Camminando nei vialetti che una volta chiamavamo del “Campo santo” e che ora preferiamo chiamare “cimitero”, nella consapevolezza che questa parola significa “dormitorio”. Un sonno momentaneo in attesa di un risveglio. Quelle tombe e quei vialetti non sono avvolti da un cielo buio, ma costituiscono un crocevia sotterraneo in cui è indicata una «direzione promettente», animata da un atteggiamento che possiamo chiamare “aspettativa” di un futuro ultimo che ha un nome carico di speranza immortale.
La speranza è l’anima segreta della vita. La speranza, infatti, vede già una turgida e indorata spiga anche quando i nostri occhi di carne vedono soltanto un seme che marcisce.
Mi ha sempre affascinato l’immagine della speranza descritta dal poeta Charles Peguy. Egli immagina le virtù teologali come tre sorelle che, al mattino, tenendosi per mano si avviano alla scuola, palestra della vita. Le virtù della fede e della carità hanno al centro la speranza come se fosse la virtù minore che ha bisogno di essere sostenuta, invece, è la speranza che guida la fede e la carità e fornisce loro luce sufficiente per camminare anche nei momenti di penombra o di oscurità verso la meta del loro destino comune. Possiamo in verità affermare che «la speranza è il bene che si spende di più e si consuma di meno».
Il cimitero è il campo della speranza, ma per molte mamme è il campo delle lacrime per vite sradicate troppo presto dai loro affetti; vite sin dalla nascita strette sul petto come frutto del loro grembo e mantenute in modo perenne sulle loro braccia: un amore sbocciato nella primavera della vita e tolto, prematuramente, quando la perla della vita non aveva ancora raggiunto il vertice del personale splendore.
Nel cuore di giovani madri, come pure nell’animo di ragazzi, orfani prematuramente, il sepolcro non si è mai chiuso.
Sappiamo che il dolore e il pianto del lutto sono stati condivisi anche da Gesù per la morte del suo giovane amico Lazzaro. Le lacrime del Figlio di Dio per la morte alla vita terrena del fratello di Marta e Maria, erano cariche di luce di speranza illuminata dalla sua parola che annuncia: «Io sono la resurrezione e la vita».
Il discepolo Paolo, convertito al messaggio di Gesù scrive nella sua lettera ai Corinti di «morire ogni giorno» con la certezza che accanto a noi c’è Qualcuno che viene e a svegliarci ogni giorno e ci aiuta a guardare il futuro con fiducia e a camminare verso il traguardo della resurrezione centellinando ad ogni battito del nostro cuore una goccia di quella speranza che non delude.