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Mercoledì, 08 Febbraio 2012 13:49

La memoria fonte di speranza

di Mario Carrera

Scriveva Jean Vanier, l’animatore di tanti focolari della carità verso le persone handicappate, che «ogni comunità deve celebrare i suoi anniversari, rileggere la propria storia e rendere grazie per la maniera con la quale Dio ha vegliato su di loro nel corso degli anni». In questa memoria «si trovano la speranza e l’ardimento di cui abbiamo bisogno per affrontare nuovi rischi e accettare difficoltà e sofferenza con coraggio e perseveranza». Sulla scia di questi ammonimenti proseguiamo il nostro navigare sul lago della memoria alla ricerca di personaggi, avvenimenti e date che costituiscono lo specchio d’acqua sul quale leggere il patrimonio della storia.  
A proposito di memoria, in uno scritto di Joseph Ratzinger si legge una rievocazione che il celebre romanziere Goethe fa della celebrazione della festa di San Rocco a Bingen, manifestazione ripresa dopo la lunga interruzione delle guerre napoleoniche. «Il poeta osserva la folla che sfila compatta attraverso la chiesa, davanti all’immagine del santo, e ne studia i volti: quelli dei bambini e degli adulti sono raggianti e riflettono la gioia del giorno di festa.

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 13:36

Il finocchio umile servo dei sapori

di Carlo Lapucci

Scrive Plinio nella Storia naturale: "Il serpente, poiché durante il letargo invernale gli si è formata una membrana intorno al corpo, si spoglia di quell'impiccio grazie all'umore del finocchio e riappare tutto lucente a primavera. Comincia a spogliarsene dalla testa e non impiega meno di un giorno e di una notte, rivoltandolo in modo che la parte interna della membrana appaia all'esterno.
Lo stesso animale, dato che nel suo ritiro invernale gli si è indebolita la vista, sfregandosi all'erba marathon (traslitterazione del nome greco del finocchio), la applica sugli occhi e recupera la capacità di vedere; se poi le sue squame si sono irrigidite, si gratta contro le spine del ginepro" (VIII, 41). Questa credenza è diffusa in tutta l'Europa dove comunemente si crede che il finocchio, come le carote, rinforzi la vista e curi gli occhi. Ma le qualità medicamentose della pianta sono molte di più. Il finocchio è tra le poche piante alimentari orticole che non abbandona la tavola nei tempi freddi di penuria ma, come il cavolo, non gode di gran prestigio: dimensioni modeste, non particolarmente bella, dolciastra non si presta a fare un piatto di figura sulla mensa. Era una volta una risorsa dei tempi difficili: una tegamata di finocchi, condita con sugo o carne grassa, o trattata a frittata, poteva risolvere il problema d'una cena.
Come contorno si segnala per la leggerezza e con elaborazioni culinarie particolari diviene anche una portata appetitosa e ricercata. Tra le piante coltivate, è una delle più utili, presente in mille ricette, attiva nella conservazione degli alimenti, indispensabile nella farmacopea fin dai tempi più antichi.

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 13:35

Febbraio 2012

 

Servire per amore

Caro don Mario,
mi rivolgo a Lei per una sentita preghiera perché possa fare una buona morte. Prego perché avvenga al più presto, dato che sono stanca del tipo di vita che da tanti, troppi anni sto vivendo, anzi, più che vita la chiamerei sopravvivenza. Sono sposata, con due figli e devo sopportare, per amore di madre, quanto di "cattivo" mio marito riesce a offrirmi. Prima mi dicevano che era giovane, inesperto e che quindi dovevo avere pazienza ora, con il sopraggiungere dell’età, ma per lo più di una malattia che lo costringe su una sedia a rotelle, si comporta male e devo avere pazienza per il suo stato di salute che lo rende a dir poco irascibile. Più che una moglie mi sono sempre sentita una serva, oggi ancora di più. Sola e orfana fin da piccola, mi sono sposata giovane illudendomi che la mia “nuova” vita potesse avere risvolti positivi, diversi da quelli che avevo fino a quel giorno vissuto. Economicamente non mi potevo lamentare e forse questo fatto è stato decisivo per mio marito nel scegliermi come moglie. E’ vero che il buon Dio mi ha donato due figli meravigliosi, oggi felicemente sposati, ai quali cerco di non far percepire il mio stato d’animo e il mio disagio familiare. Ho sempre lavorato e cresciuto i miei figli ma ora la stanchezza ha preso il sopravvento togliendomi le forze di andare avanti, tanto da invocare la morte come liberazione. Probabilmente commetto un grave peccato nel chiedere di addormentarmi per sempre ma le delusioni hanno fiaccato la mia fibra e probabilmente anche la mia fede. Chiedo perdono e preghiere.
Lettera firmata

Stimata e cara Signora,
potrebbe essere semplice per chi vive lontano dalla sua situazione esprimere parole di comprensione, ma la sofferenza del fratello diventa il nostro dispiacere, è, quindi, necessario ancorare il nostro soffrire a una motivazione illuminata da una speranza. La motivazione nasce dalla nostra fede in Dio che ci ha chiamato a esistere in questa stagione della storia, facendoci incontrare delle persone e affidandoci una missione da compiere.  La missione più bella e consolante è quella di essere una madre con due splendidi figlioli, frutto del suo amore e fonte della sua consolazione.  Allora mi pare che sia doveroso rispecchiarsi in questa positiva realtà con animo grato a Dio. L’altra faccia della medaglia è la sua condizione di disagio e di difficoltà nei confronti di suo marito.  E’ l’aspetto più difficoltoso nel quale dobbiamo ritrovare la profondità delle radici della nostra fede da cui nasce e s’irrobustisce la capacità di amare. Quando davanti a Dio e alla comunità cristiana vi siete uniti in matrimonio lei e suo marito avete deciso di condividere tutto nella buona e nella cattiva salute. Anche con l’aiuto della nostra e sua preghiera auspichiamo che lei possa scorgere nel buio della sua sofferenza un germe di benedizione che Dio le ha riservato anche in questa situazione difficile e penosa.  Dobbiamo chiedere a Dio che nella sua buona volontà possa far risuonare la beatitudine che San Paolo mette sulle labbra di Gesù: «C’è più gioia nel donare che nel ricevere». Gesù dall’alto della Croci può dire al Padre: «Perdona loro non sanno quello che fanno».

Nel coro della gratitudine

Rev.do don Carrera,
desidero ringraziare per due grazie ricevute. La prima riguarda San Giuseppe, che mi ha ascoltata ottenendomi la grazia del buon esito degli esami, molto particolari, in seguito a brutti disturbi di mia figlia. Anche verso di me, aiutandomi in questioni morali in famiglia, sia per problemi di salute. La seconda riguarda San Luigi Guanella, che ho pregato con la reliquia sul cuore perché dovevo fare il controllo alla tiroide che mi spaventava molto. È andato tutto bene a gloria di Dio.
Lettera firmata

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 13:32

Dal buio alla grande luce

di Mario Sgarbossa

Perché solo a Maria e a Giu­seppe è stato rivelato il segreto di Dio nascosto nell’insondabile profondità del mistero trinitario? “Siamo nell’ordine dell’Incarnazione – disse Pio XI nell’allocuzione del 19 marzo 1935 – cioè della personale unione di Dio con l’uomo. è in quest’attimo che egli detta la Parola che spiega tutto nei rapporti tra Giuseppe e i grandi profeti e gli apostoli. A Giuseppe spetta annunciare i prodigi dell’incarnazione a motivo del suo rapporto con i misteri della vita di Cristo”.
Ci aspettavamo una parola di Giuseppe che gettasse un po’ di luce sulle nostre perplessità, come ad esempio sul suo angoscioso dubbio davanti alla inspiegabile concezione verginale della fidanzata, o dopo il ritrovamento del dodicenne Gesù nel tempio di Gerusalemme. Un silenzio su cui grava il dramma. Per la seconda annunciazione dell’angelo a Giuseppe, perché quel lungo silenzio di Dio? Dio chiama chi vuole e come vuole, dice san Paolo nella lettera agli Efesini (4,11): “Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri”.

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 13:29

I tempi dei bimbi: un’occasione da accogliere

di Corinne Zaugg

L’arrivo di un bimbo in famiglia butta per aria schemi e organizzazioni familiari. Poco si cura, infatti, il neonato, se è giorno o se è notte per soddisfare i suoi bisogni di cibo, coccole, sonno e veglia. Per i neo-genitori, forse per la prima volta nella loro vita, si tratta di vivere non in funzione di una propria tabella di marcia ma di assecondare quella di un altro. Entrando in una dimensione temporale nuova, scandita non da appuntamenti e griglie orarie predefinite, ma da una serie di momenti più o meno lunghi e ogni giorno diversi, che si modellano sulle esigenze di questo loro piccolissimo nuovo membro della famiglia. è un passaggio molto difficile e delicato da fare proprio. Soprattutto per la mamma, che spesso fino ad un attimo prima di diventare tale, era una giovane donna dedita ad un mestiere e inserita in un contesto lavorativo e produttivo. La maternità la catapulta dopo solo nove mesi di preparazione, in una vita completamente altra da quella che ha sin qui conosciuto.

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 13:12

Sentieri incrociati tra famiglia, lavoro e festa

del card. Ennio Antonelli

La lettera di Benedetto XVI illustra brevemente anche il tema del VII Incontro Mondiale che egli stesso precedentemente aveva scelto: “La famiglia: il lavoro e la festa”. Gli elementi, che ci offre, sono preziosi per orientare la riflessione sia nelle Chiese locali durante il percorso preparatorio sia a Milano nello svolgimento dell’evento ecclesiale. Il lavoro e la festa sono da considerare non come problematiche a se stanti e in tutta la loro ampiezza, ma solo in relazione alla famiglia, in quanto influiscono fortemente sulla vita di essa. La lettera con un rapido accenno all’antropologia biblica dei primi capitoli del Genesi presenta la famiglia, il lavoro e la festa come benedizioni e doni di Dio, intimamente collegati tra loro e necessari allo sviluppo umano integrale. Come commento si può aggiungere che l’uomo, per vivere e svilupparsi, ha bisogno sia dei beni strumentali, che sono voluti in vista di qualcos’altro, sia dei beni gratuiti, che sono voluti per se stessi. Appartengono alla prima categoria il lavoro, la tecnica, il mercato, il denaro; appartengono alla seconda categoria la famiglia, l’amicizia, la solidarietà, la poesia, la musica, l’arte, la spiritualità, la festa.

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 13:02

Facciamo una “colletta” in famiglia

di Giosy Cento

La  Celebrazione Eucaristica è la massima preghiera che la comunità cristiana può offrire al Padre per mezzo di Gesù e con l’opera dello Spirito Santo. Ci sono due momenti, durante la Santa Messa, nei quali il sacerdote dice esplicitamente la parola preghiamo: dopo il Gloria e dopo la Comunione. Nella Liturgia originaria questo preghiamo è chiamato Colletta, parola che significa, dal latino, “fare una raccolta”.Noi la usiamo, nel linguaggio comune per indicare una raccolta di denaro per qualche necessità particolare. Qui sta ad indicare che il celebrante, in quel momento, raccoglie la preghiera di ciascuno e di tutti nella comunità, e, a nome di tutti, offre questo… Mazzo di preghiere”, come fiori, al Padre. è quindi una preghiera importantissima perché è tutta la comunità che viene rappresentata dal sacerdote e si presenta unita davanti al suo Signore. è una preghiera grande che conclude con il testo, a volte troppo scontato per le nostre orecchie, ma profondissimo: accogli la nostra invocazione per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. E allora la preghiera diventa forte e irresistibile sul cuore del Padre perché detta a Lui, raccomandata da Colui che è il nostro Signore (perché ha dato la vita per noi e si fa nostro garante!).

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 12:59

L’ascolto allarga il panorama del vivere

di Papa Benedetto XVI

La guarigione del sordomuto

«Oggi vorrei riflettere con voi sulla preghiera di Gesù legata alla sua prodigiosa azione guaritrice. Nei Vangeli sono presentate varie situazioni in cui Gesù prega di fronte all’opera benefica e sanante di Dio Padre, che agisce attraverso di Lui. Si tratta di una preghiera che, ancora una volta, manifesta il rapporto unico di conoscenza e di comunione con il Padre, mentre Gesù si lascia coinvolgere con grande partecipazione umana nel disagio dei suoi amici, che Egli vuole aiutare.Un caso significativo è la guarigione del sordomuto (cfr Mc 7,32-37). Il racconto dell’evangelista Marco  mostra che l’azione sanante di Gesù è connessa con un suo intenso rapporto sia con il prossimo - il malato -, sia con il Padre. La scena del miracolo è descritta con cura così: «Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, “Apriti”» (7,33-34). Gesù vuole che la guarigione avvenga «in disparte, lontano dalla folla».

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 12:53

Ogni figlio è un dono

di Gabriele Cantaluppi

L’archeologia e le scienze ad essa connesse hanno contribuito alla ricostruzione grafica del grandioso tempio di Gerusalemme, iniziato nel quarto anno del suo regno da Salomone, la cui costruzione si protrasse per sette anni e al termine dei quali si svolsero con grande solennità i riti di consacrazione al culto.
Come bene esprimeva la preghiera di dedicazione, il tempio richiamava l’alleanza che Dio aveva concluso con il suo popolo, che in tal modo era diventato eredità sacra a Lui: “Tu, Signore, mantieni l’alleanza e la fedeltà verso i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il loro cuore”. A quest’epoca risale anche il rito della presentazione al tempio, col conseguente obbligo per ogni ebreo di andare ad offrire al Signore il proprio primogenito maschio: era un modo per dire “Questo bambino non mi appartiene. E’ tuo, Signore”.  E per riaverlo, con un gesto simbolico, come per riscattarlo, si offriva in sacrificio una coppia di giovani tortore o di colombi. Forse uno strascico di tale usanza era rimasto nella devozione popolare in uso fino a qualche decennio fa, quando la donna che aveva partorito un maschio o una femmina, si recava alla chiesa e, accompagnata dal sacerdote, rendeva grazie a Dio per il dono della nuova creatura.

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 11:18

I figli e i soldi

di Angelo Sceppacerca

Come aiutare adolescenti e giovani nella società del consumismo sfrenato

Il denaro come la ricchezza non sono né buoni né malvagi, dipende da come nascono e da come vengono usati. L’esperienza insegna che il denaro usato come possesso egoistico produce solo frustrazione e disagio

Da un’indagine risulta che il 55% dei giovani italiani non parla di denaro in famiglia. è il dato emerso appena qualche anno fa da una ricerca su “I giovani e il denaro” realizzata al termine di un programma didattico che ha coinvolto 800 scuole e 96.000 studenti in 12 città italiane, ideato per trasmettere ai ragazzi le nozioni basilari delle regole economiche. Su un campione di 2.537 persone, di età compresa tra 11 e 25 anni, sono emersi alcuni atteggiamenti piuttosto diffusi tra i ragazzi nei confronti del denaro: più della metà degli intervistati non viene coinvolto nelle decisioni economiche che riguardano la propria famiglia e il 46% non parla con i genitori né di denaro né di economia. Questa mancanza di dialogo e di educazione finanziaria determina nei giovani, rispetto ai genitori, un atteggiamento molto più disinvolto verso l’utilizzo del denaro: il 19% non pensa a risparmiare e spende il denaro di cui dispone in modo impulsivo, senza pensarci troppo. Eppure per più di 8 ragazzi su 10 è importante imparare ad usare e gestire bene il proprio denaro.

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