Si dice che quando nasce un bambino in cielo si accende una stella. Non sappiamo se è vero, ma è certo che ad ogni creatura umana che viene alla luce è assegnato un punto di arrivo: non gli si indica la strada, ma lo si mette in cammino. L’avventura della vita consiste nello scoprire la via giusta per arrivare vincitore alla meta che è quella porzione di santità che ci rende simili a Dio.
A Betlemme Luca canta la gioia degli angeli sulla grotta della natività e nell’ultima riga del suo Vangelo si riaggancia alla gioia iniziale.
«Il cuore dell’uomo ha una profondità talmente grande che nessuno può leggere sino in fondo e qualcosa che i libri non sanno leggere», è una miniera di sogni, esperienze, desideri progetti. Tutti nel cuore abbiamo registrato il fluire di incandescenti emozioni, di passioni, entusiasmi e delusioni. Nel cuore, diceva Pascal, e ne siamo convinti, transitano tanti pensieri che la mente non conosce. Se questo è il cuore dell’uomo, come posso pretendere di descrivere l’amore infinito del cuore di Gesù? Eppure solo nel panorama luminoso e caldo del cuore di Gesù posso tentare di comprendere l’amore di un Dio, creatore del cielo e della terra, che si fa carne e si concretizza in Gesù.
Come la festa dell’Epifania chiude il ciclo della nascita di Gesù tra noi, la festa della Pentecoste inaugura la secolare stagione della presenza dello Spirito di Gesù risorto nei sotterranei della storia umana. Gesù con l’ascensione al cielo si è sottratto ed è diventato invisibile ai nostri occhi, ma non ci ha lasciati orfani e smarriti e la fede si fa sentire il suo respiro. Il respiro di Gesù è il respiro dello Spirito Santo. Come la creatura umana quando esce dal grembo della mamma inizia a respirare con i propri polmoni così la comunità cristiana a Gerusalemme avvertì il primo respiro dello Spirito nel giorno della Pentecoste. La vita, l’anima, il respiro della Chiesa è lo Spirito Santo.
Gesù risorto ha fatto fiorire nell’animo di Tommaso la beatitudine della fede. Dopo aver invitato l’apostolo a costatare con le sue mani la presenza di Gesù risorto e dopo l’invito a «non essere incredulo ma credente» Tommaso professa la sua fede, dicendo: «Mio Signore e mio Dio».
Gesù risorto esalta la potenza dei sentimenti dell’anima sottolineando che l’intelligenza può arrivare al cuore delle realtà solo se è accompagnata dall’amore. La fede parla solo con le parole della vita. «L’amore è il più aristocratico, vigoroso e ardente dei ritrovati umani per cambiare e abitare il mondo». Con onestà dobbiamo constatare che gli ideali importanti di una vita sono alimentanti da fiumi carsici che la mente non conosce, ma che l’amore intuisce.
«Come una candela viene accesa alla fiamma di un'altra candela, così dalla fede scaturisce altra fiamma di fede» e così la nostra vita è un perenne passaggio da luce a luce.
Le stagioni liturgiche hanno il compito di preparare la nostra anima ad accogliere la fiaccola della luce dello Spirito per illuminare il nostro presente.
Nella tradizione della Chiesa il periodo della quaresima era l’anticamera di tutti i sacramenti e costituiva il periodo del catecumenato, la preparazione alla celebrazione del sacramento del battesimo, la porta di ingresso nella comunità dei credenti.
di Mario Carrera
Dal 2017 traghettiamo nel 2018 la fiaccola della speranza sino alle periferie degli accampamenti dei poveri. Il cristiano, infatti, è un atleta di Dio in marcia per illuminare i fratelli ai confini del mondo. La famiglia di Nazareth è un costante modello d’azione e di vita per il percorso di fede e di amore per il nuovo anno.
Nella nostra società del benessere e dell’apparire, il Natale si è trasformato in uno sfolgorio di luci per gli occhi del corpo; ma, per chi davvero crede, il Natale, è la festa della vita e nell’anima si accende una luminosa fontana di speranza.
In un mondo spiritualmente anemico, la speranza continua ad essere una insostituibile nervatura che ci permette di camminare e di guardare con fiducia e a schiena dritta il futuro.
A Natale celebriamo l’evento straordinario del Creatore dell’universo che si fa creatura. Dio, definitivamente, decide di porre fine al suo esilio concreto e tangibile dalla storia umana.
Nel momento opportuno, che san Paolo chiama “pienezza dei tempi”, una giovane famiglia arriva a Betlemme: la donna, Maria, è incinta di luce divina e l’uomo, Giuseppe, le sta accanto con verginale stupore in attesa dell’esplosione di una luce intramontabile. Sta per nascere una luce che non conoscerà tramonto. In quel Bambino che sta per nascere è racchiusa la pienezza della vita, è la luce degli uomini - scriverà l’evangelista san Giovanni nel prologo del suo Vangelo - «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non vinceranno».
Da quel nido di amore si è aperta una vela e il vento, impregnato di luce e dal canto degli angeli, ha condotto i pastori a riconoscere e adorare Dio, nella fragilità della carne di un bambino. Dio ha deciso di mettere la sua tenda solidale nell’accampamento dei poveri.
In quella notte sul volto dei pastori, indurito dal freddo dell’inverno, era riflessa una luce misteriosa che donava ai loro occhi lo stupore di essere testimoni di un evento irripetibile: Dio si è rivestito di carne umana ed è apparso tra noi.
Sul “natale” di Dio tra noi non cala mai il sipario. Da quella notte gli angeli continuano a volare sulle nostre strade, il cuore degli uomini e delle donne è divenuto la loro dimora e sempre sono pronti ad intonare l’inno della gioia. Le note musicali della gioia nascono dal grembo della speranza. Senza l’energia della speranza tutto è pietrificato. Il più grande regalo che Dio, a Natale, appende all’albero della vita è la speranza: la stella più luminosa nel percorso dell’esistenza umana.
Per questo Gesù non ha voluto nascere in una reggia, nei palazzi del potere, ma nella periferia di un piccolo borgo con un nome affascinate e significativo: Betlemme, che vuol dire: «casa del pane».
Dicevano i latini che «nomen est omen»: il nome è il destino di una vita. Nome bello, quindi, vita bella, gustosa come la fragranza del pane appena sfornato.
Da quel giorno, negli accampamenti dei poveri, la speranza si fa pane di vita, scommessa sul futuro, pane della condivisione, pane dell’amicizia e pane della fiducia nell’amore misericordioso di Dio.
La speranza è come il respiro per la vita. Il respiro è un soffio leggero, impercettibile, silenzioso come una carezza, ma capace di fornire energia al nostro organismo per pensare, camminare, progettare, agire.
Un poeta, che come tutti i poeti possiede l’arte di far cantare e danzare con le sue parole una realtà inanimata, ha paragonato la virtù della speranza ad una timida e gracile fanciulla accompagnata al mattino a scuola dalle due sorelle maggiori, la fede e la carità. Queste due sorelle maggiori - immagina il poeta Charles Peguy - la tengono per mano quasi a sostenere la fragilità della sorellina più piccola, ma in effetti è lei, la speranza, a sostenere il loro passo. È la nervatura della speranza che dona stabilità sia alla fede sia alla carità.
Nella notte di Natale ci metteremo in adorazione davanti a Gesù, in compagnia della nostra “sorellina”, la speranza, e solo con la sua luce scorgeremo la presenza degli angeli e negli occhi di chi ci sta accanto scopriremo il riflesso della gioia per la nascita di questo bambino che ci dona un tempo senza fine, un giorno senza tramonto, un desiderio di pace e la voglia di costruirla.
Il Natale non sia solo una data, ma un canto perenne alla vita seminata di un amore che si fa immortalità.
Auguri per un felice Natale del Redentore e per un nuovo anno speso nel condividere la gioia evangelica della vita.
«Gli antichi dicevano che pregare è respirare. Qui si vede quanto sia sciocco voler parlare di un “perché pregare”. Perché io respiro? Perché altrimenti morirei. Così la preghiera». Questa citazione di Søren Kierkegaard, che fu filosofo, teologo e letterato, quindi esperto del vivere umano, ci introduce a comprendere anche gli avvenimenti dei tre pastorelli di Fatima.
Un evento, un’email, un’emozione e la certezza che il raccontarsi è il respiro delle comunione tra le persone. In un venerdì di quaresima di quest’anno papa Francesco ha voluto far risplendere la perla di un’opera di misericordia visitando l’Istituto per ciechi Sant’Alessio. Il giorno successivo il direttore del Sant’Alessio, Amedeo Piva, amico solidale nel coltivare il bene, mi ha invito un’e-mail raccontandomi l’evento vissuto in prima persona.