Per seguire, in un percorso storico-artistico, le tracce della diffusione del Cristianesimo a Roma, iniziamo dal primo dato storicamente incontrovertibile, il principato di Ottaviano Augusto sotto il quale, “toto orbe in pace composito”, come si legge nel Martyrologium Romanum, ebbe luogo il censimento in tutto l’Impero.
A tale censimento non si sottrasse neppure Giuseppe della stirpe di Davide, che si recò a tal fine a Nazareth con la sposa in attesa di un figlio… Il resto della storia è noto. E’ da sottolineare che il censimento di tutti i popoli soggetti a Roma avveniva con la ritrovata pace, infatti Ottaviano era giunto al potere dopo anni di guerra civile scatenata dall’uccisione di Giulio Cesare.
La celebre battaglia navale di Azio, in cui Ottaviano aveva sconfitto Antonio, l’ultimo suo antagonista alleatosi con Cleopatra dei Tolomei d’Egitto, aveva decretato la fine della guerra. E da quel 31 a.C., per gli storici, termina l’Ellenismo, cioè la supremazia linguistico culturale della Grecia, ed inizia l’Età romana. Ottaviano riconquistato stabilmente il potere si pose al riordino dell’Impero ed al riassetto urbanistico di Roma. Con una certa enfasi non priva di verità egli disse che aveva trovato una città di mattoni e l’aveva restituita in marmo.
Rullo SIR -Servizio Informazione Religiosa
Per seguire, in un percorso storico-artistico, le tracce della diffusione del Cristianesimo a Roma, iniziamo dal primo dato storicamente incontrovertibile, il principato di Ottaviano Augusto sotto il quale, “toto orbe in pace composito”, come si legge nel Martyrologium Romanum, ebbe luogo il censimento in tutto l’Impero.
A tale censimento non si sottrasse neppure Giuseppe della stirpe di Davide, che si recò a tal fine a Nazareth con la sposa in attesa di un figlio… Il resto della storia è noto. E’ da sottolineare che il censimento di tutti i popoli soggetti a Roma avveniva con la ritrovata pace, infatti Ottaviano era giunto al potere dopo anni di guerra civile scatenata dall’uccisione di Giulio Cesare.
La celebre battaglia navale di Azio, in cui Ottaviano aveva sconfitto Antonio, l’ultimo suo antagonista alleatosi con Cleopatra dei Tolomei d’Egitto, aveva decretato la fine della guerra. E da quel 31 a.C., per gli storici, termina l’Ellenismo, cioè la supremazia linguistico culturale della Grecia, ed inizia l’Età romana. Ottaviano riconquistato stabilmente il potere si pose al riordino dell’Impero ed al riassetto urbanistico di Roma. Con una certa enfasi non priva di verità egli disse che aveva trovato una città di mattoni e l’aveva restituita in marmo.
«Ifigli sono la pupilla dei nostri occhi [...] Che ne sarà di noi se non ci prendiamo cura dei nostri occhi? Come potremo andare avanti?», così Papa Francesco all’apertura della Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile. Quest’anno 2014, la Conferenza episcopale italiana per la Giornata della Vita ha lanciato un messaggio con questo slogan: «Generare futuro». Il futuro è nei desideri di tutti perché ogni figlio è l’apparizione tra noi del volto del Signore «amante della vita» e sorgente di ogni futuro. Questa volontà di futuro è coltivata anche all’ombra della nostra basilica di San Giuseppe. Nel mese di giugno dello scorso anno la parrocchia di San Giuseppe al Trionfale ha inaugurato un Centro di ascolto e di aiuto alla vita nascente. In questa comunità ecclesiale è stato affidato a San Giuseppe il compito di essere il custode della vita dal momento della nascita al suo naturale partorire nell’abbraccio misericordioso di Dio per l’eternità.
Riferendosi a Giuseppe Lazzati, il cardinale Dionigi Tettamanzi riteneva che nella situazione odierna la Chiesa e la società avessero bisogno “di lasciarsi interpellare dalla sua testimonianza e riflettere sull’esempio che un fedele laico come lui è stato e ha voluto essere”.
Chi lo ha conosciuto lo descrive signorile nel tratto, senza però che le persone semplici provassero soggezione o titubanza nel trattare con lui. Il senso dell’amicizia lo rendeva attento ai bisogni altrui, così da rendersi anche presente agli avvenimenti lieti o tristi di quanti conosceva: cose, se si vuole, semplici e quotidiane, come una telefonata, un biglietto di auguri, il parlare “meneghino” nel dialogo con qualcuno che si esprimeva meglio in dialetto. Viveva quanto afferma la recente enciclica di papa Francesco sulla fede: “Il credente non è arrogante, al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi è essa che ci abbraccia e ci possiede”.
Per molti oggi questa «Parola» di Dio cade nel vuoto. Troppe volte Dio non fa più parte delle nostre abitudini. L’ateismo non è più soltanto il problema di pochi. «Dio non serve a niente», è l’obiezione più facile. In effetti, Dio non esiste per «servire» a qualche cosa, come molti ancora pensano; Dio non è il medico dei casi disperati, né un’agenzia di assicurazioni con dei pegni pagati con giaculatorie o pellegrinaggi, né un alibi per spiegare quello che l’uomo non capisce o ancora non riesce a fare.
Credere in un Dio così, è sedere nell’anticamera dell’ateismo.
Non è semplice fare un’analisi del complesso problema dell’irreligiosità moderna. Alla base del fenomeno dell’ateismo e dello scetticismo religioso c’è spesso l’ignoranza dell’autentico messaggio cristiano. Per questo la Chiesa ha teso la mano agli atei anche con l’Esortazione «La gioia dell’evangelo».
Nati e vissuti nella fede della Chiesa, i cristiani hanno bisogno di riscoprire la grandezza e le esigenze della vocazione battesimale. è paradossale che il battesimo, il quale fa dell’uomo un membro vivo del Corpo di Cristo, non abbia molto posto nella coscienza esplicita del cristiano e che la maggior parte dei fedeli non sentano l’ingresso nella Chiesa attraverso l’iniziazione battesimale come il momento decisivo della loro vita.
Il battesimo dato a noi nel nome di Cristo è manifestazione del preveniente amore del Padre, partecipazione al mistero pasquale del Figlio, comunicazione di una nuova vita nello Spirito; esso ci pone dunque in comunione con Dio, ci integra nella sua Famiglia; è un passaggio dalla solidarietà nel peccato alla solidarietà nell’amore.
L’uomo moderno sembra davvero convinto di essere padrone del suo destino. L’uomo e la donna oggi hanno sostituito la speranza teologale con una speranza umana e terrena.
Oggi, però, si accorgono di avere avuto troppa fretta nel proclamare la loro completa autonomia e nel gridare che Dio non c’è, o è inutile. L’ubriacatura del progresso ha reso l’uomo cieco di fronte a questi squilibri che esistono nel mondo e ai fenomeni nuovi, preoccupanti nella loro stessa novità. L’esperienza scottante di due guerre mondiali, i campi di sterminio, le paurose devastazioni delle bombe atomiche, lo squilibrio prodotto nell’ecologia, l’inquinamento atmosferico, le fosche e apocalittiche visioni dei futurologi, gli ripropongono il problema di una «salvezza» che ha dimensioni più vaste e più profonde.
La luce è uno dei bisogni primordiali dell’uomo. Essa non è solo un elemento necessario alla sua vita, ma quasi l’immagine della vita stessa. Questo ha influito profondamente sul linguaggio, per cui «vedere la luce», «venire alla luce» significa nascere, «vedere la luce del sole» è sinonimo di vivere.
Al contrario, quando un uomo muore, si dice che si è «spento», che «ha chiuso gli occhi alla luce». La Bibbia usa questa parola come simbolo di salvezza. Il salmo responsoriale pone la luce in stretto rapporto con la salvezza, mostrandone l’equivalenza: «Il Signore è mia luce e mia salvezza».
«Dio è luce e in lui non ci sono tenebre». Egli «abita una luce inaccessibile». In Gesù la luce di Dio viene a risplendere sulla terra: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». «Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre».
di Gianni Gennari
Ancora sul “Credo”. Dopo la Resurrezione l’Ascensione del Signore Gesù “alla destra del Padre”. La volta scorsa sulla “missione”, che è appunto prima conseguenza dell’Ascensione: il Signore Gesù, Figlio di Dio, Dio stesso e figlio di Maria, crocifisso morto e risorto fa sì che i suoi discepoli, testimoni della sua resurrezione “vedano” anche il suo ritorno al Padre, manifestato nel modo appropriato del suo tempo: Dio “nell’alto dei cieli”. Ecco perciò: “Quello che abbiamo visto con i nostri occhi”, per ricordare il testo della Prima Lettera di San Giovanni, si arricchisce dell’ultima “visione” vera e propria. è l’immagine, raccontata da loro stessi, della “salita” al Cielo di Lui che nello stesso momento affida loro, attraverso la voce angelica, la missione dell’annuncio: “Che state a fare con gli occhi verso il cielo? Andate e annunziate…”
Lo scandalo della povertà, provocato da Francesco d’Assisi, ha avuto una vasta eco nella Chiesa dal tredicesimo secolo e ha trascinato schiere di giovani al seguito del Poverello al cui fascino non è stato indifferente Dante Alighieri che dedica un canto a Madonna Povertà: Oh ignota ricchezza, oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace (Paradiso XI, 82).
Ma non a tutti piacque... e Dante ha parole dure per chi di nova vivanda è fatto ghiotto. Il voto di povertà come lo intendevano Francesco e Chiara d’Assisi non era bene accetto ai giovani frati che manifestavano apertamente il loro dissenso: “Sappiamo che frate Francesco fa una nuova Regola e temiamo che la faccia così dura che non possiamo osservarla. La faccia per sé e non la faccia per noi”.
Il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, Giovanni XXIII indice il Concilio Ecumenico Vaticano II. Da dove ha egli attinto il coraggio per affrontare così “pacatamente”, ma decisamente tanto colossale impresa?
Egli ci apre “una finestra nel suo cuore” nella Lettera Apostolica “Le voci”, scritta il 19 marzo 1961, nella quale porge a san Giuseppe, “attraverso le voci e i documenti dei nostri immediati antecessori dell’ultimo secolo, da Pio XI a Pio XII, un serto di onore, in eco alle testimonianze di affettuosa venerazione, che ormai si sollevano da tutte le nazioni cattoliche e da tutte le regioni missionarie”.