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Concilio Vaticano II: la Dei Verbum

di Mare Anna Maria Cánopi

Varie sono le difficoltà che rendono più difficile all’uomo di oggi coltivare la Parola per esserne interiormente abitato e fortificato. Innanzitutto il clima di dispersione dell’attuale cultura delle immagini e delle comunicazioni, dove le parole si moltiplicano e si svuotano di senso, e inoltre un diffuso attivismo con sovraccarico di impegni, per cui il tempo non ha più il suo ritmo, le sue feste; ne consegue uno stato permanente di stanchezza, di stress che genera una incapacità, quasi una insofferenza, a fermarsi per dedicarsi gratuitamente alla preghiera e alla lectio divina, ossia allo stare regolarmente a colloquio, a cuore a cuore, con Gesù, per crescere in quella conoscenza che è amore. Infatti, la Parola di Dio non trasforma l’uomo se non scende nel suo cuore e non vi dimora, proprio come avvenne in Maria nel mistero dell’Incarnazione e come Gesù stesso diceva agli apostoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).

 

La Parola si comprende soltanto vivendola; solo così diventa l’abito interiore del cristiano. Perciò san Bernardo affermava che il conservare la Parola è proprio di chi ama, così come si conserva nel cuore la memoria di una lettera d’amore. E tale è per noi la sacra Scrittura: una lettera di Dio inviata a noi dal Cielo.  nOgni credente è chiamato, in certo modo, a ripercorrere tutta la storia della salvezza per diventare, come già Abramo, una benedizione per gli altri, padre di sempre nuovi credenti generati alla fede anche dalla sua personale fatica di avanzare nella notte, al bagliore di una Parola, di una promessa che è la sua speranza, ma anche la sua croce. Di conseguenza la Dei Verbum ricorda al credente quanto sia indispensabile nutrirsi della Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento (DV 14-20) per essere pienamente trasformato. Diceva già sant’Ambrogio: «Bevi Cristo che è la fonte della vita… Bevi Cristo per dissetarti col sangue da cui sei stato redento; bevi Cristo, bevi la sua parola: sua parola è l’Antico e il Nuovo Testamento… Bevi subito dunque, perché su di te splenda una gran Luce…» (Dal Commento sui Salmi, 1,33). E, molto più vicino a noi, Maurice Zundel con il suo afflato mistico ha scritto: «La Scrittura è una persona, la Scrittura è Gesù, e dopo la sua venuta, essa è piena di Lui. Prima è la notte che cammina verso l’aurora, dopo è il cielo tutto infuocato dagli splendori di mezzogiorno… Ogni scena è una vetrata in cui risplende la luce di un medesimo sole; ogni pagina fa parte di un insieme dinamico che avanza verso il Cristo» (L’anima della salmodia, «La Vie Spirituelle», n. 120, sett. 1934, pp. 133ss). È la Parola di Dio ad illuminare le menti e i cuori per fare il retto discernimento in tutte le confuse opinioni e le false dottrine che sempre circolano nel mondo opponendosi alla vera dottrina (DV 1).Si comprende allora quanto grande sia l’importanza di accostarsi fedelmente alla Scrittura, sia attraverso la lettura personale, sia attraverso la partecipazione alla sacra Liturgia, perché nella Parola celebrata il mistero della redenzione si ri-presenta, si attualizza. A loro volta, gli apostoli lasciarono come successori i vescovi, custodi della fede del popolo di Dio. «Questa sacra Tradizione e la Scrittura sacra dell’uno e dell’altro Testamento sono dunque come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, come egli è» (DV 7).«Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni» (DV 7). È questo il compito affidato da Gesù agli apostoli, quando li inviò a predicare il Vangelo; nella predicazione, infatti, essi, sostenuti dallo Spirito che li aveva ricolmati nel giorno di Pentecoste, trasmisero tutto quello che avevano appreso dalla bocca del Cristo stesso negli anni vissuti con lui. Sempre per ispirazione dello Spirito Santo, tale insegnamento venne messo per iscritto, in modo che, a poco a poco, si definì il canone delle Scritture.In Gesù, Figlio di Dio, nel mistero della sua incarnazione e della sua morte redentrice, la rivelazione è giunta alla sua pienezza, la salvezza è pienamente donata a tutti gli uomini di tutti i tempi e luoghi. Ma come può ogni uomo  accedere a questo dono? Tale argomento – che è sostanzialmente il tema della trasmissione della Parola, della tradizione, del magistero della Chiesa, della “contemporaneità” del mistero di Cristo – viene sviluppato nei successivi capitoli della Dei Verbum.L’ascolto deve dunque farsi accoglienza e obbedienza; un’obbedienza d’amore, come quella di Maria dal momento dell’annunzio fino all’ultimo respiro. Una tale obbedienza è già frutto della «grazia di Dio», che da parte nostra deve essere custodita con la preghiera e l’invocazione dello Spirito Santo, il quale «perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni» (DV 5).È quanto avviene, giunta la pienezza dei tempi, con il mistero dell’incarnazione del Verbo divino: «La profonda verità che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» (DV 2). In Gesù la Parola, per così dire, si condensa diventando Persona. I Padri della Chiesa amavano, in proposito, parlare di Verbum abbreviatum: Parola abbreviata. Gesù Cristo è la realizzazione finale di ciò che Dio voleva fare, il compimento di quanto andava dicendo. Gesù non è una «tappa» della rivelazione, ma in lui Dio ha detto e dato tutto se stesso. Non c’è altro da attendere (cf. DV 4), tutto è da accogliere, approfondire, assimilare, incarnare. In Gesù la Verità è brillata nella storia; la Vita è stata ri-donata; inoltre Gesù è anche la Via che noi dobbiamo percorrere, sempre con un atteggiamento di umiltà: «A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede (cfr. Rm 1,5), con la quale l’uomo gli si abbandona tutt’intero e liberamente prestandogli il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà» (DV 5).Anche solo una semplice lettura del testo basta a destare commosso stupore: il Dio invisibile e, dovremmo aggiungere, il Dio che è stato offeso dal peccato, «parla agli uomini come ad amici». E come parla? Con «eventi e parole intimamente connessi» (DV 2). Egli si fa vicino. La Parola aiuta a leggere la storia, a rintracciare in essa i segni della presenza di Dio; la storia, a sua volta, diventa «pellegrinaggio», cammino di salvezza, spazio che, nello scorrere del tempo, si prepara e si apre ad accogliere la presenza di Dio. Alla Rivelazione è dedicato tutto il primo capitolo della Dei Verbum che si apre con un grandioso inno alla bontà di Dio rivelatore del suo mistero d’amore: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà». La rivelazione – come già la creazione – è un dono assolutamente gratuito di Dio che nella sua bontà vuole chiamare l’uomo, caduto nella miseria del peccato, alla comunione di vita con sé; vuole renderlo partecipe del suo disegno di salvezza ed elevarlo a somma dignità rendendolo figlio nel suo Figlio e introducendolo così in seno alla Santissima Trinità: «Gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura» (DV 2). La Parola accolta è come la scintilla che può incendiare i cuori e infiammarli per una vita di fede, di speranza e di amore, nella scoperta del meraviglioso disegno di salvezza che si svela a chi, con pazienza e fiducia, «scava il pozzo delle Scritture», come diceva Origene, un appassionato cultore della Bibbia vissuto nel II/III secolo.L’atteggiamento fondamentale per poter ascoltare è il silenzio interiore ed esteriore, un silenzio pervaso del senso del mistero della divina Presenza. Un atteggiamento, quindi, di umiltà. È questo il terreno buono in cui il seme della Parola può germogliare e crescere in fede matura. Può, infatti, aprirsi al dono della fede soltanto un cuore umile, che sa riconoscere la sua totale dipendenza da Dio. Fede e umiltà mettono in silenzio davanti a Dio, in quel silenzio vero che è capacità di svuotarsi del proprio «io» per accogliere l’Altro, ponendo attenzione con tutto il cuore a Colui che, nelle Scritture, ci parla e dà senso a ogni cosa.Come non pensare al Prologo della Regola di san Benedetto che si apre proprio con l’invito –  Obsculta, fili – ad ascoltare il Padre buono che ci parla per mezzo del suo Verbo incarnato? L’ascolto è, dunque, il primo fondamentale atteggiamento richiesto per accostare religiosamente la Sacra Scrittura. Ascoltare la Parola di Dio – scritta sotto l’ispirazione dello Spirito Santo (DV 11) – è ricevere la Vita, il soffio vitale. Veramente, come dice il Salmista, la Parola «fa vivere» (Sal 119,50) ed è «luce sul cammino» (Sal 119,105). Per la vita spirituale la mancanza della Parola è come per il corpo la mancanza dell’aria, dell’acqua, del pane; ascoltandola, invece, si trova la forza di affrontare tutte le difficoltà e di proseguire fedelmente il cammino della ricerca del Volto di Dio.Un dato appare subito con evidenza: la Parola di Dio non va letta come un qualsiasi altro libro di studio, per un sapere umano, ma va ascoltata nel cuore della Chiesa per fare un’esperienza di comunione con Dio e con i fratelli.Non è dunque superfluo riportarlo integralmente, sottolineando alcune parole: «In religioso ascolto della Parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio fa sue queste parole di san Giovanni: “Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1 Gv 1,2-3). Perciò seguendo le orme dei Concili Tridentino e Vaticano I, intende proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami».Il Proemio è di una straordinaria bellezza; in poche righe, indicando con chiarezza l’atteggiamento interiore da assumere davanti alla Parola, lascia emergere i temi che saranno trattati, dichiara lo scopo che il testo si prefigge.Innanzitutto, il testo si compone di un proemio e di sette capitoli strettamente connessi l’uno all’altro, nei quali si traccia, in certo senso, il “viaggio” o la “diffusione” della Parola, dalla rivelazione alla sua trasmissione, interpretazione e accoglienza nella vita della Chiesa. Non è possibile offrire in queste brevi pagine una lettura esauriente del testo; molto modestamente, cercherò di seguirne a grandi linee lo svolgimento, segnalando quei punti che mi sembrano più significativi e forse più bisognosi, oggi, di essere riscoperti e approfonditi.A differenza di quanto si potrebbe pensare, la storia della sua redazione ci dice che tale documento ha avuto un iter molto laborioso: la sua stesura, che ha conosciuto diverse redazioni, si è estesa per un lungo periodo, dal 1962 fino al 18 novembre del 1965, data della sua promulgazione, ormai in prossimità della chiusura dell’assise conciliare. Giustamente è stato definito come “frutto maturo” del Concilio ed è certamente un testo di riferimento fondamentale per chi desideri accostarsi alla lettura della Sacra Scrittura con cuore in piena sintonia con la Chiesa.Breve eppure ricchissimo, il testo della Dei Verbum mi ha immediatamente colpita per il suo stile. Nulla in esso di difficile, di complicato, bensì un linguaggio piano e squisitamente biblico, capace di parlare a tutti; in quelle pagine si sente la viva voce dei Padri della Chiesa e tutto richiama allo stupore e al fervore degli inizi del cristianesimo. Si direbbe un testo nato prima delle dolorose divisioni avvenute nella Chiesa, tanto in esso è assente la polemica e presente, invece, lo slancio missionario con la sua ansia di portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra entrando in dialogo con tutte le culture. Negli anni del Concilio Vaticano II ero novizia, perciò non ne ho seguito direttamente tutto lo svolgimento, ma ne ho accolto i documenti ormai nella loro versione e collocazione definitiva. La costituzione Dei Verbum mi è subito apparsa come una perla di inestimabile valore che, nascosta nel grande campo di tutti i documenti conciliari, tutto lo illumina e impreziosisce; l’ho recepita anche come il seme che racchiude in sé la potenzialità vitale atta a far germinare nella Chiesa una rigogliosa primavera. Questa è, infatti, la costituzione che ha come tema centrale la Parola di Dio, fonte della liturgia, cuore dell’annunzio missionario, nutrimento della fede e, in particolare, luogo di incontro dell’anima consacrata con il suo Signore e Sposo.