Nella mia esperienza di fede, come una salutare cicatrice, è inciso un episodio capitatomi a Gerusalemme, proprio nel sepolcro vuoto di Gesù. Era una fredda mattina di febbraio, le porte della basilica erano state aperte da pochi minuti. Non c’erano pellegrini, un silenzio tombale avvolgeva la grande basilica. Mi avviai verso il sepolcro, entrai e rimasi solo davanti a quella pietra che aveva assistito al singolare riscatto dell’amore sulla morte con la Risurrezione di Gesù.
Mentre pregavo, un’anziana signora s’inginocchiò accanto a me e, terminata la sua preghiera, con le dita, toccò la pietra e portò la mano sugli occhi. Il gesto era un augurio che i suoi occhi acquistassero una luce divina abilitata a vedere al di là delle apparenze terrene. Rapinare un frammento della luce della Risurrezione. Mi piace ricordare, a questo proposito, un detto del mondo ebraico in cui si paragona l’occhio al mondo: «Il mare è il bianco, la terra è l’iride, Gerusalemme la pupilla e l’immagine riflessa è il Tempio». Il tempio per i cristiani è Gesù risorto.
Da quel giorno il gesto di quella donna è entrato nella mia anima.
Per la costruzione delle sue numerose chiese si pensi solo alla parte burocratica relativa ai permessi e ai rapporti con gli uffici competenti; l’aspetto tecnico da ragionare con architetti, ingegneri e maestranze varie; la scelta dei materiali; la dimensione artistica e decorativa; il coinvolgimento spesso impraticabile della gente del luogo
Quando le strade dei santi s’incrociano, nasce una stima reciproca, godono reciprocamente del successo nel compiere il precetto della carità e condividono le sofferenze dell’incomprensione
Con l’animo aperto all’amicizia e al dialogo coltiviamo disegni di pace e pensieri di verità, pronti ad ascoltare, scusare, mai condannare»: questa frase di don Guanella apre l’orizzonte del suo animo verso le persone e detta lo stile dei suoi rapporti di amicizia sia con i poveri come con le persone animate da gran voglia di bene.
L’amicizia è una qualità dell’amore che per sua natura è forza costruttiva per un cammino positivo dell’intera umanità. Quando si ama, gli ideali di bene fondono gli animi e dall’amicizia nascono risorse costantemente rinnovate. Nessun santo è un’isola e la contemporaneità della loro azione crea un’affinità elettiva con un influsso reciproco nell’azione caritativa.
C’è una frase consolante di San Paolo ai cristiani di Roma: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza». La nostra debolezza è infinita com’è infinita la forza di Dio; anzi nel momento in cui riconosco la mia fragilità, è il momento in cui la potenza di Dio scorre nelle mie vene.
Il mese di maggio con i suoi colori e i suoi profumi ci porta agli anni dell’infanzia, quando sui prati, velati da un basso strato di nebbia, le lucciole stendevano un tappeto luminoso e noi ragazzi, dopo cena, eravamo chiamati a lodare Maria con la recita del rosario, la predica del prete e il fioretto da praticare il giorno successivo. Il sorriso della Vergine Maria riempiva il tramonto della giornata con una carezza di gioia e l’impegno a essere più buoni.
Sembra che la peste nera della nostra epoca sia l’indifferenza. Anche le nobili passioni hanno il fiato corto. Il dinamismo dei grandi valori di ieri sembra paralizzato.
Il mese di giugno sventaglia il suo ottimismo e con la mietitura e i numerosi frutti della terra ci propone di contemplare la natura nel suo massimo splendore ci permette di abbracciare l’Infinito di Dio. Il sapore agricolo delle parabole dell’evangelo ci dice che “il seminatore si fa seme, il vignaiolo si fa vite, il vasaio argilla, il Creatore creatura”. Non solo Dio cammina con noi, ma Dio si fa uno di noi. “Un amore divino nell’uomo e un amore umano in Dio”.
La fede si gioca la sua scommessa in questo campo in cui ci accorgiamo non tanto che noi amiamo Dio, ma che è Dio ad amarci per primo: “Dio ha tanto amato gli uomini sa mandare a noi il suo figlio Gesù”.
Sembra una storia da nulla, ma anche la Porta della chiesa di San Giuseppe in Roma ha una sua vicenda curiosa alle spalle, insieme con una lezione di garbo e generosità regalata da don Guanella alla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. L’inedito carteggio rinvenuto in proposito dalla Pia Unione del Transito merita di essere conosciuto.
Tutto nasce all’interno della sua bella amicizia con lo scultore Ludovico Pogliaghi; don Guanella lo aveva conosciuto venti anni prima quando, pittore in erba, aveva dipinto la Natività di Maria per la chiesa di San Donnino a Como. Era stato lui a guidare la realizzazione delle nuove Porte del Duomo di Milano, tra il 1906 e il 1908. Soprattutto la Porta Maggiore è la più intensa ed elegante pagina di arte sacra del '900; don Guanella ne era rimasto ammirato. Ma -come al solito- pensava a casa sua: e la vecchia porta?
Quando le descriveva si illuminava. Vivace e colorito nel parlare il nostro don Guanella lo era sempre stato, ma quando l’accenno cadeva sulle colonne di Baveno della sua chiesa di San Giuseppe si sprecavano gli aggettivi: maestose, bellissime, perfette…
Dovettero essere davvero di un colpo d’occhio esclusivo quelle dieci colonne del famoso ‘Rosa di Baveno’ o ‘Rosso di Baveno’. Fu l’amico romano, l’architetto Aristide Leonori, a consigliarle per l’erigenda Basilica di San Giuseppe a Porta Trionfale; don Guanella degli amici si fidava, li conquistava quasi rendendone impossibile il tradimento, ma si fidava.
Per la sua ‘creatura’ di Roma non erano mancate e non sarebbero mancate in seguito le solite voci che accompagnano le opere grandi: pettegolezzi e insinuazioni di ogni varietà. Dove prende i soldi? Ma che schiaffo alla povertà! E crede di stare a Milano? Vuole venire a dare lezioni in Capitale?
Più o meno arrangiate le battute del sottobosco ecclesiastico erano intorno a questi temi abbastanza miserabili che però, da che esiste il mondo, trovano sempre apostoli zelanti.