Abbiamo chiesto a don Gabriele Cantaluppi di sintetizzare gli elementi principali di questo documento (vedi pp. 5-7) per i nostri lettori.
Qui propongo una mia riflessione ancor più semplice e riassuntiva.
Ho trovato il significato sostanziale del lungo scritto vaticano nelle parole del n. 34: «Si deve così riconoscere che i messaggi che ripetutamente [a Medjugorje] la Madonna chiede di ascoltare sono infine i suoi insistenti inviti alla conversione, a tornare a Cristo, a meditare la sua Parola, a pregare, a cercare la pace. Niente di questo ci allontana o ci distrae dal Vangelo. Pertanto, non sono fedeli al vero spirito di Medjugorje, coloro che sono troppo attenti a fatti straordinari e a presunti messaggi della Gospa [Signora] e non impiegano il loro tempo e le loro energie per pregare con la Parola di Dio, per adorare Cristo, per servire i fratelli e per costruire la pace dappertutto».
Ho pellegrinato anch’io due volte a Medjugorje, invitato da amici mossi da grande entusiasmo per quell’evento, e ne ho riportato sempre la stessa impressione. Quello è un luogo dove si è richiamati a intensa preghiera, a partecipare all’Eucaristia, ad accostarsi alla Confessione. È un luogo dove chi ci va, anche se non per comprovata devozione, sente un richiamo misterioso a ritornare alla fede e a riscoprire, qualora ce ne fosse bisogno, il dono della salvezza cristiana. Sono stato testimone di persone che lì si sono convertite e hanno perseverato in tale trasformazione.
La Nota vaticana approva dunque la cosiddetta «esperienza spirituale» di Medjugorje per i suoi “frutti”, cioè perché molti uomini, recandosi in quel luogo dove è creduta la presenza di Maria, ritrovano sicuramente il figlio suo, Gesù. Ma questo è proprio il frutto perenne della devozione mariana, riassunta mirabilmente nella formula di quel grande devoto della Madonna che è il Montfort: «Ad Jesum per Mariam»
Come mai Maria possiede una forza così grande per richiamare al Salvatore?
Perché lei è stata la creatura a lui più vicina fino a esserne la vera madre. Perché oltre ad averlo portato nel grembo e allattato, è colei che più perfettamente, senza la minima ombra di incertezza (senza il minimo peccato) ha ascoltato la parola di Dio e l’ha osservata. Perché lei assomiglia, più di ogni altro essere, a Gesù e quindi, quando lei si mostra, le sue fattezze sono quelle del Figlio. Questa ultima intuizione non è mia, ma l’ho presa dal sommo Dante, che mette sulla bocca di san Bernardo questo invito:
«Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
più si somiglia, ché la sua chiarezza
sola ti può disporre a veder Cristo». Dante, Paradiso XXXII