Non è qui il caso di trattare sull’importanza di quest’opera di carità, tanto raccomandata da Gesù stesso, praticata in ogni epoca dalla Chiesa e raccomandata da tutte le principali religioni. Fermiamoci al problema: bisogna fare la carità a questi “homeless”? Chi sono veramente “i poveri”? Solo i barboni che incontriamo per strada?
Di san Giuseppe i vangeli non danno molte notizie, limitandosi a registrare il suo silenzioso e concreto apporto agli inizi del grande mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, fino al raggiungimento dei dodici anni di età. Dopo il ritrovamento di Gesù nel tempio di Gerusalemme, mentre conversava con i dottori, a Giuseppe si accenna appena quando Gesù è indicato come «figlio del carpentiere» (Mc 6, 3; Mt 13, 55).
Il mese di giugno è tradizionalmente dedicato alla devozione al Sacro Cuore di Gesù, anche perché è il mese in cui si celebra la festa liturgica, il venerdì otto giorni dopo la festa del Corpus Domini.
La devozione al Cuore di Gesù ebbe grande incremento grazie alle rivelazioni avute da santa Margherita Maria Alacoque, nel diciassettesimo secolo, e all’apostolato dei Gesuiti e riuscì a imporsi all’opposizione della corrente giansenista.
L’oggetto del culto è il Cuore fisico di Gesù. Pio XII nell’enciclica Haurietis aquas insegna che «nella devozione al Cuore di Gesù è la sua Persona divina che viene adorata, la sua Persona che ha assunto una natura umana e pertanto anche un cuore umano. Chi ha amato con quel Cuore non è stata una persona umana, ma divina».
Con la sua solita chiarezza san Tommaso d’Aquino ha affermato che «adorare l’umanità di Cristo è lo stesso che adorare il Verbo di Dio incarnato, come onorare la veste di un re è onorare il re che l’indossa. Sotto questo aspetto il culto reso all’umanità di Cristo è culto di adorazione».
La devozione al Cuore di Gesù secondo Pio XI è «tutta la sostanza della religione e specialmente la norma di una vita più perfetta, come quella che guida per una via più facile le menti a conoscere intimamente Gesù Cristo e induce i cuori ad amarlo più ardentemente e più generosamente ad imitarlo» (Enc. Miserentissimus Deus, 8 maggio 1928).
Il cardinale Carlo Maria Martini, così presentava l’associazione dell’Apostolato della Preghiera, legata al culto del Sacro Cuore: «Tante persone semplici possono trovare nell’Apostolato della Preghiera un aiuto per vivere il cristianesimo in maniera autentica. Esso ci ricorda l’invito di san Paolo: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale”» (Rm 12, 1).
Riguardo poi alla pratica dei nove primi venerdì del mese, il Direttorio su pietà popolare e liturgia del dicastero vaticano per il culto divino e la disciplina dei sacramenti scrive:
«Nel nostro tempo la devozione dei primi venerdì del mese, se praticata in modo pastoralmente corretto, può recare ancora indubbi frutti spirituali. E necessario tuttavia che i fedeli siano convenientemente istruiti».
Con la sua promessa incondizionata di misericordia Gesù ha voluto indurci a porre in Lui ogni nostra confidenza, rendendosi Egli garante della nostra salvezza per i meriti del suo amorosissimo Cuore.
Tuttavia essa non favorisce in alcun modo la presunzione di salvarsi a buon mercato: le anime sinceramente devote sanno benissimo che nessuno può salvarsi senza la propria libera corrispondenza alla grazia di Dio, come ha sintetizzato sant’ Agostino: «Chi ha creato te senza di te, non salverà te senza di te».
Paolo VI nel documento Investigabiles divitias Christi, del 6 febbraio 1969, in occasione del bicentenario dell’istituzione della festa liturgica del Sacro Cuore, indicava il punto d’arrivo di questa devozione: «…per mezzo di una più intensa partecipazione al Sacramento dell'altare, sia onorato il Cuore di Gesù, il cui dono più grande è appunto l'Eucaristia», il più grande amore in cui si assommano tutti gli amori di Gesù per noi.
Rev.do Direttore,
ho letto e riletto l'articolo a firma Gabriele Cantaluppi sul n. 2/2019 dal titolo Battesimo sì, battesimo no....
Nell’articolo si evince che per il battesimo si richiede la presenza di un padrino che ha il compito di...
Il periodo pasquale, che come credenti stiamo vivendo in questo mese, è un richiamo al destino finale della Resurrezione del nostro corpo, quando Cristo «consegnerà tutto al Padre» (1 Cor 15).
Per comprendere cosa succede dentro di noi, ha suggerito papa Francesco, esiste una «pratica tanto antica della Chiesa, ma buona che è l’esame di coscienza; alla sera, prima di finire la giornata, raccogliendosi un momento da soli, dobbiamo farci la domanda “cosa è accaduto oggi nel mio cuore? Cosa è successo? Che cose sono passate attraverso il mio cuore? Se non lo facciamo, davvero, non sappiamo vigilare bene né custodire il bene».
«La Quaresima è un cammino di conversione che ha come centro il cuore», ha ricordato papa Francesco, «e bisogna custodire il cuore, perché non diventi una piazza dove vanno e vengono tutti tranne il Signore».
E aggiunge che tutte le sere il cristiano dovrebbe ripensare alla giornata appena trascorsa per verificare se è prevalsa la vanità e la superbia o se è riuscito a imitare Gesù. La lotta che ha portato Gesù contro il male è sempre attuale, perché si trova ogni giorno nel nostro cuore: l’esame di coscienza accompagna il cristiano in questa lotta aiutandolo a fare spazio allo Spirito Santo.
Gesù ci dice che lui è venuto a gettare il fuoco sulla terra, cioè lo Spirito Santo che provoca la guerra nel cuore, la lotta interiore.
Ci chiama così a cambiare vita, a cambiare strada, ci invita alla conversione. è questo il fuoco di cui parla, un fuoco che non lascia tranquilli, che ci stimola sempre a un salto di qualità nelle cose spirituali.
Un cambiamento anche nel modo di agire. San Paolo nella Lettera ai Romani è esplicito: «Come avete messo le vostre membra al servizio del peccato, adesso mettetele al servizio del Signore».
è lo Spirito Santo a operare la nostra conversione. Ma ciascuno deve fare del suo meglio perché egli possa agire: ed è proprio questa la lotta di cui parla Gesù.
Non esistono cristiani tranquilli, che non lottano: quelli che non lo fanno sono “tiepidi” e il Signore nel libro dell’Apocalisse ha detto che cosa farà di loro: li rifiuterà.
Come aiutiamo lo Spirito Santo? Facendogli spazio nel nostro cuore. Da qui nasce l’utilità dell’esame di coscienza.
Alla fine di ogni giorno bisogna chiedersi: cosa è successo nel mio cuore oggi? Cosa ho sentito? Cosa ho pensato? Cosa ho fatto? I miei sentimenti riguardo al prossimo, alla famiglia, agli amici, ai nemici: cosa ho sentito, questo sentimento è cristiano o non cristiano? Di quale cosa ho parlato, come è andata la mia lingua oggi? Ha parlato bene o ha sparlato degli altri?
L’esame di coscienza è una pratica che ci aiuta a lottare contro le malattie dello spirito, quelle che semina il nemico e che ci rendono apatici nelle cose dell’anima.
La conversione non è una decisione presa ogni tanto, ma è domandarsi ogni giorno come sono passato dal peccato alla grazia: Ho fatto spazio allo Spirito Santo perché in me possa agire?
Per la conversione ci vogliono due cose: la generosità, che viene sempre dall’amore e la fedeltà alla Parola di Dio.
II volto dei nostri defunti è sempre presente nelle nostre case; le loro fotografie ci ricordano che, se ci hanno lasciati da questo mondo visibile, non sono però lontani da noi e ci seguono. A loro continuiamo a rivolgerci come a fratelli che possono ottenerci da Dio aiuto e protezione.
Il desiderio di mantenere una qualche relazione con i defunti che erano cari al nostro cuore diventa acuta quanto più forte era il legame che ci univa.
di Gabriele Cantaluppi
Il tema dei padrini e madrine della Cresima si fa sempre più sentire nelle parrocchie. Il Codice di Diritto Canonico recita: “Il confermando sia assistito per quanto possibile dal padrino, il cui compito è provvedere che il confermando si comporti come vero testimone di Cristo e adempia fedelmente gli obblighi inerenti allo stesso sacramento” .
«Là, dove irrompe l’applauso per l’opera umana nella liturgia, si è di fronte a un segno sicuro che si è del tutto perduta l’essenza della liturgia e la si è sostituita con una sorta di intrattenimento a sfondo religioso» scriveva il cardinal Ratzinger nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia.
L’espressione “generato e non creato” è stata inserita nel Simbolo Apostolico al Concilio di Nicea nel 325, e riguarda espressamente Gesù. “Generato non creato, della stessa sostanza del Padre” si riferisce all’eresia di Ario, un sacerdote di quell’epoca, che sosteneva che il Verbo, detto anche Figlio, la seconda Persona della SS. Trinità, non fosse Dio, ma la prima creatura di Dio. Se così fosse, Gesù non sarebbe Dio fatto carne e la sua redenzione non avrebbe un valore infinito, perché nessuna creatura, per quanto grande, potrebbe riparare lo strappo fra l’uomo e Dio, operato dal peccato originale.
Saremmo stati immortali se non ci fosse stata la disobbedienza di Adamo ed Eva e saremmo sempre vissuti nella comunione piena con Dio e senza la prospettiva della morte?
Un bambino adottato da una famiglia entra nella casa e condivide tutti i beni, ma soprattutto è amato come un figlio concepito nel grembo di quella madre. Così è stato per il genere umano: sono chiare le parole del libro della Genesi. Il secondo e il terzo capitolo sono pieni della tenerezza di Dio, che fa coabitare l’uomo con lui e lo va a trovare alla brezza della sera, cioè nell’intimità del cuore. Ognuno può dare la propria risposta alla domanda iniziale, ma è più importante attenersi ai fatti, così come sono avvenuti: il peccato originale c’è stato, con tutte le sue conseguenze per il genere umano.
Saremmo stati immortali se non ci fosse stata la disobbedienza di Adamo ed Eva e saremmo sempre vissuti nella comunione piena con Dio e senza la prospettiva della morte?
Un bambino adottato da una famiglia entra nella casa e condivide tutti i beni, ma soprattutto è amato come un figlio concepito nel grembo di quella madre. Così è stato per il genere umano: sono chiare le parole del libro della Genesi. Il secondo e il terzo capitolo sono pieni della tenerezza di Dio, che fa coabitare l’uomo con lui e lo va a trovare alla brezza della sera, cioè nell’intimità del cuore. Ognuno può dare la propria risposta alla domanda iniziale, ma è più importante attenersi ai fatti, così come sono avvenuti: il peccato originale c’è stato, con tutte le sue conseguenze per il genere umano.
Una mia amica è andata a confessarsi perché aveva tralasciato la messa di domenica e riteneva di aver commesso un peccato mortale. Il sacerdote le ha detto che non andare a messa è peccato grave, ma non mortale. Io sono certa che non andare a messa di domenica è un peccato mortale, perché viola il terzo comandamento. O si può sostituirla andando in un giorno feriale?
Giovanni Paolo II, nell’esortazione post-sinodale Reconciliatio et paenitentia del 2 dicembre 1984, ha voluto ricordare che nella dottrina della Chiesa il peccato grave si identifica col peccato mortale:
«Resta sempre vero che la distinzione essenziale e decisiva è fra peccato che distrugge la carità e peccato che non uccide la vita soprannaturale: fra la vita e la morte non si dà via di mezzo [...] perciò, il peccato grave si identifica praticamente, nella dottrina e nell’azione pastorale della Chiesa, col peccato mortale» (n. 17). Non esiste pertanto una terza specie di peccato, perché tutti i peccati gravi sono mortali e tutti i peccati mortali sono gravi.