Si trattava di costruire la chiesa di San Giuseppe.
Architetti affermati in Roma era lo studio dei Fratelli Leonori.
Don Guanella si presentò all’ingegner Aristide Leonori, professionista che già aveva lavorato
non solo a Roma, ma anche in molte altre nazioni europee e negli Stati Uniti d’America.
Entrambi scommisero sulla Provvidenza che non mancò.
La facciata della chiesa di S. Giuseppe al Trionfale si presenta suddivisa in due fasce: la parte inferiore, intelaiata dall’ordine gigante; la parte superiore, con sommità a timpano, in corrispondenza dell’interna navata centrale.
Le semplici paraste che incorniciano i tre portali di accesso alla chiesa si ergono su alti podi a loro volta su basamento di travertino: la parte centrale della facciata è enfatizzata dallo sdoppiamento delle lesene che sui lati esterni raddoppiano emergendo in second’ordine.
Le lesene terminano con capitelli di tipo corinzio con foglie di acanto che sorreggono l’architrave correttamente proporzionata che contiene nel fregio l’iscrizione Anno salutis Deo in honorem S. Joseph A.F. MCMXII.
Febbraio 1912. Mentre fervevano i preparativi per l’imminente inaugurazione della nuova chiesa di S. Giuseppe sulla testa di don Guanella si scagliò un fulmine a ciel sereno.
Don Aurelio Bacciarini, da lui destinato come primo parroco del quartiere Trionfale, il fiore all’occhiello della congregazione, era “fuggito” in un ordine di clausura, in cerca di un vita di maggior austerità e penitenza, vissuta nel silenzio e nella solitudine.
Prima di lasciare la casa di Como era stato visto dare alle fiamme una grande quantità di lettere, di fascicoli, di prediche e di manoscritti. Aveva confidato la sua decisione ad un amico sacerdote che tentò, invano, di dissuaderlo.
Sabato 10 febbraio, senza dir parola a don Guanella che sapeva contrario, raggiunse la Trappa delle Tre Fontane, a sette chilometri da Roma, dove, dopo tre giorni di attesa nella portineria del convento, come di regola, fu ammesso alla vita di comunità. Gli fu dato il nome religioso di Fra Martino e, dopo un paio di giorni, ricevette anche il saio da trappista.
"E dov’è mai questo don Guanella che seguito a cercare?» si chiedeva San Pio X all’udienza del 24 marzo 1912.
A distanza di tre giorni era la seconda volta che don Guanella andava pellegrino di fede avanti al Papa. La prima volta era stata il 21 marzo insieme ai fedeli del Pellegrinaggio lombardo e poi ci ritornò appunto il 24 con un gruppo di sacerdoti guanelliani. Il 21 fu un’udienza dei pellegrini lombardi con un discorso di saluto al Santo Padre da parte del cardinal Ferrari.
Sia nel primo incontro come nel secondo con il Papa, il colloquio con don Guanella aveva come argomento l’inaugurazione della chiesa di San Giuseppe al Trionfale.
Giacomo Leopardi, morto cristianamente? L'affermazione a molti potrebbe sembrare strana. Non è il poeta di Recanati l'assertore del nulla? del materialismo ateo e antireligioso dei filosofi sensisti del suo tempo? E come è possibile dimenticare la terribile pagina che egli scrisse nello Zibaldone (23 novembre 1820) contro il cristianesimo della madre, cinico e nemico della vita? Due studiosi hanno ribaltato l'immagine di un Leopardi anticristiano, morto senza fede, e dimostrato il contrario: N. Storti nel volume Fede e arte in Giacomo Leopardi e D. Barsotti in La religione in Giacomo Leopardi. Esaminiamo con pacatezza la questione.
Nella convinzione di rendere cosa gradita ai nostri lettori che leggono sulla nostra rivista gli articoli letterari del nostro stimato e prestigioso collaboratore, padre Ferdinando Castelli s.j., con il suo consenso pubblichiamo parte della prefazione al volume «Sentinelle dell’Assoluto. Monaci, frati e suore raccontati dagli scrittori». In questo volume si possono leggere quindici classici che hanno descritto monaci, frati e suore. Si passa da Dostoevskij a Luca Desiato, da Léon Bloy a Diego Fabbri, da Georges Bernanos a Mario Pomilio, da Gilbert Cesbron a Rodolfo Doni, ecc…
Thomas Merton è un giovane dalla vita disordinata e dissoluta, aspirante poeta. Visitando le basiliche paleocristiane di Roma, viene a trovarsi dinanzi al mosaico del Cristo giudice dominante l’abside dei Santi Cosma e Damiano. «L’effetto di quella scoperta fu terribile», confessa raccontando la sua conversione nel volume “La montagna dalle sette balze”. Fu il rivelarsi del divino sull’umano, dello spirito sulla materia, della vita sulla morte. «Fu là che vidi per la prima volta Colui che ora servo come mio Dio e mio Re, Colui che presiede e governa la mia vita». Che cosa ha visto, col passare dei giorni, scrutando l’immagine di Cristo? Ha visto «un abisso di amore e di pace, quell’abisso era Dio».
La rivelazione lo sconvolge; all’amore non si può resistere. A ventisei anni, nel 1941, entra nell’abbazia trappista di Nostra Signora di Gethsemani, nel Kentucky, consacrando la sua vita a cantare l’amore di un Dio che per noi si è fatto uomo, amandoci fino al dono supremo di sé. Il suo canto raggiunge i toni alti quando esprime la gioia del dono totale di sé a Colui che per noi ha donato tutto se stesso. Thomas Merton, morto nel 1968, è l’icona di una vita che si dona all’Amore.
La vita consacrata si fonda e si sviluppa su una verità sconvolgente rivelataci da San Paolo nella Lettera ai Galati (2,20): «Dio mi ha amato e ha consegnato se stesso per me». La conseguenza che ne deduce un’anima nobile, illuminata dall’Alto, è immediata: amerò Dio e consegnerò me stesso per Lui.
Ecco la definizione della vita donata totalmente al Signore. Mentre l’ateismo e la secolarizzazione rifiutano o accantonano Dio, negando o dimenticando la sua sovranità, la consacrazione religiosa si fonda sul primato di Dio e sulla fede nel Cristo redentore; stabilisce pertanto una vita nel regno di Dio, dilatando al massimo questo regno che il battesimo e la cresima hanno instaurato nell’anima.[…]
In questo volume presento sedici significativi testi sulla vita consacrata di altrettanti autori, narratori o drammaturghi. In essi ci si interroga sul significato di questa scelta, le sue motivazioni di fondo, le sue dimensioni, la sua incidenza sulla persona e sulla società, le difficoltà che in essa si incontrano, l’importanza dell’aggiornamento e della fedeltà al carisma del fondatore. […]
«La carrellata continua» ho intitolato l’ultimo capitolo del volume. In realtà, l’argomento richiederebbe una trattazione più vasta e articolata. Per motivi di spazio ho dovuto fermarmi, limitandomi a una sintetica ed essenziale presentazione di alcuni autori che sulla vita consacrata - non sui semplici preti, si badi, chè la trattazione sarebbe sconfinata - hanno pubblicato volumi particolarmente significativi. Se mi si chiedesse di sintetizzare in una semplice battuta la concezione che quasi tutti gli autori presentati hanno della vita consacrata, riporterei l’affermazione di Julien Green dopo aver incontrato Jacques Maritain, «consacrato» con la moglie Raissa in un «Ordine speciale»: «Mi trovavo dinanzi a uno di quegli uomini che danno l’impressione di essere venuti da un altro mondo».
La vita consacrata è la testimonianza di un altro mondo.
Il romanzo di Graham Greene, Il potere e la gloria, ha una finale drammatica, che lascia pensosi. Siamo nel Messico, al tempo della persecuzione religiosa. Braccati dagli emissari dei Rossi, molti fedeli fuggono, si nascondono, storditi dalla paura. Padre José, prima prete energico e dignitoso, costretto alla clandestinità, è ridotto in uno stato che rasenta la bestialità. È l’ombra di se stesso. Tradito e fatto prigioniero, è condannato a morte.
Prima di morire, con la mente confusa, tutto uno straccio, fa il bilancio della sua vita, piangendo. “ Provava soltanto una delusione immensa, perché doveva andare verso Dio a mani vuote, senza aver fatto nulla. Gli pareva che sarebbe stato così facile essere santo! Ci sarebbe stato bisogno soltanto di un po’ di freno e un po’ di coraggio. Si sentiva come qualcuno che per pochi secondi avesse perduto l’appuntamento con la felicità…
La figura di Gesù non cessa d’interessare, inquietare e affascinare l’uomo di ogni tempo. Oggi forse più che nel passato. Si calcola che nel Novecento siano stati pubblicati centomila volumi – di teologia, di esegesi, di letteratura – sulla figura di Gesù. In questa foresta bibliografica è difficile orientarsi. Ci sono certamente opere notevoli per serietà e valore storico e teologico, ma anche pubblicazioni discutibili, superficiali e ambigue. Consideriamo pertanto un autentico dono – per la fede, la chiarezza teologica e il fascino delle prospettive che offre – il secondo volume di Gesù di Nazaret, firmato da J. Ratzinger – Benedetto XVI, recentemente pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana (pagine 348, € 20,00). È un autentico dono perché ci permette una visione chiara ed esauriente degli ultimi giorni della vita di Gesù, densi di significato e di mistero.
Il 30 giugno 1912 don Bacciarini riceve l’investitura di parroco
e otto giorni dopo ufficialmente promuove e organizza la carità verso i poveri con le Dame di San Vincenzo
con il compito di visitare gli infermi a domicilio e le famiglie dei poveri e portare loro aiuti materiali e spirituali.
Non poteva essere diversamente per un prete di don Guanella. Pur diverso dal «padre dei poveri» per temperamento, per formazione e sensibilità culturale, Bacciarini ne era fedele discepolo nella spiritualità e nella missione. Don Guanella aveva fatto di Matteo 25 la sua pagina di Vangelo da testimoniare davanti alla Chiesa e al mondo. Ogni suo seguace, ieri come oggi, non può non vibrare sulla stessa lunghezza d’’onda.
Accanto alle Madri cristiane, alle associazioni dei fanciulli e dei giovani,
a don Bacciarini stavano a cuore le migliaia di uomini, di padri che non frequentavano
la chiesa e diceva: «se bastasse la mia vita per attirarli a Dio,
la donerei oggi per far vivere la vita cristiana ai nostri uomini»
Non sapeva rassegnarsi a quanto le statistiche, ancor oggi, confermano: gli uomini, pur credenti, sembrano preferire il bar alla chiesa. La frequenza alla Messa, le sane pratiche tradizionali restano, ordinariamente, appannaggio, talvolta esclusivo, delle donne. In famiglia si addebita loro, quasi una tassa da pagare, il compito della rappresentanza davanti a Dio e alle autorità ecclesiastiche.
Nella sua strategia pastorale don Aurelio scommette sul genio femminile
e chiama a raccolta in associazione «le madri cristiane» e le mette sotto la protezione
di Santa Monica, la mamma di Sant’Agostino. Le preghiere e la forza educativa
delle anime erano energie vitali per salvaguardare la fede dei figli.
Se negli anni '50, a Roma, sentivi parlare della Parrocchia San Giuseppe al Trionfale, avevi la stessa impressione di quando, a scuola, da ragazzo, si parlava della prima della classe. Una bella parrocchia, ben organizzata, che esprimeva e si pregiava di un'associazionismo laicale tanto variegato, quanto numeroso; fornita di operatori pastorali laici con elevata formazione e professionalità nel servizio, note apprezzate anche a livello diocesano.