Alla fine del nostro precedente incontro siamo giunti al vero “nuovo”, al vero Dio del nostro Credo cristiano e cattolico. Dio, dopo aver “in molte circostanze e in molti modi” (Ebrei 1, 1) parlato al Suo popolo si rivela definitivamente e si dona in Gesù di Nazaret, nato dal grembo di una donna del popolo, offerto fraternamente come “pane” che si spezza per tutti, acqua che sgorga dal grembo di Dio e invade la storia, servendosi anche di quei Dodici, poveri uomini peccatori che hanno formato la prima comunità di cristiani, e apre la via alla salvezza degli uomini nella storia e fino alla vita eterna. Cristo morto e risorto è tornato al Padre, ma non ci ha lasciati soli.
La Pentecoste è l’invasione dello Spirito Santo nella nostra vita. Tutta la nostra vita, se vogliamo, è guidata, sorretta, accarezzata da Dio, anche quando non lo sentiamo: Gesù era amato dal Padre anche quando sulla croce pareva che fosse dimenticato. «La speranza - dice Paolo - non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori». (Romani 5,5)
Vogliamo imparare a pregare con una delle preghiere più semplici e comuni del popolo cristiano, l’Ave Maria. Dopo il “Padre nostro” è certamente la più frequente sulle nostre labbra, ed è importante capire che cosa diciamo mentre preghiamo. La parola “Ave”, com’è noto, in italiano non significa niente, ed ha senso solo quando noi la usiamo in questo contesto, in quanto tutti noi sappiamo che comunque intendiamo ripetere il saluto che l’Angelo rivolse a Maria nell’annunciazione: anzi, è lo stesso suo saluto, e questo mostra innanzi tutto come sia una preghiera ispirata alla sacra scrittura, che trova le sue radici in essa.
“Ave” è un’espressione latina, che traduce il verbo greco “cháire”, che significa esattamente “rallegrati”: “Ave Maria” significa quindi “rallegrati Maria”, ed è una citazione del profeta Sofonia, quando questi invita Gerusalemme a rallegrarsi perché si sono compiuti i tempi messianici. In tal modo, con questa espressione che troviamo nel vangelo di Luca, e che Luca riprende dall’Antico Testamento, contempliamo in Maria la vera “figlia di Sion”, la personificazione di Gerusalemme, la fede dell’Antico Testamento compiuta e perfetta.
La spiritualità del tempo di Quaresima
è un costante appello a ritornare a Dio.
Far dimorare Dio al centro dei nostri interessi
e gestire il nostro vivere in comproprietà
Già all’inizio del IV secolo si ha testimonianza della pratica, nella Chiesa, di un periodo di quaranta giorni in preparazione alla celebrazione del Sacro Triduo pasquale – Passione, Morte e Risurrezione di Cristo – che è il centro di tutto l’anno liturgico.
Originariamente questo tempo – che trae il suo significato simbolico dai quarant’anni della traversata del deserto da parte del popolo eletto (esodo), dal ritiro di Mosè sul Sinai e più ancora di Gesù stesso nel deserto all’inizio della sua predicazione – coincideva con la preparazione dei catecumeni che a Pasqua avrebbero ricevuto il Battesimo. Essi erano così premurosamente sostenuti da tutta la comunità cristiana che con loro si preparava ad una nuova rinascita spirituale. La Quaresima era pure con il periodo in cui i pubblici peccatori si sottoponevano ad una particolare austerità di vita, per essere riammessi, il Giovedì Santo, nella comunità ecclesiale accostandosi alla mensa eucaristica.
Cuore divino di Gesù,
io ti offro per mezzo
del Cuore Immacolato
di Maria,
Madre della Chiesa,
in unione al Sacrificio
eucaristico,
le preghiere e le azioni,
le gioie e le sofferenze
di questo giorno:
in riparazione dei peccati, per la salvezza
di tutti gli uomini,
nella grazia
dello Spirito Santo,
a gloria del divin Padre.
Amen.
«Perché tutti i popoli abbiano pieno accesso all'acqua e alle risorse necessarie al sostentamento quotidiano»
«Perché il Signore sostenga lo sforzo degli operatori sanitari delle regioni più povere nell'assistenza ai malati e agli anziani»
«Ogni comunità investa le migliori energie per educare le nuove generazioni alla vita buona del Vangelo»
«Per le vittime della violenza dai mille volti (in famiglia)»
Noi ti preghiamo, Signore, per noi stessi e per la nostra famiglia: guarisci e sostieni le vittime, tocca il cuore e risana chi colpisce, perché alla fine è la famiglia a soffrire. Amen.
“Nell’accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata, il cristiano esprime un aspetto importante della propria testimonianza evangelica, sull’esempio di Cristo, che si è chinato sulle sofferenze materiali e spirituali dell’uomo per guarirle”.
Lo scrive Benedetto XVI, che nel Messaggio per la XX Giornata mondiale del Malato – in programma l’11 febbraio, sul tema: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato” (Lc 17,19) – si sofferma sui “sacramenti di guarigione”, cioè sul sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, e su quello dell’Unzione degli Infermi, che hanno il loro “naturale compimento” nell’Eucaristia.
Mi piace iniziare questo mese di febbraio immergendomi in un bagno di luce. La liturgia ci invita a entrare in questo avvolgente e consolante messaggio di luce. Dopo i quaranta giorni dalla nascita di Gesù, la Chiesa, sapiente madre e maestra di vita, ci invita a celebrare la Presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme come festa della luce; giorno di luce poiché festa di un dono. Giuseppe e Maria con animo grato, in ossequio alla legge antica, offrono al Padre di ogni vita, il primogenito, Gesù.
In quella circostanza, pur nel rigore della stagione invernale, il tempio si era illuminato. In quel primogenito c’era la luce; in quella vita offerta era racchiusa la luce del mondo. La saggezza popolare ha chiamato il 2 febbraio «la candelora», infatti, i ceri diventano un’offerta disponibile a farsi luce. Come una conchiglia aperta allo splendore della luce, la cera nel momento in cui si consuma si fa fiamma. Per il credente ogni istante, progetto, pensiero, sentimento, ogni preghiera vissuta in compagnia di Gesù si trasformano in sorgente di luce. Nella concretezza della nostra carne si realizza l’espressione del salmo: «Nella tua luce vediamo la luce».
Il tempo ha la misura dello spazio della vita ed esprime concretamente la latitudine della nostra missione nella realtà umana. In un’epoca in cui tutto sembra dovuto e che l’esistenza si pensa che sia un giocattolo a uso e consumo personale, senza alcun impegno di responsabilità verso il prossimo, oggi, invece per il cristiano, attento e coscienzioso più che mai è necessario recuperare le sue responsabilità a livello sia di cittadino sia come membro della comunità ecclesiale.
San Giuseppe, ancora una volta, si presenta come modello di responsabilità generosa e attiva ed è per questo che, in preparazione alla sua solennità del 19 marzo, gli iscritti alla Pia Unione di San Giuseppe hanno la possibilità di ritrovarsi nella basilica a Lui dedicata dalle ore 16.00 alle 17.00 nelle sette domeniche precedenti alla solennità del nostro grande Patriarca. «Le 7 domeniche» iniziano dal 29 gennaio a domenica 11 marzo.
In una stagione un poco «asmatica», a livello di pratica cristiana, lo Spirito Santo offre a tutti di devoti di San Giuseppe la possibilità di rispolverare la grande missione che Dio ha affidato a ogni battezzato e offrire alle persone di buona volontà la tonificante rugiada della preghiera a favore di tanti nostri fratelli e sorelle che hanno smarrito l’abitudine a stare davanti a Dio, unica fonte della vita e della gioia.
Vogliamo ripercorrere qui una linea che rintracci come la Provvidenza abbia segnato il corso dell'anno con una successione di piante che appaiono sulla terra, alle quali l'uomo è sempre ricorso, soprattutto nella povertà, per sopravvivere anche in tempi di scarsità o indigenza.
Queste piante in campagna stanno dietro la casa, nell'orto, e costano solo la fatica del coltivarle. Il primo ortaggio, il più utile nel cuore del freddo, è il cavolo che resiste al gelo senza mancare mai, nelle varie specie, nel corso dell'anno.
Con il temine cavolo si indicano parecchie varietà orticole che si danno il cambio nelle varie stagioni, tanto che il cavolo si trova in specie diverse quasi tutto l'anno. Tuttavia, guardando un orto d'inverno si potrà pensare che non offre nulla per la tavola, cosa non vera, perché l'occhio esperto troverà che vi crescono alcune verdure che furono il sostegno alimentare della povera gente nel periodo freddo dell'anno in cui la penuria dei prodotti della terra si fa sentire.
Attesa, attenzione, vigilanza: sono i termini tipici del vocabolario dell’Avvento, sono le parole chiave del lessico di una sentinella.
Nel linguaggio biblico la realtà della sentinella contribuisce a definire il nostro status di pellegrini ogni giorno, di forestieri in ogni luogo, di nomadi che ogni mattina levano la tenda e ogni sera la ripiantano, finché ci sarà data una dimora per sempre. Quella della sentinella è un’immagine evocata da Benedetto XVI nel discorso rivolto ai partecipanti all’incontro promosso dalla Caritas italiana in occasione del 40° anniversario di fondazione. “Le Caritas – ha osservato il Pontefice – devono essere come sentinelle, capaci di accorgersi e di far accorgere, di anticipare e di prevenire, di sostenere e di proporre vie di soluzione nel solco sicuro del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa”.
Il giorno della Pentecoste celebra la nascita della Chiesa: lo Spirito Santo diventa l’anima dei credenti, è il vento nelle vele della Chiesa che la sospinge verso i porti dell’umanità. Alla scuola di Maria i discepoli hanno imparato a conoscere il mistero racchiuso nelle parole di Gesù e da questa presenza hanno attinto la forza della loro missione nel mondo. Solo San Giacomo riceverà il martirio a Gerusalemme, gli altri apostoli testimonieranno la loro fede in Gesù sulle vie del mondo. Pietro è a Roma. Tommaso in India. Paolo è pellegrino nelle città del Mediterraneo.