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Giovedì, 12 Aprile 2012 08:48

Ferrari e Guanella coppia vincente a favore dei poveri

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di Fabio Pallotta

 

I risvolti di un’amicizia

Di fatto se si vuole capire qualcosa dell’idea che don Guanella ha di autorità bisogna rifarsi al suo rapporto col Ferrari; quando don Guanella chiede ai futuri superiori
e alle superiore del suo Istituto di essere uomini e donne di misericordia, porta impresso nell’animo quel modello di relazione: calda, affettuosa, vicina, basata sulla fiducia


Come dimenticare 35 anni di amicizia fedele e di obbedienza intelligente, devota, creativa? Non c’è una pagina più bella nella letteratura sulla morte di don Guanella che la predica dell’amico cardinale Andrea Ferrari.
Il giovane Vescovo emiliano ne avrebbe ricevuto l’affetto prima ancora di mettere piede a Como. La nomina sulla sede di Sant’Abbondio era avvenuta ad aprile del 1891, ma solo alla fine di ottobre avrebbe preso possesso della nuova sede.
A maggio già gli arrivava la prima lettera di don Guanella con un pacchetto di doni. Inoltre ai primi di settembre si celebrava a Castiglione delle Stiviere, paese natale di San Luigi Gonzaga, il terzo centenario della nascita del grande gesuita da sempre venerato come patrono e modello spirituale dei giovani. Vi sarebbe andato anche Ferrari. E vi andò in pellegrinaggio anche don Guanella, preceduto come al solito da dicerie e pettegolezzi ben noti, ancora più dolorosi perché impacchettati da confratelli sacerdoti…
Cominciò allora l’amicizia Guanella-Ferrari. Non si ruppe più.
Fu un donare e ricevere fraterno, l’uno da spalla all’altro. Inutile fare elenchi già noti del bene che corse reciprocamente, perché al di là dei piccoli o grandi servigi reciproci, ciò che li legò fu la bufera. Se vuoi conoscere di che pasta è fatta una relazione solo la pressione può rivelartela; nella buona sorte non è complicato avere amici. Entrambi furono a più riprese travolti dagli scandali e dalle dicerie, polveroni mediatici e attacchi diretti nei quali uno restava in piedi anche grazie alla spalla dell’altro. Questo è senza prezzo.
Molti hanno ricostruito con dovizia di dettagli storici questa relazione tra i due Santi. Qui basta sottolineare la portata di quella presenza nella vita di don Guanella. Tutto fu Provvidenza nella vita del nostro e sarà lui stesso a dare questo nome alle sue memorie autobiografiche -“Le vie della Provvidenza”- ma ritengo che le tre presenze più decisive di tutta la sua storia di Fondatore furono certamente suor Marcellina Bosatta ad intra, il redentorista padre Claudio Benedetti ad extra e specialmente l’amico card. Ferrari.
Don Guanella sui vescovi aveva le sue esperienze e le sue idee. Potè assaggiare nei suoi 61 anni di vita ecclesiastica un po’ di tutto: cordialità, interesse, finzione, santità… Non gli si staccheranno dal cuore le immagini del suo vescovo ordinante Frascolla, profilo straordinario di pastore vittima, ma anche quelle relative ad una carrellata interessante di tipi umani, fino all’ultimo povero esempio di vescovo conosciuto nella Marsica, in occasione del terremoto di Avezzano. È indicibile la meschinità di quelle vicende che lo videro schiacciato, isolato e ridotto al silenzio nel duro inverno del 1915 tra i monti gelidi di un Abruzzo innevato e ridotto in macerie dal sisma. Ne scriverà con accenti disincantati e sapienti nelle sue memorie conosciute come ‘Fragmenta vitae’, piccoli bozzetti narrativi degli ultimi tre anni: “Io finora mi son sempre inchinato tremebondo dinanzi a chi ha una mitra. Troppo tardi mi sono accorto che qualche volta sbagliano. Non c’è da meravigliarsi né da scandalizzarsi. Ubi sunt homines, ibi sunt miseriae. Non si vorrebbe parlar male, però giova sapere...”.
Era il suo animo allo specchio. Sempre tremebondo di fronte ai suoi vescovi, ma quante botte! Non solo ingratitudine e ostacoli, ma soprattutto la freddezza e la piccineria.
Di fatto se si vuole capire qualcosa dell’idea che don Guanella ha di autorità bisogna rifarsi al suo rapporto col Ferrari; quando don Guanella chiede ai futuri superiori e alle superiore del suo Istituto di essere uomini e donne di misericordia, porta impresso nell’animo quel modello di relazione: calda, affettuosa, vicina, basata sulla fiducia, mai castigatrice e mai severa. Ferma nei principi, chiara nella comunicazione, schiettissima nei punti di vista, ma poi larga, paziente, molto presente.
Per don Guanella il peccato più grave di chi sta in autorità non riguarda la sfera personale: siamo dei poveri uomini, diceva… Riteneva grave e fortemente omissiva la «distanza», la freddezza, il farsi solo cercare, quell’aura di importanza che si annida in chi comanda. Chiunque poteva essere nominato superiore, fosse colto o meno, dotato e brillante o più dimesso; ma che disastro affidare la guida dell’animo altrui a persone severe, piccine, striminzite, vendicative, chiuse…!
La vicinanza del Ferrari forse fu la chiave della salvezza di Guanella come prete e come fondatore: ogni uomo grande ha due popoli, chi lo ama e chi lo disprezza, solo i mediocri non fanno storia e vanno bene a tutti; per cui quando Ferrari si accorse che quel suo prete era nell’occhio del ciclone capì che sotto vi era una grandezza. Chi se la prenderebbe mai con una nullità? E pensò bene di non privare la Chiesa di un grande.
Come fu superiore di don Guanella? Lo circondò, praticamente. Piom­bava in casa, lo chiamava a rapporto, si confidava, ne parlava a tutti, lo difendeva, all’occorrenza lo correggeva; ma lo salvò dall’isolamento mettendolo su un piedistallo anche problematico, perché i condiocesani arricciavano il naso su questa fiducia pubblica. Come potevano sopportare tanta cecità da parte del vescovo? Soprattutto quando si diede il caso del Pellegrinaggio Lombardo del 1893, in cui Ferrari nominò Guanella «rappresentante della Diocesi di Como’ presso il Papa».
Quando don Guanella inaugurò il suo gioiello al quartiere Trionfale di Roma non aveva certo che l’imbarazzo della scelta: Roma pullulava di porporati che aspettavano occasioni di esposizione. Chiamò l’amico card. Ferrari; per lui quella era la Chiesa.
Poi tante pagine: per don Guanella soprattutto l’ostracismo della Curia romana nell’approvazione dei suoi Istituti e per il Ferrari l’accusa di modernismo. Si difesero, con il riporto di non poche ammaccature, perché don Guanella era praticamente in scacco matto con il venerato papa Pio X da una parte  e l’amico vescovo Ferrari dall’altra. Non poco dovette costare anche al Beato cardinale di Milano difendere don Guanella dissentendo da porpore romane altisonanti come Rampolla o Merry Del Val o Re­spighi, e soprattutto smentendo ad ogni passo il suo successore nella Diocesi comasca, mons. Valfrè, forse il più sussiegoso e scivoloso dei superiori di don Guanella. L’unico che ebbe frequenti omaggi della franchezza libera del nostro, umile e obbediente, ma anche sincero e onesto, a volte al limite della sopportazione.
Nel 1911, anno cruciale della vita di Ferrari, don Guanella gli aveva scritto: “Odo che altra bufera di tribulazione viene a scatenarsi sul suo capo innocente; bufera che non si prevedeva... Speriamo che la procella non cagioni gravissimi danni e che sia piuttosto scroscio di temporale atto per purificare le arie dell'atmosfera. Ad ogni modo e sempre la Croce e la Porpora sono i segni del Capitano che procede impavido anche nella prova di momenti gravi. Ogni ben pensante che guarda all'animo dell'Eminentissimo trova guida e conforto in ogni caso della vita”. Una professione di stima, fede, amicizia. Inattaccabili.
All’omelia funebre di don Guanella il Ferrari inizierà da un cenno suggestivo: “Se in questo momento potessi interrogare il lagrimato sacerdote che ci sta dinnanzi nella serena pace della morte ed egli potesse rispondermi con l’usata semplicità e modestia…”. Già bastava per dire l’uomo e il santo: semplicità e modestia. Era l’immagine di una vita.
Fino al tocco impressionante: “…Non conobbe i sentimenti di subitanea ribellione, le asprezze del linguaggio, lo zelo amaro; ma mediante il lavoro lungo e assiduo di vigilanza interiore giunse a quella padronanza di sé per cui tutto ciò che accade viene accolto con pace e gioia come un dono di Dio”.
Fu bello anche morire, per sentirsi dire tutto ciò.

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