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Mercoledì, 24 Settembre 2014 13:06

Parole con il sapore della vita vissuta

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Radicarsi nella vita per fruttificare

di don Mario Carrera

«Una Chiesa che fa e non solo una Chiesa che dice».  È uno slogan che vorrebbe diventare l’anima della nostra rivista edita all’ombra di un’associazione dedicata a San Giuseppe, ma soprattutto attenta a imitare le virtù umane ed evangeliche del carpentiere di Nazareth che è stato il maestro di umanità per Gesù.

Di San Giuseppe gli evangelisti, Matteo e Luca, raccontano soltanto i fatti. Dio conosce le motivazioni del «fare» assegnato al falegname; il suo compito era realizzare con prontezza e intelligenza creativa la missione che la Provvidenza gli aveva assegnato.
Devo confessare che nei miei anni di servizio sacerdotale ho avuto sempre nell’anima l’ammonimento di Paolo VI quando diceva che la gente oggi ascolta con maggior attenzione i testimoni che i maestri, meglio ancora se i maestri sono anche testimoni. Una Chiesa dalle «porte aperte» non è solo per accogliere persone, ma una comunità di fede aperta nel sentire le voci della piazza e mostrare le opere della carità cristiana come frutti saporiti e gioiosi della vita evangelica. 
Una Chiesa capace di raccontare sia il dono ricevuto nel movimento delle ginocchia piegate nella preghiera, come l'offerta di mani operose nel medicare reali e simboliche ferite del corpo, lacerazioni sanguinanti della miseria e della fame. Raccontare la passione del cuore nell’accompagnare pazientemente i lutti della vita: la perdita di una persona cara, i fallimenti dei progetti umani, le retrocessioni agli occhi della società, il peso del vivere.
Una Chiesa che non sa raccontare, o peggio che non ha nulla da raccontare, è una Chiesa malata, una comunità orfana di speranza.  
«La Santa Crociata in onore di San Giuseppe» desidera essere la palestra del confronto, il luogo dell’apprendimento attraverso il racconto e il dialogo.  
Certamente, a Nazareth, San Giuseppe ha raccontato a Gesù la sua fede in Dio, l'esempio della sua vita era un inno di lode; Maria, la vergine madre - affermano gli evangelisti - conservava nel cuore tutti gli avvenimenti della vita di suo Figlio non come sepolcro di riservatezza ma scrigno aperto alla narrazione. Gesù non ha scritto libri, ma ha raccontato, ha narrato la sua esperienza di uomo illuminato dalla natura divina, ha rivelato con esempi le qualità divine del Padre.
San Luca, terminato il racconto della vita di Gesù, ha descritto i primi passi della Chiesa con i fatti di san Pietro e di Paolo, il convertito sulla via di Damasco. Una Chiesa che si andava popolando con la testimonianza di Pietro a Gerusalemme durante le preghiere del popolo ebraico.
Un grande narratore dei misteri della redenzione nella propria vita è stato Sant’Agostino.  
«Le Confessioni» sono un lungo dialogo con Dio, il tentativo di sposare felicemente la fede e la ragione, l’esperienza del peccato immersa e purificata dalla paziente misericordia di Dio. 
Nella narrazione della nostra fede, incarnata nelle opere, siamo davanti ad uno specchio, costretti dalla coerenza a definire noi stessi e a nutrire le nostre relazioni umane sul piano dell’autenticità. 
Le parole che non hanno radici nella vita vissuta hanno un forte tasso d’infertilità. Sant’Agostino, davanti allo specchio della sua responsabilità di pastore di anime, diceva: «Preferisco essere capito da un pescatore che lodato da un dottore». Il linguaggio della testimonianza ha sulle labbra il fascino di un fiore. 
La nostra comunicazione nelle pagine della nostra rivista dedicata a San Giuseppe tenterà di essere una comunicazione di esistenza più che di dottrina, boccioli di santità in attesa di frutti saporosi di vita cristiana.
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