di Gianni Gennari
Il compito della missione nasce in noi con il battesimo realizzandosi in modi diversi, ma l’essenza è per tutti la medesima. L’impegno della missione con papa Francesco risuona con toni diversi, ma il messaggio è antico: «Andate in tutto il mondo».
Nel precedente incontro abbiamo letto nel “discese all’Inferno” il mistero della salvezza in Cristo morto e risorto offerta a tutti gli uomini da sempre e per sempre. Questo però non vuol dire che tutto è solo cosa di Dio. Per coloro che li hanno ricevuti, quindi per noi, Battesimo e Cresima sono base della missione cristiana. La salvezza, per quanto dipende da Dio, è offerta in modo misterioso alla libertà di tutti gli uomini, di tutti i tempi e di tutti i luoghi, dalla misericordia infinita della grazia di Dio…
Noi dovremmo solo ringraziare il Signore che ci ha dato coscienza di una salvezza “privilegiata”? Invece non è così: aver ricevuto l’annuncio, la grazia della figliolanza divina e la fede vissuta nella Chiesa di Gesù vivo alla destra del Padre, ci dà l’obbligo di comunicare questo a tutti coloro che incontriamo. Lui è “disceso agli Inferi”, annunciatore e – Lui – portatore in prima persona della salvezza. Anche i suoi discepoli sono chiamati a discendere nelle profondità della esistenza umana. Oggi Papa Francesco parla della nostra “missione” alle “periferie esistenziali”, che poi sono tutta l’umanità – con la stessa “missione” di un annuncio che – dice spesso – si fa “anche con le parole”. Qui, dunque, è il mistero della “missione” cristiana che ci riguarda tutti. I “dodici”, e gli altri discepoli, l’hanno capito alla Pentecoste, che li ha trasformati da uomini dominati dalla “paura” in annunciatori senza posa di quella salvezza nel nome di Gesù… E noi? La missione, in sostanza, ci viene dalla grazia nello Spirito Santo, che alla radice ci è offerta nel Battesimo e nella vita ecclesiale. Non è “una” conseguenza della salvezza, la missione, ma ne è la sostanza: solo chi annuncia si salva, e infatti – lo vedevamo alla fine dell’incontro scorso – Paolo non scrive “guai a voi…”, ma “guai a me, se non vi avrò annunziato il Vangelo” (I Cor. 9, 16),
Battesimo e Cresima sono la nostra Pentecoste, e da essi scaturisce la “missione” cristiana, modulata in modo corrispondente alla vita di ciascuno di noi nella differenza di carismi e servizi (“ministeri”) che nella storia si sono manifestati come condizioni dell’annuncio, coessenziale alla Grazia di Dio che si impossessa – da Padre, da Fratello, da Spirito di Amore, mai da padrone! – della vita delle sue creature che aprono la loro libertà alla sua presenza divinizzatrice…
La missione dunque è dovere di tutti i discepoli di Cristo. Essa si realizza in modi diversi, ma la sua essenza è per tutti la stessa…Oggi la sentiamo risuonare con una voce certamente “nuova” per i toni, la comunicazione spontanea, la vivacità connaturata di Francesco, ma che è l’invito che risuona nel mondo, e nella Chiesa, da 2000 anni: “Andando in tutto il mondo annunziate il Vangelo!”
Qui risparmio parole mie, e utilizzo le recenti parole forti di Francesco alla frontiera dolorosa e drammatica di Lampedusa, icona dell’umanità tutta, nel settembre scorso. Eccone alcuni brani.
“Cari fratelli e sorelle, (…) Oggi la Parola di Dio ci parla della missione. Da dove nasce la missione? (…) Nasce da una chiamata, quella del Signore e chi è chiamato da Lui lo è per essere inviato. Quale dev’essere lo stile dell’inviato? Quali sono i punti di riferimento della missione cristiana? Le Letture che abbiamo ascoltato ce ne suggeriscono tre: la gioia della consolazione, la croce e la preghiera…”.
Primo: le parole di Isaia – prima lettura del giorno – e la gioia dopo l’oscurità dell’esilio: “Ora per Gerusalemme è venuto il tempo della consolazione (…) È un grande invito alla gioia. Perché? (...) Perché il Signore effonderà sulla Città santa e sui suoi abitanti una “cascata” (…) di tenerezza materna: «Sarete portati in braccio e sulle ginocchia sarete accarezzati» (v. 12) (…) «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» ( v. 13). Ogni cristiano e soprattutto noi, siamo chiamati a portare questo messaggio di speranza che dona serenità e gioia: la consolazione di Dio, la sua tenerezza verso tutti (…) trovare il Signore che ci consola e andare a consolare il popolo di Dio. Questa è la missione (…)Noi testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore, che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene. La gioia di portare la consolazione di Dio!
Secondo: “Il secondo punto di riferimento della missione è la croce di Cristo. San Paolo, scrivendo ai Galati, afferma: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (6,14).(…) Questo è il mistero pasquale di Gesù: mistero di morte e di risurrezione (…) Il mistero pasquale è il cuore palpitante della missione della Chiesa!
E se rimaniamo dentro questo mistero noi siamo al riparo sia da una visione mondana e trionfalistica della missione, sia dallo scoraggiamento che può nascere di fronte alle prove e agli insuccessi (…) Conformarsi alla logica della Croce di Gesù, che è la logica dell’uscire da se stessi e donarsi, la logica dell’amore. È la Croce – sempre la Croce con Cristo, perché a volte ci offrono la croce senza Cristo: questa non va! – è la Croce, sempre la Croce con Cristo che garantisce la fecondità della nostra missione.
Terzo: Infine (…) la preghiera. Nel Vangelo abbiamo ascoltato: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2). Gli operai per la messe non sono scelti attraverso campagne pubblicitarie o appelli al servizio della generosità, ma sono «scelti» e «mandati» da Dio.
è Lui che sceglie, è Lui che manda, è Lui che dà la missione (…) La missione è grazia. Se l’apostolo è frutto della preghiera, in essa troverà la luce e la forza della sua azione. La nostra missione, infatti, non è feconda, anzi si spegne nel momento stesso in cui si interrompe il collegamento con la sorgente, con il Signore. Uno di voi, uno dei vostri formatori, mi diceva l’altro giorno… Sentite bene: “l’evangelizzazione si fa in ginocchio”. Siate sempre uomini e donne di preghiera. Senza il rapporto costante con Dio la missione diventa mestiere. (…) Il rischio dell’attivismo, di confidare troppo nelle strutture, è sempre in agguato. Se guardiamo a Gesù, vediamo che alla vigilia di ogni decisione o avvenimento importante, si raccoglieva in preghiera intensa e prolungata. Coltiviamo la dimensione contemplativa, anche nel vortice degli impegni più urgenti e pesanti. E più la missione vi chiama ad andare verso le periferie esistenziali, più il vostro cuore sia unito a quello di Cristo, pieno di misericordia e di amore.
Qui sta il segreto della fecondità pastorale, della fecondità di un discepolo del Signore! Gesù manda i suoi senza «borsa, né sacca, né sandali» (Lc 10,4). La diffusione del Vangelo non è assicurata né dal numero delle persone, né dal prestigio dell’istituzione, né dalla quantità di risorse disponibili. Quello che conta è essere permeati dall’amore di Cristo, lasciarsi condurre dallo Spirito Santo, e innestare la propria vita nell’albero della vita, che è la Croce del Signore. Cari amici e amiche (…) Così la vostra vita sarà ricca e feconda!
La missione per tutti, dunque. Non solo come si diceva un tempo “consacrazione a Dio del mondo” intero con gli strumenti propri della competenza laicale e dei carismi specifici di ciascuno, differenti e da rispettare, ma unione profonda con Gesù Cristo nell’invasione ordinaria, non gridata, non arrogante, ma servizievole, cioè “ministeriale”, dello Spirito Santo grazie al Battesimo ed alla vita cristiana normale: “in ginocchio” anche quando siamo in piedi e corriamo per le strade del mondo, senza la pretesa di clericalizzarci da soli, mentre troppi preti sembrano laicizzarsi troppo…
è un rischio vero, questo, di concepire il servizio all’annuncio mescolando i carismi, e dimenticando che il Vangelo – proprio quello su cui Francesco insiste – si annuncia sempre, “anche” con le parole…