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Attenzione

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di Andrea Ciucci

E prima di andare a dormire, anche se è tardi, ogni membro della famiglia preghi per il festeggiato, e i genitori benedicano il proprio figlio con un segno di croce sulla fronte prima di dargli il bacio della buona notte. Anche se ha quasi trent’anni e il giorno dopo, finalmente, si sposa!  nSe c’è bisogno, questo è il momento per chiedersi reciprocamente scusa e fare la pace. Infine, se il festeggiato è uno della famiglia, vivete con intensità e cura particolare la sera precedente. Cenate insieme, evitate di guardare programmi idioti alla televisione, tenete gioiosamente alto il tono della discussione.

Giovedì, 06 Settembre 2012 11:10

Un nome santo

di Ottavio De Bertolis

Proseguiamo la nostra riflessione sulle singole espressioni della preghiera del Signore, sulla falsariga del “secondo modo di pregare” proposto da Sant’Ignazio: si tratta di riprendere le singole parole o frasi compiute e di pregare riflettendo su di esse, domandandosi che cosa vogliano dire, riflettendole nella nostra vita, nelle nostre azioni, nei nostri interessi quotidiani. Quando diciamo “sia santificato il tuo nome”, a quale nome ci intendiamo riferire?
Ovviamente al nome che riassume in sé tutti i titoli di Dio, elevandoli, se possibile, ancora più in alto: il nome stesso di Padre. Dio infatti non è solo l’Onnipotente, il creatore, il Giudice, il Signore: è soprattutto Padre, e questo nome di padre ci aiuta a comprendere esattamente il vero senso di tutti gli altri titoli che gli attribuiamo.
Così è un giudice come lo è un padre per i figli; è onnipotente, e questa sua onnipotenza è quella di un padre per i suoi figli; è legislatore, e in questo senso è come un padre che dà regole giuste e vere, non comandi arbitrari e dispotici, per i suoi figli. Il nome dunque di Padre rischiara ed illumina tutto quello che possiamo dire di Dio e su Dio.

Giovedì, 12 Luglio 2012 09:08

Un Padre immutabile come il cielo

di Ottavio De Bertolis

Vogliamo riprendere le singole parole della preghiera del Signore, come abbiamo fatto nei nostri incontri precedenti, per poterle gustare intimamente: molte volte le abbiamo ripetute, ma non sempre ci siamo soffermati in esse. Sant’Ignazio ci insegna proprio che è necessario “sentire e gustare intimamente” la preghiera che facciamo: il rischio sarebbe infatti quello di “dire su” orazioni, un po’ a pappagallo, certo sinceramente, ma con poco senso, e quindi con meno frutto spirituale.

Venerdì, 01 Giugno 2012 12:25

Un Padre di tutti perché "nostro"

di Ottavio De Bertolis

Vogliamo ora considerare la seconda parola della preghiera del Signore: non solo abbiamo invocato Dio come Padre, ma in più aggiungiamo “nostro”. Non è un’aggiunta poco significativa: la preghiera infatti non ci pone in una sorta di individualismo, ma ci apre al rapporto con gli altri. Nessuno prega per se stesso, si potrebbe dire, ma ogni preghiera, anche quella rivolta per i bisogni più personali, è sempre una preghiera nella Chiesa e per la Chiesa.
Nasce in un contesto comunitario, e sfocia per il bene di tutti: proprio come le preghiere liturgiche, quelle della Messa per intenderci, non sono mai formulate in prima persona singolare, con un “io” iniziale, ma sempre con il “noi”, proprio perché sono rivolte per il bene di tutti. Così, anche se il sacerdote celebrasse la Messa da solo, dovrebbe sempre dire “preghiamo”, prima di ogni orazione.

di Ottavio De Bertolis

Abbiamo già parlato del “secondo modo” di pregare secondo Sant’Ignazio, come cioè si deve semplicemente fermarsi sul significato del Padre nostro, illuminando le singole parole con ragionamenti o paragoni, in modo tale che le espressioni che noi usiamo scendano maggiormente nel nostro cuore; per gustare e capire maggiormente quello che diciamo, possiamo ripeterlo più volte, come una sorta di litania, per tutto il tempo che desideriamo, prendendocela comoda, come si dice, ossia fino a quando sentiamo interiormente che quello che abbiamo ripetuto ci illumina e conforta.
Possiamo innanzitutto partire dalla prima parola: “Padre”. Che cosa significa, e che cosa significa per me? Va, innanzitutto, osservato che Dio non è un padre come quelli che abbiamo avuto secondo la carne, ma moltiplicato, per così dire, all’ennesima potenza.
Potremmo dire, al contrario, che i nostri genitori sono “padri” tanto quanto a Lui rassomigliano, e a Lui in qualche modo rinviano. Dio non è la proiezione della nostra esperienza filiale (che potrebbe anche non essere affatto così bella o “divina”), né è un padre assente o un padre padrone; al contrario, noi siamo “padri” tanto quanto assomigliamo a Lui.

di Ottavio De Bertolis

Proseguiamo la nostra riflessione sulle parole della più comune preghiera cattolica dopo il Padre nostro, seguendo in fondo lo stesso metodo indicato da S. Ignazio nel così detto “secondo modo di pregare”, quando ci invita a riflettere e a gustare intimamente le singole parole delle preghiere vocali a noi note. “Benedetta tu tra le donne”: com’è noto, l’ebraico non ha il superlativo negli aggettivi, e pertanto ricorre ad una perifrasi: così questa espressione in realtà significa “tu sei la benedettissima”, il che in qualche modo ci collega a quanto detto appena prima, ossia “piena di grazia, il Signore è con te”. Tuttavia queste parole non sono dell’Angelo che saluta la Vergine, ma di Elisabetta, nell’episodio della visitazione.

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 10:54

Un invito alla gioia nella casa di Nazareth

di Ottavio De Bertolis

Vogliamo imparare a pregare con una delle preghiere più semplici e comuni del popolo cristiano, l’Ave Maria. Dopo il “Padre nostro” è certamente la più frequente sulle nostre labbra, ed è importante capire che cosa diciamo mentre preghiamo. La parola “Ave”, com’è noto, in italiano non significa niente, ed ha senso solo quando noi la usiamo in questo contesto, in quanto tutti noi sappiamo che comunque intendiamo ripetere il saluto che l’Angelo rivolse a Maria nell’annunciazione: anzi, è lo stesso suo saluto, e questo mostra innanzi tutto come sia una preghiera ispirata alla sacra scrittura, che trova le sue radici in essa.
“Ave” è un’espressione latina, che traduce il verbo greco “cháire”, che significa esattamente “rallegrati”: “Ave Maria” significa quindi “rallegrati Maria”, ed è una citazione del profeta Sofonia, quando questi invita Gerusalemme a rallegrarsi perché si sono compiuti i tempi messianici. In tal modo, con questa espressione che troviamo nel vangelo di Luca, e che Luca riprende dall’Antico Testamento, contempliamo in Maria la vera “figlia di Sion”, la personificazione di Gerusalemme, la fede dell’Antico Testamento compiuta e perfetta.

Mercoledì, 19 Dicembre 2012 10:00

"Venga il tuo regno..."

di Ottavio De Bertolis

Santa Teresa d’Avila affermava che nel “Padre nostro” le prime tre domande sono rivolte, rispettivamente, alle tre Persone della santissima Trinità: così, come abbiamo visto la volta precedente, “sia santificato il tuo Nome” è la preghiera che rivolgiamo al Padre; in tal modo, “venga il tuo regno” è la supplica che rivolgiamo al Figlio.
Chiediamo così che venga il regno di Cristo: non solo in noi stessi, nella nostra interiorità, ma anche nel mondo esterno. In altri termini, chiediamo che all’apparente vittoria delle potenze del mondo che segnano una società basata sul denaro, sul successo, in ultima analisi sulla violenza dell’uno sull’altro, si sostituisca la vittoria evangelica della potenza di Gesù, che confermi i miti, i misericordiosi, i poveri, nel suo servizio, e li sostenga nella costruzione di una comunità più giusta e più umana. Infatti il regno di Gesù è la piena realizzazione delle aspirazioni di verità, di bontà, di giustizia, che sono proprie degli uomini. Non è una teocrazia, o una specie di “governo della Chiesa” o “dei preti”, ma è il regno e il governo del bene.

di Madre Anna Maria Cánopi

Nell’itinerario di “rivisitazione” dei documenti del Concilio Vaticano II non può mancare un’attenzione particolare alla Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo. Tra tutti i documenti conciliari forse questo poteva essere considerato meno interessante per chi aveva abbracciato la vita monastica claustrale, la quale è, per sua natura, vocazione di “separazione dal mondo”. Ma già alla lettura del Proemio ci si poteva convincere che non era affatto così. Personalmente, lo sentii subito molto consono al mio modo di intendere e vivere la mia vocazione, che era andata maturando proprio nei difficili anni della guerra e dell’immediato periodo post-bellico, quindi a contatto con la più atroce e insensata violenza, a contatto con il dolore umano, nell’esperienza dell’impotenza a lenire tanta sofferenza e a fasciare le ferite di tanti cuori…

Giovedì, 05 Settembre 2013 13:01

La Parola di Dio sorgente di fede e amore

Concilio Vaticano II: la Dei Verbum

di Mare Anna Maria Cánopi

Varie sono le difficoltà che rendono più difficile all’uomo di oggi coltivare la Parola per esserne interiormente abitato e fortificato. Innanzitutto il clima di dispersione dell’attuale cultura delle immagini e delle comunicazioni, dove le parole si moltiplicano e si svuotano di senso, e inoltre un diffuso attivismo con sovraccarico di impegni, per cui il tempo non ha più il suo ritmo, le sue feste; ne consegue uno stato permanente di stanchezza, di stress che genera una incapacità, quasi una insofferenza, a fermarsi per dedicarsi gratuitamente alla preghiera e alla lectio divina, ossia allo stare regolarmente a colloquio, a cuore a cuore, con Gesù, per crescere in quella conoscenza che è amore. Infatti, la Parola di Dio non trasforma l’uomo se non scende nel suo cuore e non vi dimora, proprio come avvenne in Maria nel mistero dell’Incarnazione e come Gesù stesso diceva agli apostoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).

 

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