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Giovedì, 30 Gennaio 2014 15:37

Giuseppe Lazzati. Un professore dalla parte dei piccoli

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Uomo colto, dal grande ascendente, maestro e testimone di valori

di Gabriele Cantaluppi

Riferendosi a Giuseppe Lazzati, il cardinale Dionigi Tettamanzi riteneva che nella situazione odierna la Chiesa e la società avessero bisogno “di lasciarsi interpellare dalla sua testimonianza e riflettere sull’esempio che un fedele laico come lui è stato e ha voluto essere”.

Chi lo ha conosciuto lo descrive signorile nel tratto, senza però che le persone semplici provassero soggezione o titubanza nel trattare con lui. Il senso dell’amicizia lo rendeva attento ai bisogni altrui, così da rendersi anche presente agli avvenimenti lieti o tristi di quanti conosceva: cose, se si vuole, semplici e quotidiane, come una telefonata, un biglietto di auguri, il parlare “meneghino” nel dialogo con qualcuno che si esprimeva meglio in dialetto. Viveva quanto afferma la recente enciclica di papa Francesco sulla fede: “Il credente non è arrogante, al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi è essa che ci abbraccia e ci possiede”.

 

Educatore di giovani

La sua attenzione particolare era per i giovani, che aiutava da fratello in diversi modi. Soprattutto però si sforzava di avere per loro una forma di carità assai rara: quella dell’accompagnamento spirituale e del discernimento vocazionale. Il suo donarsi generoso nel promuovere la riflessione nelle comunità cristiane e soprattutto l’apostolato giovanile all’Eremo di San Salvatore, una romita località nella Brianza lombarda, incitavano all’approfondimento culturale e teologico, perché anche ai laici fosse offerta quella “ragione della fede” che li motivasse nel loro protagonismo sociale.

I giovani che si incontravano con lui erano fortemente spronati a intraprendere un maturo percorso vocazionale, in vista della propria scelta di vita nel matrimonio, nella professione o nella consacrazione sacerdotale o secolare. Questo impegno, per Lazzati, è possibile quando si vive una vita ricca di spiritualità, di preghiera e di impegno sacramentale. In altre parole quando si costruisce un rapporto tu-per-tu con il Signore magari concretizzato anche nella fedeltà alla “visita eucaristica” e alla recita quotidiana dell’Angelus.

 

Apostoli, ma laici

Era convinto che una genuina esperienza cristiana può fondarsi solo su personalità equilibrate, riflessive e dotate di principi etici. Ciò è reso possibile attraverso l’educazione, incominciando dalla famiglia e dalla comunità ecclesiale. Nel laico cristiano la dimensione umana e quella religiosa devono comporsi in una sintesi armonica e questo è possibile se vi sono educatori che sanno fare in modo che i loro valori vengano condivisi dai discepoli, anche attraverso la personale testimonianza di vita dell’educatore stesso. Avrebbe detto Paolo VI che vengono ascoltati più i testimoni che i maestri e che, questi ultimi, se vengono ascoltati è perché testimoniano l’insegnamento con la vita.

Per Lazzati al fedele laico non è chiesto come primo compito di convertire il mondo, ma di restare fedele nel suo essere e agire alle esigenze della propria vocazione, se vuole rendere efficace la sua presenza come sale e lievito. Non deve tendere direttamente alla promozione della fede, ma realizzare pienamente i valori umani, in quanto per ciò stesso cristiani. Perché la Chiesa non è comandata dai sacerdoti, ma è un popolo di sacerdoti, re e profeti e in essa il fedele laico si santifica proprio attraverso il suo coinvolgimento nelle realtà temporali e, se il mondo si allontana da essa, “non saremmo giunti dove siamo se fossimo stati veri cristiani”.

 

Tutto di Cristo

Già a diciannove anni, partecipando a un corso di esercizi spirituali, aveva chiaro il proposito: “Voglio diventare santo. Cercherò anzitutto di possedere le verità della fede con tutta l’anima, di farle succo del mio sangue, perché ad esse ogni mio attimo si conformi. Che cosa è in fondo il cristianesimo? è Cristo in noi”. Per lui la condizione laicale ha il tuo titolo di dignità nel “mistero del nostro essere chiamati per grazia a un vincolo di vera e propria consanguineità con Dio”. Il desiderio di appartenenza totale a Dio lo spinge a consacrarsi totalmente a lui con il voto di castità: “Ho scelto come mio stato la vita del celibato. Sento in ogni momento la grandezza e la sublimità di questa grazia di Dio, giacché, grazie alla castità, potrò unirmi più a Lui, cui consacro anima e corpo, ed esercitare un apostolato più lungo ed efficace”.

Dalla sua esperienza di deportato nei lager nazisti nasce la convinzione che i giorni della pace e della serena convivenza non possono essere frutto solo di trattati politici, ma devono maturare dalla “conversione profonda dell’ uomo”, che nasce dalla certezza quotidiana che il Signore viene a cercarci giorno per giorno e ad abbracciarci con amore infinito.

Soprattutto il cristiano deve rendersi consapevole che la sua condizione secolare è la via abituale e normale del cammino di santificazione: Paolo VI avrebbe detto che è il suo “luogo teologico”. Lazzati insiste sulla “perfezione dell’opera”, intendendo affermare che la crescita spirituale dell’individuo si realizza quando nel suo agire egli rispetta le “leggi” intrinseche dell’opera intrapresa e i principi etici che devono presiedere a qualsiasi attività umana: non solo l’impegno politico o il lavoro, ma anche altri aspetti e dimensioni della vita, quali l’amicizia, la convivialità e il tempo libero. Ed egli stesso dava l’esempio.

Affinchè però l’umano incida sullo spirito dell’individuo è indispensabile l’adesione a Cristo Gesù, attraverso la partecipazione al mistero liturgico-sacramentale, alla preghiera personale e alla tensione morale.

Tutto questo vissuto corresponsabilmente nella vita della Chiesa e nella sua missione evangelizzatrice. Lazzati amava molto la “lettera a Diogneto”, documento del II secolo, nella quale viene tracciato l’identikit del cristiano che, pur non distinguendosi dagli altri nella vita ordinaria, è tuttavia “ciò che l’anima è nel corpo”. Citava frequentemente l’espressione di Sant’Ambrogio: “Nova semper quaerere et parta custodire” (cercare sempre il nuovo e custodire ciò che si è trovato), affermando che il fedele laico adulto nella fede deve saper discernere sapientemente le novità del suo tempo, per saper accogliere quelle buone e trasmetterle alle generazioni future, creando legame fra Tradizione e speranza.

 

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