Passa il tempo, forse degli anni, ma nel testo di Matteo scorrono solo sei versetti e di nuovo «un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: "Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino". Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele» (Mt 2,19-21). E Luca ci informa ancora che «i suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua» (Lc 2, 41). Questo fino al dodicesimo anno di Gesù, alla vigilia del Bar Mitzvàh, il rito della maturità di un figlio, quando, dopo lo smarrimento e il successivo ritrovamento nel tempio, Giuseppe quasi prende congedo dal testo sacro e non vi sarà più nominato.
Molti personaggi della Bibbia sono viaggiatori. Abramo lo è in forza di una promessa; il suo è un affidarsi, un lasciare, un partire per non ritornare. Mosè esce dall’Egitto e vaga nel deserto con tutto il popolo e, attraverso la strettoia del Mar Rosso diviso in due parti, viene come partorito di nuovo. Per l’altro Giuseppe – quello venduto agli egiziani dai propri fratelli – il viaggio è molto più interiore: è un riallacciare fili spezzati e un drammatico processo di riconciliazione conquistata.
E san Giuseppe?
Per Giuseppe di Nazareth il viaggio consiste nell’andare sempre oltre: oltre la legge (che gli imponeva di ripudiare la moglie), oltre il buon senso, oltre il dovuto, oltre l'ovvio. Giuseppe viaggia solo per amore: di Dio, di Maria, del figlio. E l'amore ha sempre fretta... per questo le parole che i Vangeli dedicano a lui sono brevi, incalzanti, brusche e senza fronzoli.
Dio deve aver avuto una stima enorme di Giuseppe e Giuseppe deve aver avuto una confidenza rocciosa in Dio, che infatti gli parla come a uno che non ha bisogno di essere convinto o blandito. L’angelo gli parla direttamente, usando imperativi, e Giuseppe, subito, agisce, pianifica, và.
Un dipinto di Jeorge De la Tour (1563-1632, vedi l’immagine) descrive in modo visibile quello che non viene detto del dramma interiore di Giuseppe: l’angelo gli parla di notte, in sogno, in un’atmosfera misteriosa. Gli parla in quella zona del cuore in cui non tutto è chiaro: è notte e la luce è solo quella di una candela, che tuttavia è coperta dalla mano dell’angelo, che lo visita in una zona della coscienza in cui la paura, la speranza, il dubbio e l’amore si trovano come sospesi e confusi. E Giuseppe decide sempre secondo il cuore di Dio, generando così il futuro per Maria e Gesù, ed esercitando una paternità sempre più ampia.
E noi? Cosa insegna a noi e a me, la vita viaggiante di san Giuseppe?
I cristiani, all’inizio, venivano chiamati “quelli della via”. Papa Francesco indica di nuovo questa identità come meta: rimettere la Chiesa in viaggio, facendosi vicina ad ogni uomo delle strade, anche a costo di diventare feribile; solo quando la Chiesa è in viaggio è evangelica.
Ma la vita di ogni persona è di per se stessa un viaggio, che non può essere pianificato da un tour operator, anche se corriamo sempre il rischio di vivere come turisti su questa terra. La vita è un cammino che si genera passo dopo passo. Giovani, adulti, anziani, bambini, uomini e donne, tutti – volenti o nolenti – camminiamo. I nostri giorni sono i nostri passi. Qualcuno però dirà: «Ma a me nessun angelo è mai venuto a dirmi dove devo andare!». è proprio così? Forse si tratta solo di mettersi in ascolto di un Dio che parla in molti modi, attraverso i fatti e le persone. Forse si tratta di concederci un po’ di silenzio, il silenzio di Giuseppe, per fare spazio a poche domande:
Con chi sto viaggiando? Quali sono i mei compagni di viaggio? Cosa mi stanno dicendo? Chi di loro mi sta aiutando e chi no?
Perché sto viaggiando? Cosa mi spinge a vivere le mie giornate? E con che passo le vivo?
Con che cosa sto viaggiando? C’è qualcosa che frena il mio andare? Cosa c’è di superfluo nella mia vita? Se fai un viaggio lungo, sia leggero il tuo bagaglio: sarai meno stanco e più disposto ad accogliere ciò che ti sarà donato ogni nuovo giorno (Ezio Bianchi).
Dove sto andando? (Senza negarmi all’evidenza della fine del viaggio, del mio ‘tornare a casa’).
Siamo tutti viandanti. Guarda, caro san Giuseppe, le nostre distrazioni, le nostre pigrizie e le nostre stanchezze, i nostri smarrimenti e le nostre cadute, ma anche i nostri propositi ed i nostri entusiasmi. Donaci, caro San Giuseppe, di saper ascoltare. Di saper ringraziare per il cammino già fatto. Di saper rinunciare a ciò che ci rallenta. Di saper vedere la meta e, come facesti tu, di trarre tutta la gioia nello spenderci per questo santo viaggio, insieme a tutti coloro che la vita e la provvidenza ci ha messo sul cammino.