Per il sogno della nuova «basilica» aveva nella mente due modelli: uno a Milano e l’altro a Firenze, rispettivamente la chiesa di Sant’Antonio a Porta Volta e la chiesa di San Salvatore a Monte alle Croci, sopra il celebre Piazzale Michelangelo a Firenze. Sul terreno delle nuova chiesa esistevano una trentina di baracche e bisognava trovare una collocazione per quelle famiglie. Nel frattempo arrivarono anche le suore guanelliane specificatamente per la missione del Trionfale.
Era il 1908. Un anno durissimo per don Guanella, alle prese con la questione intricata dell’approvazione delle due Congregazioni; tra l’altro c’era cantiere ovunque: ben quattro chiese tutte in costruzione a Vicosoprano in Val Bregaglia, a Roveredo in Svizzera, a Pianello Lario sul lago di Como e ora anche la Basilica romana all’orizzonte. Don Luigi si fermò a Roma tutto Gennaio e tutto Febbraio, per più di 50 giorni, con l’impegno di firmare l’acquisto e porre in marcia la nuova opera.
Come avvenne la fondazione di San Giuseppe fuori Porta Trionfale.
Furono determinanti quei sei giorni che precedettero il viaggio in Terra Santa; don Guanella era sceso a Roma con il chiaro intento di affittare o acquistare qualcosa. Lì si sarebbero in seguito sviluppate le sue opere romane. Ne scriveva da Milano l’8 Settembre 1902 all’amico don Baroni nel Veneto: “A Roma dimoro alcuni giorni per scorgere se la Divina Provvidenza aiuta per l’impianto di una casetta nella capitale del mondo dalla quale parte ogni benedizione sicut in coelo et in terra”.
Roma si sviluppò in un modo anomalo rispetto alle grandi capitale europee. Roma restò legata in parte all’agricoltura, ma riversando le proprie attenzioni al commercio, all’accoglienza dei pellegrini e al piccolo artigianato.
Quando don Guanella si accinse a costruire la Basilica del Trionfale già conosceva Roma da oltre vent’anni e la vedeva ogni volta più grande, più popolata; allo stesso tempo gli appariva sempre più povera e allo sbando, culturalmente, socialmente e anche religiosamente.
Di fatto se all’indomani della sua proclamazione a Capitale contava 244.000 abitanti, negli anni in cui acquista il terreno ai Prati di Castello, la popolazione dell’urbe è già più che raddoppiata fino ai 532.000. Aumento dovuto alla natalità e all’immigrazione: da tutte le regioni si puntava a Roma e arrivavano funzionari, impiegati, muratori, fornai, autisti, commercianti; ma anche gli uomini della campagna tentavano il salto, il colpo di fortuna. Non mancavano anche i nobili, i benestanti, i professionisti sui quali il richiamo della ‘capitale’ esercitava una forte suggestione.
Aver proclamato Roma capitale del Regno d’Italia portò in città l’apparato burocratico dello Stato, favorendo le produzioni di vario tipo legate al bisogno del momento lasciando in secondo piano l’imprenditoria industriale. Il disagio sociale trovava ad arte il suo collante in un acceso anticlericalismo.
La breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870 non aveva provocato solamente un’apertura nelle mura, ma permesso l’entrata nell'Urbe di una profonda trasformazione, che investirà l’aspetto sociale, politico, economico e amministrativo.
Il raddoppiarsi della popolazione nell’arco di un trentennio fu il primo fattore a causare incidenze sulle condizioni sociali, economiche e sulla struttura urbana.
All’inizio del nuovo secolo, la massa di contadini, manovali e muratori, provenienti dalle regioni del Centro Italia per cercare una sistemazione lavorativa in una città in continua espansione e quindi bisognosa di servizi primari, quali l’abitazione e quelli ad essa collegata, contribuì a modificare l'assetto culturale.
Si formò un proletariato, che viveva una situazione di precarietà, senza un lavoro assicurato e la possibilità di un’abitazione in muratura.
La condizione del Quartiere Trionfale, all’arrivo di don Guanella, doveva essere la fotocopia di quella descritta da don Orione per l’Appio: “Qualche casetta, molte casupole, molti campi e, disperse per i campi, molte famiglie, prive di assistenza spirituale…. Quanta miseria! … Più in là grotte, cave, capanne, tuguri, abitati da un numero imprecisato di povera gente, un po’ dappertutto, e da ogni parte bettole, e poi piste, sentieri, tracce piuttosto che vie, e senza nome”.
Ogni azione finalizzata alla carità aveva come obiettivo la promozione della persona
nella sue dimensioni umane, culturali e religiose.
Una delle caratteristiche della nostra storia italiana è la civiltà dei comuni. Le città del Medioevo erano strutturate attorno ad un triangolo fondamentale per la convivenza civile: il palazzo comunale, la chiesa, il mercato; tre realtà che fornivano le fondamenta alla cultura di un popolo. La chiesa con la sua azione di culto a Dio costituiva la radice stessa della cultura. La cultura è stata definita come «ciò per cui l’uomo, in quanto persona, diventa maggiormente uomo»; quindi, far cultura diventava promozione umana nella quale la fede godeva il ruolo di protagonista. Diceva Giovanni Paolo II che «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta».
Segno della fine del freddo era un tempo l'apparizione del carciofo Cynara cardunculus scolymus che spunta negli orti con le ultime brezze gelide e i timidi venti primaverili. Oggi le tecniche di coltivazione e le importazioni riforniscono i mercati di questi ortaggi durante gran parte dell'anno, mentre assai pregiata è anche la nostra produzione autunno-vernina.
La massaia, quando vedeva sulle piante spuntare i carciofini si rincuorava: la penuria, la scarsità di alimenti stava finendo e la terra cominciava a dare di nuovo i suoi prodotti. Il carciofo poi, arrivando quando le risorse sono tutte esaurite o quasi, aveva la qualità di essere in cucina un prodotto che, a differenza degli erbaggi che finiscono in gran parte come contorni di relativa sostanza, si presta ad essere cucinato in tante maniere e a soddisfare diversi bisogni.
Caro don Mario, colgo l’occasione del suo onomastico per ringraziare dell’iscrizione al suffragio perpetuo per Bruno; la famiglia ha apprezzato molto. Grazie anche per l’immagine con la preghiera a San Luigi Guanella, che recito tutti i giorni insieme al Sacro Manto. San Giuseppe, Gesù e la Madonna mi hanno tanto aiutata nel sopportare tutte le difficoltà e le situazioni dolorose, dandomi la forza di andare avanti con fede e con la loro grazia, perdonando i torti subiti. Le grazie che ho ricevuto in questo anno appena finito sono state di sollievo, serenità e gioia, vedendo la mia famiglia unita con un Natale sereno. Soffro un po’ per il fatto di non poter andare in chiesa per il mio stato di salute che non mi permette di camminare. Seguo la Santa Messa alla radio. Mi scusi se, non poche volte, l’ho importunata con le mie pene ma, fin dalla sua prima lettera, ho capito la sua bontà e la sua fede e la sua comprensione; le sue lettere e le sue preghiere mi hanno tanto aiutata e confortata. Attraverso il mensile ho potuto conoscere bene San Giuseppe e San Luigi Guanella e mi sono sentita meno sola, leggendo specialmente i suoi articoli: quanta fede! Mi congratulo con lei e ringrazio il Signore per averci fatto incontrare. Mi rammarica il fatto di non poter contribuire, come vorrei, alle vostre iniziative ma le mie possibilità economiche sono molto, molto limitate. Non manco però di pregare il Signore per lei e per la Pia Unione perché conservi tutti in salute e vi benedica per il lavoro e il bene che fate. Ancora un caro augurio per il suo onomastico. Con riconoscenza e stima.
Caterina,
Vertova (BG)
Gentilissima
e cara signora Caterina,
La ringrazio della sua lettera e delle sue parole che mi fanno arrossire, nella vita di ognuno importante è fare quello che il cuore suggerisce e la luce e l’energia divina le permettono di compiere: tutto è grazia, tutto è dono di Dio per il bene di tutti; importante è non seppellire i regali che Dio mette nelle nostre mani e nel cuore. Se tutti uomini e donne aprissero i loro scrigni ricolmi di regali come i petali dei fiori si schiudono alla luce e al calore del sole, avremmo un mondo stupendo inondato di gioia e dei colori dell’arcobaleno. Dio, comunque, semina i suoi tesori nell’anima delle persone umili e sorregge le sorti del mondo non con le azioni dei grandi della terra, ma con le correnti sotterranee della preghiera e delle buone azioni delle persone appassionate cercatrici di Dio. Lei come tanti altri iscritti alla Pia Unione fate parte di questo mondo sommerso di energia e di forza e di questo ringrazio la bontà misericordiosa di Dio. Anche da parte mia cerco di «aiutare Dio» a non essere dimenticato nel cuore degli uomini, per questo chiedo l’aiuto della sua preghiera.
Carissimo Direttore,
sono la figlia di una iscritta alla Pia Unione del transito di san Giuseppe da tanti anni.
Purtroppo la mamma ci ha lasciati sabato 7 gennaio 2012.Si era aggravata il giorno del santo Natale, poi ricoverata in ospedale per tutte le festività ed è spirata il giorno dopo l'Epifania.
Prima di lasciare questa terra, ha dovuto sopportare anche le sofferenze dello stare in ospedale, che lei non lo aveva mai provato in 85 anni della sua vita. Questo periodo è stato breve ma intenso, ma da lei sopportato con rassegnazione. Non è comunque mancata l'intercessione del Santo, che io ho pregato ed invocato tante volte in questo periodo, anche rivolgendomi a San Giuseppe presente nel presepe della cappella dell'ospedale e le ha fatto la grazia della buona morte, da lei tante volte invocata e chiesta, perché è spirata nel giorno di sabato, davanti ai suoi due figli e munita dei conforti religiosi. Questa è la nostra consolazione.
Lettera firmata
Don Guanella diceva che «chi dona al povero presta a Dio» e Dio è molto generoso nella sua ricompensa. Nell’evento della canonizzazione lo Spirito di Dio ha seminato propositi di generosità soprattutto indicando la strada maestra della santità nelle Opere di misericordia corporali e spirituali.
Già lo scorso Natale la nostra Pia Unione ha regalato, ai carcerati rumeni di Rebibbia a Roma, 250 copie del Nuovo Testamento nella loro lingua. L’iniziativa ha suscitato interesse tra gli iscritti della nostra Associazione e si vorrebbe estendere l’esercizio di carità attraverso la costituzione di un’associazione di volontariato denominata «Ain Karin- visitare», a ricordo della visita di Maria ad Elisabetta.
L’associazione ha la finalità di rispondere evangelicamente al «questionario» per il lasciapassare dell’eternità, ripercorrendo la galleria dei volti dei poveri in cui il Cristo ha voluto immortalarsi: il carcerato, l’ammalato, l’infermo, l’affamato, i senza tetto, gli immigrati, lo straniero.
L’Associazione s’impegna a inviare la pubblicazione de «La Santa Crociata in onore di San Giuseppe», come altre pubblicazioni a carattere religioso e culturale a tutti i cappellani delle carceri italiane affinché le distribuiscano ai detenuti favorendo la "rievangelizzazione". Durante la recente visita al carcere di Rebibbia, Benedetto XVI ha ricordato che «La Chiesa riconosce la propria missione profetica di fronte a coloro che sono colpiti dalla criminalità e il loro bisogno di riconciliazione, di giustizia e di pace».
Gli associati alla Pia Unione sono invitati a unirsi nella preghiera a questi generosi costruttori di una pace riconquistata e anche a contribuire alle spese che la nostra carità dovrà sostenere per accendere una luce di speranza nell’animo del nostro prossimo. Nella vita di Madre Teresa di Calcutta si legge che quando una giovane si presentava per chiedere di entrare nella sua congregazione, Madre Teresa le diceva di aprire la mano destra e poi di ripiegare le dita uno per volta dicendo: «questo/l’hai/fatto/a/me» - le cinque parole di Gesù nell’evangelo del nostro giudizio finale.
Nel salmo 39 si leggono le parole che ben si addicono al profilo spirituale di Giuseppe, fedele osservante della Legge di Mosè e attivo frequentatore della sinagoga di Nazareth: “Nel rotolo del Libro di me è scritto di compiere il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel profondo del mio cuore”.
Ogni buon israelita, quindi anche Giuseppe, tre volte al giorno recitava, e recita, la benedizioni (come il cristiano inizia e chiude la giornata con la preghiera). E il sabato, nella sinagoga, i riti religiosi si aprono appunto con una benedizione, lo Shemà Israel, la professione di fede nell’unico Dio: “Ascolta, Israele, l’Eterno è il nostro Dio, l’Eterno è uno: Shemà, Israel, Adonai elohenu, Adonai ehad... Questi precetti che ti do staranno nel tuo cuore. Li insegnerai ai tuoi figli, li mediterai in casa e lungo il viaggio, andando a dormire e alzandoti; te li legherai come un segno alla mano; li terrai come frontale tra gli occhi; li scriverai sugli stipiti e sulle porte della tua casa”. Ecco spiegato il significato di quell’astuccio che l’ebreo osservante della Legge, cioè giusto, (come dice l’evangelista) tiene legato sulla fronte. E Giuseppe, fin dall’età matura, a tredici anni, osservava queste prescrizioni, recitando le benedizioni quotidiane.
Francesca ha trent’anni. Alcuni mesi fa il suo bel sorriso si era spento in una brutta depressione post-partum che improvvisamente le aveva fatto apparire la vita come un puzzle troppo difficile da ricomporre. Gli orari della bimba, le mansioni domestiche, la cura del marito le sembravano un compito superiore alle sue forze e quando alla mattina sentiva il marito che si alzava e la bimba che reclamava la sua attenzione, le veniva soltanto voglia di piangere e di voltarsi dall’altra parte per dormire ancora un po’.E più cercava di capire che cosa l’avesse trasformata da giovane donna volitiva nell’ombra di se stessa, meno riusciva a darsene spiegazione e più un forte sentimento di inadeguatezza la sommergeva. Anche Ines ha fatto fatica quando è nato il suo Michele. Educatrice all’asilo nido, felicissima di diventare madre, oggi dice di invidiare le madri che possono andare a lavorare. E Giada le fa eco dicendo che: “Sono davvero interminabili le giornate in casa con un bambino da accudire.”