave Maria”, seguiamo con gli occhi del cuore della Tuttasanta questo mistero, che segna l’inizio della vita pubblica di Gesù. Lo contempliamo insieme a quella folla dolente di peccatori, di tribolati, di “mendicanti di Dio”, che si reca a farsi battezzare: Gesù non ha bisogno di un battesimo, ma viene Lui a battezzarci nella potenza dello Spirito Santo; Egli cioè scende nelle acque perché quelle ricevano il suo Spirito, perché possano dunque rendere efficace il battesimo che noi stessi abbiamo ricevuto, che è un essere sepolti con Lui per risorgere con Lui. Egli dunque si immerge nelle acque perché noi potessimo essere immersi in Lui; egli si rende partecipe della povertà della nostra umanità perché tutti noi potessimo essere resi partecipi della sua ricchezza di Figlio di Dio. Dalla sua pienezza, infatti, noi tutti abbiamo ricevuto.
Come tutti sanno, il Rosario è una preghiera molto comune; tuttavia, come tutte le cose comuni, deve probabilmente essere scoperta ancora da molti, e riscoperta da chi già la frequenta, perché l’uso abitua a tutto, e logora il significato delle cose anche più belle. Ci proponiamo dunque di riflettere, all’inizio di questo mese di ottobre, su come possiamo meglio pregare con questa devozione così antica e diffusa, per poterne più trarre frutto.