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Mercoledì, 19 Dicembre 2012 10:00

"Venga il tuo regno..." Featured

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di Ottavio De Bertolis

Santa Teresa d’Avila affermava che nel “Padre nostro” le prime tre domande sono rivolte, rispettivamente, alle tre Persone della santissima Trinità: così, come abbiamo visto la volta precedente, “sia santificato il tuo Nome” è la preghiera che rivolgiamo al Padre; in tal modo, “venga il tuo regno” è la supplica che rivolgiamo al Figlio.
Chiediamo così che venga il regno di Cristo: non solo in noi stessi, nella nostra interiorità, ma anche nel mondo esterno. In altri termini, chiediamo che all’apparente vittoria delle potenze del mondo che segnano una società basata sul denaro, sul successo, in ultima analisi sulla violenza dell’uno sull’altro, si sostituisca la vittoria evangelica della potenza di Gesù, che confermi i miti, i misericordiosi, i poveri, nel suo servizio, e li sostenga nella costruzione di una comunità più giusta e più umana. Infatti il regno di Gesù è la piena realizzazione delle aspirazioni di verità, di bontà, di giustizia, che sono proprie degli uomini. Non è una teocrazia, o una specie di “governo della Chiesa” o “dei preti”, ma è il regno e il governo del bene.

Dove c’è chi ama, lì c’è il regno di Gesù, anche se la persona potrebbe non saperlo. Mi colpisce sempre osservare che nella prima lettera di San Giovanni l’Apostolo osserva che “chi non ama, rimane nella morte”: non dice “chi non prega” oppure “chi non crede”, anche se certamente la fede e la preghiera hanno un posto molto importante in quella Lettera, ma “chi non ama”. Il che equivale a dire che, dove c’è amore, indipendentemente da dove si sia secondo gli schemi umani, lì c’è il regno o l’inizio del regno di Gesù, che è vita, grazia, gioia.
In questo senso, il regno di Gesù è più grande della Chiesa, proprio perché tutto il mondo lo deve diventare: dove c’è chi ama la giustizia, lavora per costruire la carità, nei suoi ambiti più diversi, come l’uguaglianza, la liberazione dalla miseria o da ogni situazione di inferiorità umana, fisica, morale o spirituale, lì, come in un germe che attende di crescere, è presente il regno di Cristo, la sua regalità.
Al di là di ogni confine o “parrocchia”: così il regno di Cristo va al di là della chiesa cattolica, anzi, dello stesso cristianesimo,ed è presente dove ci sono uomini o donne che, mossi anche inconsapevolmente dallo Spirito di Gesù, cercano di vivere le beatitudini della mitezza, della misericordia, della compassione, cioè, in ultima analisi, della carità in tutte le sue forme, anche le più spicciole.
Sappiamo quanto siano profonde nel mondo le ferite arrecate dal peccato e dalle logiche del potere, del denaro, del dominio dell’uno sull’altro in tante forme, e, più in generale, dell’ingiustizia; sappiamo anche che non basta essere nella Chiesa per essere autenticamente al riparo da tutto questo.
Le divisioni e le ingiustizie che sono nel mondo rivelano a ognuno di noi che la divisione più profonda e lo squilibrio più devastante sta all’interno di ognuno di noi: ecco perché “venga il tuo regno” lo diciamo innanzi tutto per il nostro cuore, all’interno cioè della vita di noi stessi.
Quando facciamo questa preghiera, che cosa vogliamo dire? Dove vogliamo che si instauri il regno di Cristo? Quali sono, in me stesso, quegli aspetti “mondani” che io desidero che vengano vinti e come assorbiti nel potere sovrano di Gesù Cristo? è questa una preghiera particolarmente adatta da farsi dopo avere ricevuto l’Eucaristia, che è come l’anticipazione della venuta del regno di Cristo nel mondo, che Egli instaurerà alla fine dei tempi, quando ritornerà per giudicare i vivi e i morti e sottomettere ogni cosa al suo potere buono e vivificante, per liberarla dalla schiavitù del peccato.
Infatti il regno di Gesù coincide con la nostra stessa libertà: quando Lui prende possesso della nostra intelligenza, del nostro intelletto, della nostra volontà, solo allora siamo veramente liberi, perché solo allora siamo davvero noi stessi. Prima siamo come venduti o alienati ad altri, siamo asserviti a logiche tristi ed avvilenti, che nemmeno noi vogliamo davvero, ma che piuttosto subiamo come una necessità. Il suo regno è il nostro regno, la sua vittoria è la nostra vittoria.

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