In quella circostanza avevamo scritto anche a una settantina di padri spirituali dei seminari regionali italiani e a quelli delle diocesi più numerose, indicando la figura di san Giuseppe come il “primo rettore” del seminario a Nazareth.
Non dimentichiamo che gli anni di preparazione alla vita pubblica Gesù li ha trascorsi a Nazareth; lui, il maestro della vita divina, si è messo alla scuola della vita umana. Quegli anni, comunque, sono stati necessari affinché Gesù crescesse in umanità, potesse respirare e imparare a tessere la vita quotidiana con il lavoro, le relazioni con il prossimo, a gioire delle conquiste e a saper cogliere nelle delusioni umane quei germi vitali che ogni esperienza custodisce nelle sue ferite e nelle sue pieghe nascoste.
Parecchi iscritti alla Pia Unione hanno scelto di condividere il cammino di formazione di alcuni seminaristi.
Con un velo di amarezza dobbiamo confessare che le Poste italiane hanno incassato solo 70 centesimi, per un’unica lettera di risposta. Fu lettera morta.
Siamo persuasi che nel cammino cristiano alla ricerca del volto di Dio, il “Custode del Redentore” si pone come modello garantito di educazione.
Nel ventaglio colorato del suo silenzio scaturiscono la dedizione, la gratuità di un servizio, la responsabilità per una missione. La presenza di san Giuseppe a fianco di Gesù era come “l’ombra del Padre”; un’ombra delicata, affettuosa, solidale ed inseparabile. Nel guardare san Giuseppe come sorgente ispirativa di educazione, ci hanno confortato e offerto sostegno le parole di Papa Francesco pronunciate davanti ai vescovi delle diocesi del Cile.
Le parole del Papa sembravano un’eco delle parole del suo vicario per la diocesi di Roma, il vescovo Angelo De Angelis, pronunciate durante la consacrazione di due vescovi ausiliari per la diocesi di Roma. Sia il Papa in Cile, come il suo vicario nella cattedrale di San Giovanni in Laterano in Roma hanno caldeggiato l’impegno educativo sull’esempio di san Giuseppe. Il Papa, nella cattedrale di Santiago del Cile il 17 gennaio, ha raccomandato ai vescovi per i loro preti un costante atteggiamento paterno. «Fratelli, la paternità del vescovo con i suoi sacerdoti, col suo presbiterio! Una paternità che non è né paternalismo né abuso di autorità. È un dono da chiedere. State vicini ai vostri sacerdoti nello stile di San Giuseppe. Una paternità che aiuta a crescere e a sviluppare i carismi che lo Spirito ha voluto effondere sui vostri rispettivi presbiteri».
Il suo vicario a Roma il 13 gennaio 2018, consacrando due nuovi vescovi, collaboratori del Papa in Roma, chiamandoli con il loro nome di battesimo ha detto: «Carissimo, padre Daniele, carissimo, don Paolo: lo Spirito vi trasformi in altri san Giuseppe, custode di Maria, immagine della Chiesa. Imparate da lui a servire, a rischiare, a scomparire. Siate schietti con i potenti, tacete davanti agli umili; imparate da coloro che il mondo disprezza, insegnate con dolcezza a quelli che credono di saperla lunga; evitate chi vi loda, ascoltate chi vi corregge; pregate il doppio rispetto a quanto predicate; passate più tempo tra le pagine della Scrittura che sulle sedie delle riunioni; non cercate ricompense, fateci innamorare della gratuità; comandate solo dopo aver amato, e amate di più coloro che non vi obbediscono; assumetevi le vostre responsabilità, intervenite con decisione e dolcezza quando necessario; qualora le cose non andranno come previsto, moltiplicate la gioia di avere i vostri nomi scritti in cielo; aiutateci a volerci bene, perdonate chi vi denigrerà; confidate più nella grazia che nelle programmazioni; più nel quotidiano che nei grandi eventi; accantonate la gloria del mondo, desiderate il Paradiso. Amen».
Queste due autorevoli raccomandazione anche noi le affidiamo alla preghiera di intercessione di san Giuseppe, affinché tutti vescovi siano capaci di stare davanti a san Giuseppe per assorbire la sua sapienza e le modalità di governo della loro famiglia diocesana.