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di Ottavio De Bertolis

Mentre ripercorriamo con le labbra le dieci “Ave Maria”, seguiamo con gli occhi del cuore della Tuttasanta questo mistero, che segna l’inizio della vita pubblica di Gesù. Lo contempliamo insieme a quella folla dolente di peccatori, di tribolati, di “mendicanti di Dio”, che si reca a farsi battezzare: Gesù non ha bisogno di un battesimo, ma viene Lui a battezzarci nella potenza dello Spirito Santo; Egli cioè scende nelle acque perché quelle ricevano il suo Spirito, perché possano dunque rendere efficace il battesimo che noi stessi abbiamo ricevuto, che è un essere sepolti con Lui per risorgere con Lui. Egli dunque si immerge nelle acque perché noi potessimo essere immersi in Lui; egli si rende partecipe della povertà della nostra umanità perché tutti noi potessimo essere resi partecipi della sua ricchezza di Figlio di Dio. Dalla sua pienezza, infatti, noi tutti abbiamo ricevuto. Il Rosario consiste essenzialmente nella meditazione di alcuni episodi del Vangelo, scandita dalla recita del Padre Nostro e delle Ave Maria. Questi episodi sono detti “misteri” e già qui dovremmo fermarci: non si tratta infatti di semplici fatti accaduti tanti anni fa, ma di realtà che mostrano visibilmente il Dio invisibile, quello che Lui ha amato, voluto, mostrato di sé stesso e che ci è stato reso manifesto in Gesù Cristo. A questi fatti noi siamo continuamente resi presenti: infatti non “rimangono lì”, chiusi nel loro passato, ma continuano a sprigionare da sé significati che ci rende contemporanei al fatto o mistero che contempliamo. Gesù viene proclamato “Figlio” dal Padre, mentre scende su di Lui lo Spirito Santo. Viene proclamato non perché non lo fosse già da prima, ma perché fosse manifestato a tutti ciò che Egli da sempre è. Lo Spirito scende sul Figlio non perché da sempre non fosse già sceso, ma per mostrare che da sempre era su di Lui. Piuttosto, dal Figlio ora passa e quasi scende su di noi tutti, battezzati nel nome delle tre Persone divine; in tal modo, possiamo dire che il battesimo di Gesù, nel quale al mondo si rivela la sua consacrazione stessa al Padre, la sua missione e ruolo di Figlio, diviene così anche il nostro, ci consacra come Lui, ci abilita, per dire così, ad essere anche noi quei consacrati, quei figli, come lo è Lui. Lo Spirito che è su Gesù da sempre, e che si è manifestato nel Battesimo, ora su di noi ci muove e spinge ad agire come Lui, a scegliere per noi quel che Cristo per noi ha scelto e desiderato, in altri termini, a vivere come Lui: infatti, chi dice di vivere in Cristo deve comportarsi come Lui si è comportato. Il battesimo infatti ci rende figli della luce e del giorno, come Cristo è la vera luce e il vero giorno; lo Spirito caccia da noi le opere delle tenebre, infruttuose e morte, per farci vivere nella via vera, che è Gesù, che ha detto: “io sono la via, la verità e la vita”.  
Contemplare quindi il Battesimo di Gesù è rivivere il nostro battesimo, è rendere grazie per la nostra figliolanza, perché non siamo più stranieri, rispetto a Dio, e nemmeno ospiti, più o meno sgraditi e più o meno paganti, ma accolti da sempre e per sempre: come infatti ogni padre è “per” il proprio figlio, qualunque cosa accada o lui faccia, così Dio è “per” noi, qualunque cosa noi possiamo fare, poiché non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ci ha amato per primo. L’essere figli di Dio, il poter vivere cioè in una relazione diretta, immediata, fiduciosa, intima, personale, con Lui, è la nostra radicale consacrazione, dalla quale sgorgano tutte le altre possibili consacrazioni o vocazioni particolari, quella matrimoniale, quella sacerdotale o religiosa, e altre ancora. Possiamo dunque chiedere in questa decina la grazia di scoprire o riscoprire la nostra vocazione, il nostro essere “figli”, cioè, che è lo stesso, l’amore di Dio.
Possiamo anche pregare per questa umanità dolente, che si immerge nel fiume del dolore e della fatica umana: come il cielo si apre, così si possa aprire il cielo dei nostri cuori, delle nostre coscienze, per sentire la parola del Padre: “Ascoltatelo”. Pensiamo a quanti “cieli chiusi”, cioè cuori chiusi, esistono, induriti dalla superficialità, dal peccato, o semplicemente dall’indifferenza: è lo Spirito che rende testimonianza, e l’ascolto e l’accoglienza di Gesù non è opera di persuasione umana, ma frutto della grazia dello Spirito Santo. Con Maria preghiamo dunque chiedendo questo Spirito, che ci rechi la parola del Padre, quella parola di cui abbiamo bisogno, che è nello stesso suo Figlio; lo Spirito infatti ci ricorda tutto quello che Lui ci ha detto. Lo Spirito apre all’ascolto, e per suo mezzo si compie quella parola che afferma: “mandò la sua parola e li fece guarire, li salvò dalla distruzione”.