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Giovedì, 30 Gennaio 2014 14:20

Il Dio eterno si cala nel tempo Featured

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Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato

di Madre Anna Maria Cánopi, osb

La nostra vita è ritmata sullo scorrere del tempo, è scandita da cicli o ricorrenze annuali, mensili, settimanali, quotidiani. Eppure se ci si ferma a pensare che cos’è il tempo, anche noi dobbiamo confessare con sant’Agostino: «Che cosa è, dunque, il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so», e continua dicendo che il tempo è un vero mistero. Di esso noi tutti facciamo esperienza, eppure il passato non è più, ma vive solo nella memoria; il futuro non è ancora e vive solo nell’attesa; soltanto l’istante presente esiste, ma subito diventa passato… Pure san Benedetto nella sua Regola esorta a compiere all’istante ciò che vale per l’eternità.

Per il cristiano, infatti, il tempo è stato riscattato dalla sua fugacità e dalla sua tragicità, perché in esso è entrato e vi è rimasto per sempre Colui che è il Signore del tempo: il Cristo ieri, oggi e nei secoli (cf. Eb 13,8). Egli è venuto per far convergere tutta la storia umana verso l’eterno Regno di Dio.

Vivere è perciò mettersi in cammino e la vita è una “via” da percorrere, o meglio una Persona da seguire: Gesù, che ci invita egli stesso alla sua sequela: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Ogni giorno è sempre una possibilità aperta. Se lo vogliamo, semplicemente vivendo in pienezza l’oggi, con le sue luci e le sue ombre, le sue gioie e le sue sofferenze, si entra nel mistero di Cristo che è mistero di salvezza per tutti.

La sacra Scrittura è tutta attraversata da questi “oggi” di salvezza che ci coinvolgono e ci aiutano a scoprire il valore della nostra vita.

Lungo l’anno, di mese in mese, seguendo anche lo svolgersi dell’anno liturgico, ci soffermeremo su alcuni di essi, cominciando da quello presente nel cuore del Salmo 2 che ben si addice al Tempo di Natale: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (v. 7).

L’argomento del Salmo riguarda l’instaurazione del Regno di Dio sulla terra, per mezzo dell’inviato Messia, attraverso una dura lotta contro i popoli pagani che vi si oppongono.

Il dramma ha diversi protagonisti. Incomincia con uno sconcertato interrogativo del salmista che si chiede perché mai i popoli siano in tumulto e i potenti della terra si agitino e cerchino di ostacolare il disegno di Dio. È la domanda di un uomo pensoso degli eventi della storia, che, leggendovi dentro il disegno provvidenziale di Dio, lascia trasparire l’inutilità della guerra e della violenza. I popoli cospirano invano, perché Dio solo è il vero arbitro della storia. E Dio proclama allora d’aver scelto quale strumento di salvezza il popolo d’Israele, anzi, egli in definitiva da quel popolo ha eletto il Cristo. Egli stesso fa sentire la sua voce: «Voglio annunciare il decreto del Signore. Egli mi ha detto: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”» (v. 7).

La suggestività del salmo promana soprattutto da questo riconoscimento di paternità. Dio riconosce suo figlio nel Cristo, in Gesù di Nazareth. Gli si rivolge direttamente: «Tu!». Si traduce in immagini umane lo stupore dell’Eterno Padre, che genera incessantemente e contempla il Figlio del suo amore: «Tu sei mio Figlio!». In questo mio c’è tutta la carica affettiva, il pathos della paternità.

«Io oggi ti ho generato». È l’oggi della generazione eterna del Figlio ed insieme è l’oggi della generazione nel tempo. Il Padre oggi riconosce come suo, nato nel tempo, il figlio di Maria, della Chiesa, dell’umanità; e afferma di generarlo in noi oggi, senza fine, continuamente.

La generazione di questo Figlio è proprio l’evento che dà valore al tempo e ne dilata la misura sull’eternità.

Di qui prende senso tutto il mistero liturgico, mistero eterno di Dio calato nel tempo per raggiungere ogni uomo, per avvolgere tutto il cosmo. Il Padre genera il Figlio e il Figlio diventa l’oggi della salvezza del mondo.

Su questo versetto ci si potrebbe fermare all’infinito: soltanto il silenzio e l’adorazione possono penetrare, gustare la ricchezza di queste parole che lasciano intuire l’ineffabile reciproca contemplazione del Padre e del Figlio.

Nel dire: «Tu sei mio figlio», il Padre dichiara il suo amore e nello stesso tempo esprime la sua attesa d’amore da parte del Figlio. Effettivamente questo Figlio è un sì d’amore e donazione.

Nella relazione tra Dio Padre e il Cristo, la risposta di amore del Figlio è subito piena; nell’oggi del tempo, nel mistero della nascita umana, anche questo Figlio è piccolo, deve crescere e il Padre attende il suo amore. Mentre nell’eternità è l’Unigenito che risponde da sempre all’amore generatore del Padre, avendo assunto l’umanità è anche il Primogenito, il Figlio nel quale tutti gli uomini possono diventare figli di Dio; perciò, come uomo, deve conoscere gradualmente il Padre e rispondere nel tempo al suo amore che si farà sempre più esigente.

Nel tempo di Natale, cantando il salmo 2 e in particolare il versetto 7, ciascuno di noi – come persona e come Chiesa – può dire: «Egli mi ha detto: tu sei mio figlio» e sentire che si tratta della propria nascita. Questa è la splendida novità del Natale, il mistero della natività! Non è una commemorazione di un evento passato. Nasce, qui, oggi, un corpo: il corpo vero, reale, umano del Figlio di Dio.

Questo corpo è la Chiesa, è l’umanità nuova. Ecco perché deve sprigionarsi nel cristiano quella gioia ineffabile, inesprimibile di cui parla san Leone Magno, quando dice: «Riconosci, cristiano, la tua dignità».

Riconosci che oggi tu nasci da Dio; il Padre ti riconosce figlio suo e ti guarda con infinito amore. Le festività del Natale sono dunque feste d’infanzia, di nascita universale; ogni casa ha una culla; il mondo intero, anzi, è una culla, perché nasce il Bambino, il Figlio di Dio; e questo Figlio è lui e noi insieme. O gioia inesprimibile!

 

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