Possiamo considerare san Giuseppe l’ultimo dei patriarchi che, alla dogana dei confini del Vecchio Testamento, consegna all’umanità l’alfabeto per scrivere un nuovo testamento.
Egli ha portato il carico della sua obbedienza a Dio e ha collocato il Creatore al vertice della sua fede e non ha esitato un istante ad eseguire i desideri che Dio gli manifestava attraverso i sogni.
Giuseppe incarna l’atteggiamento dell’uomo dell’Antico Testamento: la sua fede non indaga, ma esegue, consapevole che Dio non inganna.
«Una Chiesa che fa e non solo una Chiesa che dice». È uno slogan che vorrebbe diventare l’anima della nostra rivista edita all’ombra di un’associazione dedicata a San Giuseppe, ma soprattutto attenta a imitare le virtù umane ed evangeliche del carpentiere di Nazareth che è stato il maestro di umanità per Gesù.
Abbiamo ancora negli occhi le immagini della canonizzazione dei due pontefici, i santi Angelo Giuseppe Roncalli e Carlo Wojtyla; due santi cresciuti nella santità all’ombra di san Giuseppe e nella devozione alla Vergine Maria. Nel mese di luglio la liturgia celebra la memoria di un drappello di santi che ci invitano a visitare le radici della nostra redenzione. Tra i personaggi sulla frontiera dell’Antico Testamento, il 26 luglio abbiamo i suoceri di san Giuseppe, i genitori di Maria, Gioacchino e Anna. Dopo di loro, accanto a Maria - festeggiata il 16 come Madonna del Carmelo -, incontriamo delle donne che hanno avuto un ruolo interessante nei giorni drammatici antecedenti la Pasqua e nel giorno stesso della risurrezione di Gesù.
C’è un versetto del libro del Siracide che spesso mi ritorna all’orecchio perché mi indica un punto fermo cui far riferimento nella mia missione: «Ricorderò le opere del Signore e descriverò quanto ho visto». In occasione della Pasqua riemerge un ricordo impresso nella mia anima e che sorregge il cammino della mia fede. All’interno del sepolcro di Gerusalemme i miei occhi hanno impresso uno straordinario atteggiamento di fede. Devo premettere che tra i grandi doni che Dio mi ha concesso c’è una serie di esperienze che mi hanno fatto scoprire la «terra santa» come una bibbia scritta con la luce su quella terra benedetta.
Da sempre marzo è stato un mese ricco di avvenimenti: uno scrigno di speranza. A marzo si apre la stagione primaverile. Qualche volta, ospita anche la Pasqua cattolica. Sempre festeggia il concepimento di Gesù nel grembo di Maria, l’Annunciazione. Qualche giorno prima di questo rivoluzionario avvenimento, in cui Dio decide di farsi uomo nel grembo di questa immacolata ragazza di Nazareth, la tradizione ha collocato la solennità di San Giuseppe. Lo scorso anno nel mese di marzo per la comunità ecclesiale si sono registrati grandi avvenimenti: l’elezione di papa Francesco, il quale nel suo stemma porta accanto alla «M» di Maria, il «fiore» di San Giuseppe.
Se davvero «ogni storia è una storia d’amore» l’avventura cristiana è una super-storia di amore.
Il testimone oculare, Giovanni l’evangelista, che ci rappresentava accanto alla Croce di Gesù, ha annunciato l’essenza del messaggio evangelico, dicendo: «Dio è amore». Un amore che ci ha pensati dall’eternità e che ha seminato amore nei solchi del terreno della vita. La “buona notizia” su Dio non è una vaga idea, ma un impasto, una sublime fusione dell’umano con il divino.
Quando varchiamo la soglia di un nuovo anno, idealmente, lanciamo sulla sponda del futuro lo zainetto con i nostri desideri: un grappolo di sogni maturati nel cuore della vita. Scommettiamo il nostro futuro sul tavolo della Provvidenza divina con la certezza che il Dio della vita cammina con noi e si fa luce soprattutto nei momenti bui.
Ancora prima della nascita di Gesù, quando Dio nel Medio Oriente stava plasmando il popolo che si era scelto per far giungere l’abbraccio del suo cuore di padre ad ogni creatura umana, nel mondo greco un pensatore scriveva: «Se tu andassi in giro per il mondo, potresti trovare città prive di mura, popoli che ignorano la scrittura, non hanno un re, case e ricchezze, non fanno uso delle monete, non conoscono teatri e palestre, ma nessuno vide mai, né vedrà mai, una città senza templi e senza divinità».
Ritornando alla normalità del vivere, dopo giorni vissuti diversamente, mi è tornato alla mente un’espressione di sant'Agostino, il quale si domandava a cosa può servire avere uno scrigno pieno di ricchezze quando si ha la coscienza “svuotata”. Questo interrogativo è valido a maggior ragione oggi che siamo inondati dal flusso di messaggi digitali: la tv, i cellulari, whatsApp, instagram.
Questa domanda sull’utilizzo dei singoli talenti, oggi più che nel passato, interpella le nostre generazioni.
«Il prezzo della vita proviene da cose senza prezzo», infatti, nella sfera del gratuito ci sono tutti i passi della nostra vita, tutto il godimento degli occhi, le carezze del vento, i sentimenti dell’anima, le lacrime della condivisione e delle separazioni.
Nella stagione estiva, per le persone che se le possono godere, ci sono le vacanze, felice occasione di un’apertura su un orizzonte immenso che ci permette di sentirci abitanti vivi in un mondo vivo.
Nella lingua italiana la parola “vacanza” significa una sospensione delle attività quotidiane che riempiono con tenace costanza azioni abitudinarie. La stagione estiva ci invita a ritagliarsi frammenti di giornata da dedicare esclusivamente a noi stessi in modo da immagazzinare energie indispensabili per seminare un futuro da vivere con soddisfazione. Il tempo delle ferie per chi lavora, il tempo di vacanza per chi studia ha bisogno di uno spazio di tempo per disinquinare la nostra mente da tante parole pronunciate ed ascoltate in questo periodo.
di Mario Carrera
Il Sinodo dei Vescovi, per parlare dei giovani e con i giovani, ha vissuto due momenti: il primo, una rete e una risonanza mondiale ha interpellato tutte le diocesi sparse nei vari continenti; il secondo, la fase conclusiva in cui le chiese locali hanno inviato il loro contributo alla presidenza, ma la partecipazione di qualche centinaio di giovani ai lavori, collaborando così ad esaminare ed illuminare le problematiche giovanili consegnando ai vescovi «un vissuto concreto con l’odore della vita» e non solo «un sentito dire».
La vita - è stato scritto - non è altro che un gettar ponti: dal limbo del tempo alla riva dell'eternità, dalla spiaggia della fatica del vivere alla sponda della speranza.
Ogni volta che la liturgia mi porta nel cuore della fede cristiana - che è la celebrazione della Pasqua - questo evento straordinario e singolare della Resurrezione di Gesù cerca un appoggio nella mia vita e mi invita a perseverare, nonostante tutto, sulla strada dell'immortalità.