Festa è un parola importante, necessaria quanto il lavoro, anzi: in questi tempi di diffusa crisi economica, solo il fatto di avere un buon lavoro oggi è già motivo sufficiente per fare festa». La festa è componente fondamentale di una vita che vuole essere pienamente umana, ma è necessario capire cosa è festa. L’uomo moderno, infatti, ha creato il tempo libero, ma ha perso il senso della festa e in particolare della domenica.
Per la famiglia l’esperienza della festa è esperienza di un tempo molto speciale: «Parte dell’emozione della festa è desiderarla, aspettarla e prepararla. Diciamo che essere in festa si apprende, la festa non si improvvisa come non si improvvisa essere amici. La festa è un ingrediente per creare legami che uniscono le persone che diventano parte della nostra vita. Nel focolare della famiglia, la festa è un giorno speciale, dove c’è posto per la contemplazione, l’adorazione, la gratitudine, come è la domenica».
La Chiesa è nata intorno all’Eucaristia e in essa «abbiamo qualcosa di più importante del divertimento: abbiamo l’amore portato agli estremi». Partendo da questa premessa, il card. Sean O’Malley, arcivescovo statunitense, ha proposto la sua riflessione su «Santificare la festa: la famiglia nel giorno del Signore». Secondo il cardinale, «la nostra celebrazione dell’Eucaristia, il sacrifico della messa, è per noi cattolici un pasto familiare. È lì che noi facciamo esperienza dell’amore di Dio e impariamo la nostra identità, chi siamo, perché siamo al mondo e cosa fare della nostra vita. Quando partecipiamo alla messa con loro, insegniamo ai nostri figli e nipoti una delle lezioni più importanti. I bambini che sentono dai loro genitori quanto e perché essi amano la messa, saranno meno portati a paragonare la messa con la televisione e considerarla noiosa».
L’intervento del card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio della famiglia, ha parlato all’Incontro mondiale sul tema: «La famiglia, il lavoro e la festa» e lo ha trattato alla luce del libro della Genesi riguardo ai «tre beni che si realizzano nella relazione con gli altri e con Dio». Questa relazionalità, ha suggerito il cardinale, è da valorizzare: «Gli altri non vanno guardati come rivali da sovrastare e utilizzare, ma come alleati con i quali aiutarsi, per crescere insieme. Non è lecito ridurli a strumento. Sono un bene in se stessi e meritano di essere rispettati, amati e valorizzati. In una stagione della storia nella quale la persona è ridotta ad individuo, la società a gioco d’interessi, la felicità a piacere, la verità a opinione, anche la famiglia, il lavoro e la festa subiscono riduzioni e distorsioni. Tutte le dimensioni della vita devono essere plasmate dall’amore». Nella riflessione del card. Antonelli «non solo nella famiglia e nella festa, ma anche nel lavoro e nell’economia deve prevalere la logica del dono, integrando utilità e gratuità, bene strumentale e bene voluto per se stesso. La famiglia è un fenomeno universale nella storia del genere umano. Ha una struttura permanente, costituita dal rapporto tra i due sessi, legame uomo-donna, e dal rapporto tra le due generazioni, legame genitori-figli, legami non solo affettivi, ma anche etici».
Il card. Antonelli ha concluso il suo intervento con un auspicio: «La cultura individualista, utilitarista, consumista, relativista ha impoverito le relazioni umane e ha compromesso la fiducia tra le persone; ha provocato la crisi dell’economia, del lavoro e della famiglia. La riscoperta dell’uomo come soggetto essenzialmente relazionale e la cura per la buona qualità delle relazioni porteranno al superamento della crisi del lavoro e della famiglia. La crisi fa emergere il malessere latente da tempo e apre prospettive nuove».
«Cari ragazzi, vi dico con forza: tendete ad alti ideali, siate santi! Ma è possibile essere santi alla vostra età? Vi rispondo: certamente! Lo dice anche sant'Ambrogio, grande Santo della vostra Città, in una sua opera: ogni età è matura per Cristo. Non manchi poi la vostra preghiera personale di ogni giorno. Imparate a dialogare con il Signore, confidatevi con Lui, ditegli le gioie e le preoccupazioni, e chiedete luce e sostegno per il vostro cammino».
«Non siate pigri, ma ragazzi e giovani impegnati, in particolare nello studio: è il vostro dovere quotidiano e una grande opportunità che avete per crescere. Siate disponibili e generosi verso gli altri, vincendo la tentazione di mettere al centro voi stessi, perché l'egoismo è nemico della gioia».
Cari ragazzi, tutta la vita cristiana è un cammino, è come percorrere un sentiero che sale su un monte in compagnia di Gesù; con questi doni preziosi la vostra amicizia con Lui diventerà ancora più vera e più stretta. Questa amicizia si alimenta continuamente con il sacramento dell'Eucaristia, nel quale riceviamo il suo Corpo e il suo Sangue. Per questo vi invito a partecipare sempre con gioia e fedeltà alla Messa domenicale, quando tutta la comunità si riunisce insieme a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio e a prendere parte al Sacrificio eucaristico. E accostatevi anche al Sacramento della Penitenza, alla Confessione: è l'incontro con Gesù che perdona i nostri peccati e ci aiuta a compiere il bene».
«La santità è la via normale del cristiano: non è riservata a pochi eletti, ma aperta a tutti. Naturalmente, con la luce e la forza dello Spirito Santo! E con la guida di nostra Madre. Chi è nostra Madre? È la Madre di Gesù, Maria. A lei Gesù ci ha affidati tutti, prima di morire sulla croce. La Vergine Maria custodisca allora sempre la bellezza del vostro 'si" a Gesù, suo Figlio, il grande e fedele Amico della nostra vita».
Ti prepari per tre anni a questo 7° incontro mondiale delle famiglie. Poi ti basta salire sull’auto che viene a prenderti alla stazione e scambiare qualche parola con l’autista, uno dei cinquemila volontari. è un operaio, sindacalista nella sua fabbrica. Ha preso le ferie per lavorare da volontario. Gli basta essere vicino a tante famiglie, lui che la famiglia non l’ha avuta da quando è nato: genitori subito separati; fratelli e sorelle rintracciati – a stento – dopo decine di anni; darebbe chissà che cosa per conoscere e frequentare almeno i nipotini. E per di più ci ringrazia di essere venuti, di portare aria di famiglia, di raccontare che la famiglia c’è e vuole contare. “Vi prego, fatelo anche per me”.
Poi arrivi al banco dell’accoglienza: ragazzi con la maglietta dei volontari e col sorriso pronto ad accogliere, ascoltare, rispondere, accompagnare, risolvere. Sono schierati come piccoli plotoncini; ognuno con la sua guida che, subito, allerta: “Ai posti, ragazzi, sta arrivando il mondo!”.
E' stata festa, sì, il VII Incontro mondiale delle famiglie a Milano. è stato incontro, allegria, gioia. è stato sventolii di bandiere in piazza Duomo quando il Papa ha fatto il suo primo ingresso nel capoluogo lombardo. è stato allegria e commozione sabato sera a Bresso, in occasione della festa delle testimonianze, e soprattutto, è stata festa domenica, quando un milione di famiglie si sono radunate sulla spianata dell’aerodromo per la Messa. Ma è stato anche lavoro. Un lavoro iniziato già mercoledì negli spazi della Fiera di Milano, dove per tre giorni si è svolto il Congresso teologico pastorale dedicato alla famiglia che ha fatto da cornice all’incontro.
“Festa” e “lavoro”, quindi, come recita il sottotitolo di questo VII Incontro mondiale che ha visto la partecipazione di famiglie provenienti da 153 Paesi e che è stato capace di trasformare la “Milano degli affari” nella “Milano degli affetti”. Sempre affannata e di corsa, Milano ha saputo fermarsi per dare, per una volta, spazio ai passeggini e alle carrozzine e adeguare il suo passo a quello incerto e caracollante dei bambini . Non solo all’interno della fiera dove c’erano spazi-gioco riservati esclusivamente a loro, ma anche all’interno stesso del congresso dove bambini e ragazzi hanno avuto la possibilità di partecipare essi stessi ad un congresso a misura loro dal titolo “il Giardino”. In 900, provenienti da tutte le parti del mondo, vi hanno partecipato accuditi da 150 animatori .
Nell’attuale periodo di crisi, la famiglia è il vero – e spesso unico – ammortizzatore sociale, al contempo bersaglio e protagonista della crisi. Da questo presupposto prende le mosse una delle molte iniziative di carattere culturale in preparazione al VII Incontro mondiale delle famiglie, che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno: un ciclo di incontri organizzati dalla Fondazione “Milano Famiglie 2012” in collaborazione con il “Gruppo 24 Ore”. Il percorso è stato presentato nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Milano nell’aprile scorso.
I quattro appuntamenti (il 12 e il 19 aprile e il 10 e il 17 maggio nel capoluogo lombardo), hanno messo a fuoco alcuni temi nodali attraverso altrettante centrature nei titoli proposti: “I giovani: come dialogare con le nuove generazioni”, “L’evoluzione della società e della famiglia oggi”, “L’economia in tempi di crisi, quale sostegno alla famiglia?” e “Nuove politiche sociali e di lavoro per la sostenibilità della famiglia”. Ciascun incontro, oltre agli esperti, ospiterà di volta in volta l’intervento di un cardinale: porteranno la loro voce il card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo emerito di Milano, il card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, e nell’ultimo incontro il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano.
Desidero rivolgere il mio scritto a coloro che sono stati innestati nell’ulivo-Cristo, come dice San Paolo nel capitolo 11 della lettera ai Romani: «Se però alcuni rami (il popolo ebreo) sono stati tagliati e tu, essendo oleastro, sei stato innestato al loro posto, diventando così partecipe della radice e della linfa dell'olivo, non menar tanto vanto contro i rami! Se ti vuoi proprio vantare, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te.
Dirai certamente: Ma i rami sono stati tagliati perché vi fossi innestato io! Bene; essi però sono stati tagliati a causa dell'infedeltà, mentre tu resti lì in ragione della fede. Non montare dunque in superbia, ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te!
Considera dunque la bontà e la severità di Dio: severità verso quelli che sono caduti; bontà di Dio invece verso di te, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai reciso» (Rom. 11, 17-22).
Partiamo carichi di belle e buone motivazioni che la ripetitività, la monotonia, l’assenza di riconoscimenti e gratificazioni, vanno via via esaurendo come un motore che perde giri, come una giostra al termine della sua corsa. Succede anche in famiglia. Succede anche nelle relazioni. Persino in quelle nate con e per amore. Improvvisamente ci troviamo fuoristrada, a chiederci perché mai ci troviamo lì. Cos’è quella stanchezza che accoglie il nostro risveglio mattutino. Cosa sono quei visi scuri da cui è scomparsa ogni ombra di sorriso. è (anche) per questo che eventi come quello in programma a giugno a Milano sono importanti. Le Giornate mondiali della famiglia non sono vetrine di famiglie felici. Non sono esposizioni di unioni riuscite. Non è la celebrazione delle famiglie numerose. Perché se così fosse sarebbero ben pochi ad essere invitati alla festa.
Francesca ha trent’anni. Alcuni mesi fa il suo bel sorriso si era spento in una brutta depressione post-partum che improvvisamente le aveva fatto apparire la vita come un puzzle troppo difficile da ricomporre. Gli orari della bimba, le mansioni domestiche, la cura del marito le sembravano un compito superiore alle sue forze e quando alla mattina sentiva il marito che si alzava e la bimba che reclamava la sua attenzione, le veniva soltanto voglia di piangere e di voltarsi dall’altra parte per dormire ancora un po’.E più cercava di capire che cosa l’avesse trasformata da giovane donna volitiva nell’ombra di se stessa, meno riusciva a darsene spiegazione e più un forte sentimento di inadeguatezza la sommergeva. Anche Ines ha fatto fatica quando è nato il suo Michele. Educatrice all’asilo nido, felicissima di diventare madre, oggi dice di invidiare le madri che possono andare a lavorare. E Giada le fa eco dicendo che: “Sono davvero interminabili le giornate in casa con un bambino da accudire.”
L’arrivo di un bimbo in famiglia butta per aria schemi e organizzazioni familiari. Poco si cura, infatti, il neonato, se è giorno o se è notte per soddisfare i suoi bisogni di cibo, coccole, sonno e veglia. Per i neo-genitori, forse per la prima volta nella loro vita, si tratta di vivere non in funzione di una propria tabella di marcia ma di assecondare quella di un altro. Entrando in una dimensione temporale nuova, scandita non da appuntamenti e griglie orarie predefinite, ma da una serie di momenti più o meno lunghi e ogni giorno diversi, che si modellano sulle esigenze di questo loro piccolissimo nuovo membro della famiglia. è un passaggio molto difficile e delicato da fare proprio. Soprattutto per la mamma, che spesso fino ad un attimo prima di diventare tale, era una giovane donna dedita ad un mestiere e inserita in un contesto lavorativo e produttivo. La maternità la catapulta dopo solo nove mesi di preparazione, in una vita completamente altra da quella che ha sin qui conosciuto.
La lettera di Benedetto XVI illustra brevemente anche il tema del VII Incontro Mondiale che egli stesso precedentemente aveva scelto: “La famiglia: il lavoro e la festa”. Gli elementi, che ci offre, sono preziosi per orientare la riflessione sia nelle Chiese locali durante il percorso preparatorio sia a Milano nello svolgimento dell’evento ecclesiale. Il lavoro e la festa sono da considerare non come problematiche a se stanti e in tutta la loro ampiezza, ma solo in relazione alla famiglia, in quanto influiscono fortemente sulla vita di essa. La lettera con un rapido accenno all’antropologia biblica dei primi capitoli del Genesi presenta la famiglia, il lavoro e la festa come benedizioni e doni di Dio, intimamente collegati tra loro e necessari allo sviluppo umano integrale. Come commento si può aggiungere che l’uomo, per vivere e svilupparsi, ha bisogno sia dei beni strumentali, che sono voluti in vista di qualcos’altro, sia dei beni gratuiti, che sono voluti per se stessi. Appartengono alla prima categoria il lavoro, la tecnica, il mercato, il denaro; appartengono alla seconda categoria la famiglia, l’amicizia, la solidarietà, la poesia, la musica, l’arte, la spiritualità, la festa.
«Siate figli del Padre vostro che è nei cieli… Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». «Siate figli del Padre vostro che è nei cieli… Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,45.48). L’esigenza di Gesù nei riguardi dei suoi discepoli si rivela qui estrema, corrispondente, d’altra parte, alla dignità di “figli”.
Dignità che egli con la sua Incarnazione ha conferito a tutta l’umanità. Il principio “la nobiltà obbliga” non deve forse valere nei riguardi di Dio che ci ha fatto questo dono? Ne segue che un comportamento simile a quello, pur “corretto”, dei pubblicani e dei pagani non corrisponde alla nuova situazione dei “figli del Padre celeste”.
Ecco allora l’esigenza di una “educazione” a questa nuova realtà, attraverso quei mezzi ordinari già predisposti dalla natura, primo tra i quali, per l’uomo, la famiglia. Nell’Esortazione apostolica Redemptoris custos, Giovanni Paolo II, molto sensibile al tema della famiglia, non manca di considerare “il sostentamento e l’educazione di Gesù a Nazaret”: “La crescita di Gesù ‘in sapienza, in età e in grazia’ (Lc 2,52) avvenne nell’ambito della santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l’alto compito di ‘allevare’, ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella Legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre” (n.16).
La nostra immaginazione difficilmente riesce a entrare nel mistero dell’Incarnazione. Pur credendo che Dio si è fatto veramente uomo “in tutto” simile a noi, fuorché nel peccato, pensiamo istintivamente che qualche eccezione ci debba essere stata. La letteratura apocrifa dei primi secoli, infatti, non ha potuto fare a meno di presentare Gesù come protagonista di tanti episodi meravigliosi, che la Chiesa, tuttavia, ha istintivamente rifiutati, anche se non irriverenti, ma semplicemente perché uscivano “dalla norma” di vita dell’uomo, come Gesù ha voluto essere considerato: cittadino di un oscuro paese, Nazaret; figlio di un artigiano, Giuseppe. Anche l’iconografia alla quale siamo abituati non ha saputo resistere all’eccezione, raffigurando Gesù sempre con un’aureola luminosa, che certamente non faceva parte della sua figura. Il vangelo di Matteo puntualizza con chiarezza l’origine divina di Gesù, concepito da Maria per opera dello Spirito Santo. Si tratta in questo caso di un evento necessariamente eccezionale, perché riguardante la “preesistenza” divina della Persona di Gesù; esso, tuttavia, non è stato affatto appariscente e conseguentemente Gesù è stato considerato “il figlio di Giuseppe”. I racconti immediatamente successivi a quello del concepimento ci mostrano subito con chiarezza la “fragilità” di questo Dio fatto uomo, che non fa nessun uso della sua potenza, ma come tutti gli altri esseri umani “fugge” dalle insidie che minacciano la sua vita.
Non vogliamo entrare qui nella teologia biblica della fuga di Gesù in Egitto, del suo ingresso nella “terra d’Israele” e della sua dimora a Nazaret, racconti di grande interesse per l’evangelista Matteo, che vede in tali episodi la realizzazione di un piano divino già contenuto nell’Antico Testamento. Fermiamo, invece, la nostra attenzione sul “comportamento” di Gesù, che si rimette totalmente alle decisioni prese dal suo padre putativo Giuseppe, chiaramente guidato dalla volontà divina, trasmessagli per il ministero di un angelo, ma “senza sconti” sulla loro esecuzione; tale comportamento evidenzia la sua fede, che lo avvicina a quella di Abramo, introduttore, costui, dell’Antica Alleanza, come Giuseppe lo è della Nuova, secondo la felice intuizione di Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica “Il Custode del Redentore” (n.32).
Su tale comportamento, che è quello proprio del mistero dell’Incarnazione, si era soffermato già Origene (183-255), una delle più rilevanti personalità della Chiesa antica. Che necessità aveva Gesù di fuggire in Egitto, avendo Dio la possibilità di usare altri mezzi? Nessuna, ma “era necessario che colui che aveva decretato di vivere in modo umano tra gli uomini, non si esponesse inconsideratamente alla morte, ma che si lasciasse guidare dai nutrizi… Che cosa c’è di assurdo per colui che aveva assunto la natura umana, provvedere in modo umano per affrontare i pericoli? Non perché ciò non avesse potuto essere fatto in altro modo, ma perché si doveva provvedere alla salvezza di Gesù secondo un certo modo e ordine. Certamente era più che sufficiente per il bambino Gesù evitare le insidie di Erode, fuggendo in Egitto con i suoi genitori fino alla morte dell’insidiatore”. Insomma, per la difesa di Gesù, che aveva voluto vivere in modo umano, seguendo la via ordinaria, la protezione paterna doveva bastare. Ovviamente Giuseppe non poteva essere il vecchietto creato dalla fantasia degli apocrifi, necessitati conseguentemente a inventare una serie ininterrotta di miracoli per arrivare al lieto fine. Ne segue che l’invenzione del “vecchietto”, nonostante il suo lungo successo, va rigettata per la semplice ragione della sua contraddizione con la legge della “normalità”, che deve caratterizzare il mistero del’Incarnazione.
Anche il vescovo san Pietro Crisologo (380-450), teologo insigne dell’incarnazione del Verbo, dopo aver descritto con grande eloquenza e ricchezza di paragoni i pericoli e le difficoltà affrontate dalla santa Famiglia, si pone la domanda circa un opportuno intervento di Dio per evitarli o almeno limitarli. “Colui che la verginità non ha fermato nella sua nascita, al quale la ragione non si è opposta, al quale la natura non ha potuto resistere, quale potenza, quale forza, quale pericolo prevale ora per costringerlo alla fuga?... Cristo si salva con la fuga!”. Dopo una coinvolgente descrizione della fuga di Cristo, l’oratore così conclude: “Fratelli, la fuga di Cristo è un mistero, non l’effetto del timore; avvenne per la nostra liberazione, non a causa di un pericolo del Creatore; fu un effetto della potenza divina, non della fragilità umana; questa fuga non mira a evitare la morte del Creatore, ma a procurare la vita del mondo”. Insomma, bisogna tener in conto che i disegni di Dio non sono i nostri.
In una omelia del secolo VI, attribuita erroneamente a san Giovanni Crisostomo, ritorna lo stesso problema teologico. L’oratore pone in bocca a Giuseppe la domanda all’angelo circa il motivo del comando della fuga: “Come il figlio di Dio fugge davanti all’uomo? Chi libererà dai nemici, se lui stesso teme i suoi nemici?”. Ecco la risposta: “Innanzi tutto, egli fugge per rispettare in tutto la regola dell’umana natura, che aveva assunta; nel caso particolare, perché conviene e alla natura umana e all’età infantile fuggire il potere minaccioso”. La domanda in realtà è la nostra, perché di fatto Giuseppe non fece nessuna domanda, tanto la sua obbedienza era pronta e generosa. Interessante è il commento dello stesso autore all’ordine dell’angelo: “Prendi il bambino e sua madre” (Mt 2,13.20). “Vedi che Giuseppe non era eletto per un matrimonio ordinario con Maria, ma per servirla? Nel suo viaggio in Egitto e ritorno, chi l’avrebbe aiutata in così grande necessità, se non fosse stata a lui sposata? Infatti, a prima vista, Maria nutriva il Bambino, Giuseppe custodiva. Di fatto il Bambino nutriva la madre e Giuseppe difendeva. Perciò non dice: Prendi la madre e il suo bambino, ma Prendi il bambino e sua madre, perché questo figlio non è nato per lei, ma lei è stata preparata madre per quel figlio. Né era gloria del figlio avere quella madre, ma di lei era la beatitudine di avere questo figlio”. Insomma, Maria e Giuseppe esistono e vivono solo per Gesù, che occupa il posto centrale.
Quanti utili insegnamenti ci vengono dal testo evangelico, vera scuola di vita quotidiana. Innanzi tutto, l’importanza delle istituzioni, il matrimonio in prima linea, assunto dallo stesso Figlio di Dio per la sua incarnazione e conseguentemente prima realtà umana “santificata” dalla sua divina presenza. Inoltre, il ruolo che nel matrimonio è assegnato ai coniugi in relazione ai figli, i quali non ne sono un semplice prodotto programmabile e disponibile. Nel caso di Maria e Giuseppe, è vero, si tratta dello stesso Figlio di Dio, la seconda Persona della Santissima Trinità; tuttavia, per quanto ci riguarda, è parimenti vero che ogni persona umana è figlio adottivo di Dio. Infine, dobbiamo credere che la “divina Provvidenza” è sempre presente e operante, anche nei casi in cui il suo agire non è sempre comprensibile e, a volte, addirittura sconcertante.
San Giuseppe rimane un “insigne esempio” di fede e di obbedienza per tutti gli sposi e padri. Il fatto di non averne tenuto sufficientemente conto nel passato, emarginandone o addirittura ridicolizzandone la presenza e la figura, si ripercuote oggi pesantemente sull’immagine del matrimonio e dei suoi componenti, incamminati verso la mercificazione dei propri valori.
La Bibbia inizia il racconto della storia della salvezza con Dio “creatore”. Le cose vengono all’esistenza in risposta alla sua parola, divenendo l’immagine “visibile” di quanto egli progetta e vuole, processo che culmina e si conclude nell’uomo: “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1, 27). La descrizione dettagliata della formazione dei “due” – l’uomo maschio e femmina - vuole sottolineare insieme l’“unità” nella “diversità” (Gen 2,18-24).
Una riflessione “sapienziale” sul racconto della creazione, tenuto conto di tutta la storia sacra e dello sviluppo teologico, ci porta a scoprire il significato profondo delle cose, risalendo dal visibile “creato” alla sua sorgente, ossia all’invisibile “Creatore”, “amante della vita”, come leggiamo nel libro della Sapienza:
“Tu, infatti, ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualche cosa, non l’avresti neppure formata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza? Tu sei indulgente verso tutte le cose, perché sono tue,
Signore, amante della vita” (11, 24ss.).
La comunione coniugale costituisce il fondamento sul quale si viene edificando la più ampia comunione della famiglia, dei genitori e dei figli, dei fratelli e delle sorelle tra loro, dei parenti e di altri familiari.
Tale comunione si radica nei legami naturali della carne e del sangue, e si sviluppa trovando il suo perfezionamento propriamente umano nell’instaurarsi e nel maturare dei legami ancora più profondi e ricchi dello spirito: l’amore, che anima i rapporti interpersonali dei diversi membri della famiglia, costituisce la forza interiore che plasma e vivifica la comunione e la comunità familiare.
La famiglia cristiana è poi chiamata a fare l’esperienza di una nuova e originale comunione, che conferma e perfeziona quella naturale e umana. In realtà, la grazia di Gesù Cristo, «il Primogenito tra molti fratelli», è per sua natura e interiore dinamismo una «grazia di fraternità», come la chiama san Tommaso d’Aquino.