«Sin dall’inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza, non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita; così ha trovato Cristo, in Cristo, la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia». Così il cardinale Ratzinger ricordava don Luigi Giussani il 24 febbraio 2005, giorno del suo funerale nel duomo di Milano.
Non è semplice sintetizzare la vita di un uomo poliedrico, che è stato un genio dell’umano e della fede. Ma un filo conduttore si può rintracciare in quelle parole di Ratzinger: il cristianesimo come avvenimento di bellezza.
Sembra che la peste nera della nostra epoca sia l’indifferenza. Anche le nobili passioni hanno il fiato corto. Il dinamismo dei grandi valori di ieri sembra paralizzato.
Il mese di giugno sventaglia il suo ottimismo e con la mietitura e i numerosi frutti della terra ci propone di contemplare la natura nel suo massimo splendore ci permette di abbracciare l’Infinito di Dio. Il sapore agricolo delle parabole dell’evangelo ci dice che “il seminatore si fa seme, il vignaiolo si fa vite, il vasaio argilla, il Creatore creatura”. Non solo Dio cammina con noi, ma Dio si fa uno di noi. “Un amore divino nell’uomo e un amore umano in Dio”.
La fede si gioca la sua scommessa in questo campo in cui ci accorgiamo non tanto che noi amiamo Dio, ma che è Dio ad amarci per primo: “Dio ha tanto amato gli uomini sa mandare a noi il suo figlio Gesù”.
L’evangelista san Luca nel comporre il suo evangelo, “la buona notizia” dell’amore di Dio per noi, sottolinea che quando Gesù si avvicina alla realtà s vede fiorire la gioia.
Leggiamo nel vangelo infatti che un bimbo ritrova la vita, un ammalato la salute, una mamma di riabbracciare il figlio pianto come morto, un’anima triste si vede fiorire un sorriso, l’affamato un pezzo di pane, chi è disperato e senza amore si ritrova un cuore caldo di affetto, una mano amica che lo aiuta a proseguire il suo cammino.
Negli scritti di San Luca sia nell’evangelo come negli Atti degli apostoli non lascia mai cadere questa caratteristica.
Dante Alighieri definisce san Luca il pittore della mansuetudine di Cristo.
Nell’ultima riga del suo vangelo san Luca ci fa leggere, e, soprattutto, vivere questo annuncio: dopo che gli apostoli videro Gesù ascendere al cielo tornarono a Gerusalemme con “il cuore pieno di gioia”.
Siamo entrati da pochi giorni nel mese di maggio e maggio è l’esplosione dei colori della vita. I colori diventano l’alfabeto della gioia e cantano l’amore alla vita.
La terra si fa ospitale e i colori dei fiori danno speranza per la raccolta dei frutti.
Nella tradizione della Chiesa il mese di maggio è dedicato alla devozione alla Madonna, il fiore più bello dell’umanità, la madre della speranza che apre il suo essere a Dio e inaugura una felice eternità per l’umanità intera. Maria di Nazareth è il frutto dell’umanità da sempre sognato da Dio. Chi si avvicina con fede a Gesù non può fare a meno di innamorarsi di questa madre tenera ed affettuosa.
“Credo”, e poi “Credo in Dio”: così dall’inizio di questi dialoghi, poi fino qui “Padre Onnipotente”, con l’avvertenza forte che questo “Padre” è solo conseguenza della rivelazione del “Figlio” incarnato, non nome spontaneo dato all’ignoto dal nostro umano sentimento di inferiorità prodotto dall’esperienza del limite e che quell’“onnipotente” non è la smisurata dilatazione del rovescio dei nostri fallimenti e delle nostre impotenze di conoscenza e di potere, che nelle religioni inventate dagli uomini producono “miti” e “riti”, ma percezione profondamente cambiata dall’ascolto e dalla memoria della realtà rivelata e donata nella nostra storia con il Figlio Gesù di Nazaret, crocifisso, morto e risorto.
Un Padre speciale, dunque, non certo ad immagine di ciò che la nostra esperienza spesso contraddittoria chiama “paternità”. Non per nulla a immaginare la paternità della divinità come gelosa della crescita dei figli, rivale ed ostile ad essi era giunta proprio e sempre ogni religione inventata dagli uomini, dalla Persia, all’Egitto, alla Grecia, a Roma. La divinità pensata così da noi esigeva il sacrificio di ciò che era più caro, i primogeniti, e l’offerta di tutte le primizie.
Opportuno ricordare, qui, che il capitolo 22 del Libro della Genesi non è “nuovo” perché Abramo pensa che sia volontà divina il sacrificio di Isacco, ma perché il suo “nuovo” Dio, che lo ha chiamato a partire da Ur e ad avviarsi verso il futuro rifiuta il sacrificio del figlio primogenito, e così si apre quella prospettiva che poi i Padri della Chiesa hanno definitivamente descritto così: quello che Dio non ha chiesto ad Abramo lo ha fatto Lui per noi, sacrificando il Figlio suo sul legno, la Croce, e sul monte, il Calvario…
Abbiamo già parlato del “secondo modo” di pregare secondo Sant’Ignazio, come cioè si deve semplicemente fermarsi sul significato del Padre nostro, illuminando le singole parole con ragionamenti o paragoni, in modo tale che le espressioni che noi usiamo scendano maggiormente nel nostro cuore; per gustare e capire maggiormente quello che diciamo, possiamo ripeterlo più volte, come una sorta di litania, per tutto il tempo che desideriamo, prendendocela comoda, come si dice, ossia fino a quando sentiamo interiormente che quello che abbiamo ripetuto ci illumina e conforta.
Possiamo innanzitutto partire dalla prima parola: “Padre”. Che cosa significa, e che cosa significa per me? Va, innanzitutto, osservato che Dio non è un padre come quelli che abbiamo avuto secondo la carne, ma moltiplicato, per così dire, all’ennesima potenza.
Potremmo dire, al contrario, che i nostri genitori sono “padri” tanto quanto a Lui rassomigliano, e a Lui in qualche modo rinviano. Dio non è la proiezione della nostra esperienza filiale (che potrebbe anche non essere affatto così bella o “divina”), né è un padre assente o un padre padrone; al contrario, noi siamo “padri” tanto quanto assomigliamo a Lui.
Preghiera di offerta
Cuore divino di Gesù,
io ti offro per mezzo
del Cuore Immacolato
di Maria,
Madre della Chiesa,
in unione al Sacrificio
eucaristico,
le preghiere e le azioni,
le gioie e le sofferenze
di questo giorno:
in riparazione dei peccati, per la salvezza
di tutti gli uomini,
nella grazia
dello Spirito Santo,
a gloria del divin Padre.
Amen.
Intenzione Generale
«Perché siano promosse nella società iniziative che difendano e rafforzino il ruolo della famiglia»
Intenzione Missionaria
«Perché Maria, Regina del mondo e Stella dell’evangelizzazione, accompagni tutti i missionari nell’annuncio del suo Figlio Gesù»
Intenzione dei Vescovi
«Gli educatori propongano con coraggio ai giovani la strada stretta della sequela del Signore Gesù con il dono di tutta la vita nel sacerdozio e nella vita consacrata»
Intenzione della Pia Unione
«Preghiera dal carcere»
Signore crocifisso, guardaci
Siamo quelli come te. Condannati. Sul patibolo e dietro le sbarre della vergogna. Anche in attesa dell’esecuzione, per veleno, per corda al collo, per fucilazione o sedia elettrica. Ti basti questo: come Te, inchiodati in croce. A differenza di Te, noi più spesso per colpa, anche se non mancano, tra noi, gli innocenti.
Amico, se tu conoscessi il mistero immenso della detenzione, dove mi trovo! Se vedessi e sentissi quello che vedo tra queste buie mura. E amaramente penso ai miei cari. Che ingiustamente soffrono a causa mia.
Una condannata in carcere
“Conosco il demonio che era dentro di me, ero legata al Male. Ma da quando ho conosciuto il Signore non ho più commesso un gesto di violenza: in questi 14 anni di braccio della morte Gesù, con il suo perdono, è entrato nel mio cuore! Se dovrete uccidermi, fatelo solo per la brutalità del mio crimine, perché io ora sono cambiata…
Vi amo, spero che la mia morte vi dia pace, di nuovo chiedo perdono alle famiglie che ho colpito, ora vado incontro a Gesù, vi aspetto tutti in Paradiso, Lui ha già preparato un posto per me”.
Aquaranta giorni dalla domenica di Risurrezione, la liturgia ci fa vivere il congedo di Gesù dagli Apostoli prima di salire al Padre. Risorto, egli si era reso più volte visibilmente presente in mezzo ai “suoi”, ma giunse il giorno in cui, date loro le ultime istruzioni, «li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo» (Lc 24,50-51). Gesù, fra lo stupore e la commozione dei suoi discepoli, fu elevato in alto e sottratto al loro sguardo. Ritornò in cielo; vi ritornò in quanto uomo, poiché in quanto Dio egli, pur incarnandosi e subendo la morte, era sempre rimasto nella beatitudine della sua intima unione con il Padre e lo Spirito Santo.
La festa dell’Ascensione celebra, quindi, l’esaltazione dell’umanità del Cristo e, in lui, della nostra umana natura. Essa ci aiuta a rinnovare la nostra fede in Colui che, salendo al cielo quale “Figlio dell’uomo”, non ci ha abbandonati, ma ci ha preceduti per riaprirci la via verso la nostra vera patria e di là, con la potenza del suo Spirito, ci sostiene nel faticoso pellegrinaggio terreno.
C’è una frase consolante di San Paolo ai cristiani di Roma: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza». La nostra debolezza è infinita com’è infinita la forza di Dio; anzi nel momento in cui riconosco la mia fragilità, è il momento in cui la potenza di Dio scorre nelle mie vene.
Il mese di maggio con i suoi colori e i suoi profumi ci porta agli anni dell’infanzia, quando sui prati, velati da un basso strato di nebbia, le lucciole stendevano un tappeto luminoso e noi ragazzi, dopo cena, eravamo chiamati a lodare Maria con la recita del rosario, la predica del prete e il fioretto da praticare il giorno successivo. Il sorriso della Vergine Maria riempiva il tramonto della giornata con una carezza di gioia e l’impegno a essere più buoni.
Siamo alla vigilia dei grandi eventi della vita cristiana: accanto all’abisso della violenza degli uomini che non riconoscono in Gesù il messia e lo condannano c’è anche il tradimento degli apostoli, la solitudine di Gesù nel Getzemani, ma dentro alla galleria buia dell’abbandono s’innesta l’evento singolare ed unico della risurrezione di Gesù che finalmente rompe le catene della schiavitù del male e apre lo spiraglio di luce dell’eternità.
Allora vorrei e per questo prego che le mie parole, questa sera, fossero un eco di eternità che riecheggia nella nostre anime.
Cammineremo insieme a San Giuseppe che dal cielo ci è compagno eterno e amico inseparabile.
Un saluto a tutte le ascoltatrici e ascoltatori sintonizzati sulla onde di Radio Mater. Una carezza particolare ai bambini e a tutte le persone in ascolto, soprattutto quelle visitate dal disagio della malattia.
Tenteremo di impregnare del senso dell’amore il nostro soffrire.
Vorrei questa sera iniziare il nostro dialogare con un omaggio ai nonni raccontando questo dialogo tra un nonno e un nipotino.