Nell’itinerario di “rivisitazione” dei documenti del Concilio Vaticano II non può mancare un’attenzione particolare alla Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo. Tra tutti i documenti conciliari forse questo poteva essere considerato meno interessante per chi aveva abbracciato la vita monastica claustrale, la quale è, per sua natura, vocazione di “separazione dal mondo”. Ma già alla lettura del Proemio ci si poteva convincere che non era affatto così. Personalmente, lo sentii subito molto consono al mio modo di intendere e vivere la mia vocazione, che era andata maturando proprio nei difficili anni della guerra e dell’immediato periodo post-bellico, quindi a contatto con la più atroce e insensata violenza, a contatto con il dolore umano, nell’esperienza dell’impotenza a lenire tanta sofferenza e a fasciare le ferite di tanti cuori…
Come tutti sanno, il Rosario è una preghiera molto comune; tuttavia, come tutte le cose comuni, deve probabilmente essere scoperta ancora da molti, e riscoperta da chi già la frequenta, perché l’uso abitua a tutto, e logora il significato delle cose anche più belle. Ci proponiamo dunque di riflettere, all’inizio di questo mese di ottobre, su come possiamo meglio pregare con questa devozione così antica e diffusa, per poterne più trarre frutto.
Riprendiamo il nostro “viaggio” a tappe sulla “strada” del Credo, una strada pavimentata dalla grazia dello Spirito Santo riversato nella Pentecoste sugli Apostoli e su Maria, quindi sulla Chiesa nei secoli e a poco a poco poi, appunto nel “Credo”, formulato nel corso dei primi secoli, giunto fino a noi con il sigillo del “deposito” della fede. Siamo all’incontro n. 22, se non sbaglio i conti… Abbiamo percorso per tre incontri successivi (18, 19 e 20) la rivelazione dell’avventura del Figlio, “immagine” unica di Dio.
Varie sono le difficoltà che rendono più difficile all’uomo di oggi coltivare la Parola per esserne interiormente abitato e fortificato. Innanzitutto il clima di dispersione dell’attuale cultura delle immagini e delle comunicazioni, dove le parole si moltiplicano e si svuotano di senso, e inoltre un diffuso attivismo con sovraccarico di impegni, per cui il tempo non ha più il suo ritmo, le sue feste; ne consegue uno stato permanente di stanchezza, di stress che genera una incapacità, quasi una insofferenza, a fermarsi per dedicarsi gratuitamente alla preghiera e alla lectio divina, ossia allo stare regolarmente a colloquio, a cuore a cuore, con Gesù, per crescere in quella conoscenza che è amore. Infatti, la Parola di Dio non trasforma l’uomo se non scende nel suo cuore e non vi dimora, proprio come avvenne in Maria nel mistero dell’Incarnazione e come Gesù stesso diceva agli apostoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).