Nella ricorrenza del centenario dell’aggregazione della Pia Unione locale del Transito di San Giuseppe alla sede primaria di Roma Trionfale, Santa Domenica, piccolo, quanto stupendo centro calabrese, collocato a trecento metri sul mare, sopra Scalea, alle pendici del Pollino, nel mese di luglio si esalta con la festa del suo patrono san Giuseppe. Il fatto, anzitutto, nello studio dell’architetto Antonello Lucchese, ricercatore quanto mai qualificato che citiamo espressamente: «Dopo la morte dell’ultimo arciprete don Giuseppe La Greca, con l’arrivo del nuovo curato don Giuseppe Pontieri di Cassano, si verificò un certo fermento nella parrocchia, con diverse iniziative: una di queste fu l’istituzione della Pia Unione del Transito di San Giuseppe per aggregarla alla primaria di Roma (San Giuseppe al Trionfale).
Non si mangia più insieme: i tempi accelerati, frenetici e sfalsati della famiglia non permettono più a un nucleo, a una comunità di ritrovarsi interrompendo il lavoro alla metà del giorno, né alla fine della giornata di riunirsi per la cena, per stare intorno alla tavola e condividere quanto sostiene la vita materiale. Insieme a questo alimento concreto tuttavia si condivide anche un altro alimento più importante, quello affettivo e spirituale, una comunione vitale d’affetti che ha la sua manifestazione suprema nell’ultima cena.
L’arte pittorica ci descrive gli episodi della vita di S. Giuseppe con differenti suggestioni, dettate da fantasie artistiche, capaci di trasmettere chiari messaggi spirituali e forti cariche emozionali.
Un episodio del nostro santo che ricorre spesso nei quadri e negli affreschi è quello ultimo del transito, ossia: il suo passaggio dalla vita terrena a quella eterna. Da sempre il racconto pittorico inquadra S. Giuseppe disteso con accanto la Madonna e Gesù. Non mancano angeli che osservano sospesi nello spazio o vicini al letto, pronti ad accogliere la sua anima. L’episodio non viene mai drammatizzato e il dolore che si avverte sui volti delle figure è un dolore raccolto, intimo, perché è certo il passaggio del padre putativo al cielo.
Nel cuore di Milano sorge un meraviglioso edificio di culto dedicato al grande Patriarca. Le fonti segnalano già dal 1503 la presenza di un “Luogo Pio di San Giuseppe”. Nel 1516 venne consacrato il capolavoro architettonico attuale: progettato da Francesco Maria Richini, segnò l'inizio del barocco milanese.
Qualche anno fa, in occasione dell’anno sacerdotale, indetto daPapa Benedetto XVI nel 2010, per gli associati alla Pia Unione di San Giuseppe avevamo assunto l’impegno di un’iniziativa nel poter adottare, anche spiritualmente, un seminarista in modo da accompagnarlo con la preghiera negli anni di preparazione al sacramento del sacerdozio.
Il monastero di San Giuseppe di Puimisson, nella diocesi e provincia di Montepellier, Francia, ha ospitato quest’anno il XII Simposio di giosefologia, che ha visto circa duecento partecipanti, in rappresentanza di una quindicina di centri studi su san Giuseppe, specie europei e latinoamericani. Lo hanno organizzato i fratelli e le sorelle che costituiscono la Famiglia di San Giuseppe, una nuova forma di vita religiosa monastica nata poco più di 30 anni or sono.
La sera del 25 settembre l’arcivescovo di Montpellier, monsignor Carré, ha presieduto la concelebrazione che ha inaugurato i lavori. Nel dopo cena i direttori dei vari centri si sono presentati, illustrando brevemente il lavoro per far conoscere la vocazione e la missione di san Giuseppe.
Gli scarni accenni dei Vangeli di Luca e di Matteo ci consegnano almeno questo: l’esistenza di Giuseppe non fu mai statica, ma e-statica, in uscita, in continuo cammino.
Lo troviamo in cammino, con Maria incinta, verso Betlemme: «Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta» (Lc 2, 4-5). Ma pochi versetti dopo scopriamo che «un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: "Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo". Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto» (Mt 2, 13-14).
L’importanza del lavoro nella vita sia individuale che sociale è fuori discussione. Nella vita individuale il lavoro è indispensabile per la sua crescita e il suo completo sviluppo. Il contatto quotidiano con la realtà, con le leggi della natura, con impegni precisi, affina nell’uomo l’intelligenza, ne stimola la volontà, ne sviluppa le facoltà, ne promuove il senso del dovere e richiede un molteplice e diuturno esercizio di virtù che sono sorgente di meriti civili e cristiani. In tale modo il lavoro apre l’uomo a quella promozione che lo porta al raggiungimento della sua perfezione naturale e soprannaturale.
Altre erano le responsabilità che Giuseppe stava per assumersi accanto alla Vergine Madre e al Verbo incarnato, come è ben sintetizzato nelle parole di Paolo VI:
“San Giuseppe, patrono della Chiesa, tu che accanto al Verbo incarnato lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da lui la forza di vivere e di faticare, tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: irradia ancor oggi l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini, ma grandissima davanti a Dio; guarda all’immensa famiglia che ti è affidata.
Ricorre quest’anno il decimo anniversario della morte di don Francesco Fuschini, personaggio di spicco della Romagna letteraria. Era una firma nota ai lettori del Resto del Carlino di Bologna e dell’Osservatore Romano. Chiamava i suoi scritti con fine ironia «Contro pensieri» che davano ai nervi agli anticlericali. In occasione del quarantesimo anniversario del declassamento della solennità di san Giuseppe, proprio il 19 marzo del 1977, don Francesco pubblicava questo articolo di cui riproduciamo il testo quasi integrale, in cui si intravede con ironia il fumo sulle macerie di accese e radicali ideologie.