Nel percorso di catechesi sulla famiglia, oggi prendiamo direttamente ispirazione dall’episodio narrato dall’evangelista Luca, che abbiamo appena ascoltato (cfr Lc 7,11-15). E’ una scena molto commovente, che ci mostra la compassione di Gesù per chi soffre – in questo caso una vedova che ha perso l’unico figlio – e ci mostra anche la potenza di Gesù sulla morte. La morte è un’esperienza che riguarda tutte le famiglie, senza eccezione alcuna. Fa parte della vita; eppure, quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale. Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante, che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa. La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro.
Dopo aver considerato sotto vari aspetti l’altissima dignità della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, i Padri conciliari si dedicano nella II parte della costituzione Gaudium et Spes a considerare alcuni urgenti problemi contemporanei: la famiglia, la cultura, la vita sociale, economica e politica, la pace. Anche se sono trascorsi cinquant’anni dalla chiusura del Concilio, tali problemi continuano a rimanere “attuali”, anzi, la loro urgenza in alcuni casi si fa oggi più pressante. Sono problemi di tale portata e complessità che non è certo possibile trattarli nel breve spazio di un articolo, né, d’altra parte, avrei la competenza necessaria a tale scopo.
Un “nuovo passo”, per un “accompagnamento differenziato” delle famiglie, particolarmente quelle ferite e fragili, tramite un “discernimento prudente e misericordioso” e “la capacità di cogliere nel concreto la diversità delle singole situazioni”. È l’Instrumentum laboris per la XIV Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi, reso pubblico recentemente. Il testo è frutto della “Relatio Synodi” - di cui ampie parti vengono confermate - integrata dalle 99 risposte ai “Lineamenta”, oltre alle 359 osservazioni “inviate liberamente da diocesi e parrocchie, associazioni ecclesiali e gruppi spontanei di fedeli, movimenti e organizzazioni civili, numerose famiglie e singoli credenti”, come ha spiegato il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, presentando il documento ai giornalisti. “Per la Chiesa si tratta di partire dalle situazioni concrete delle famiglie di oggi, tutte bisognose di misericordia, cominciando da quelle più sofferenti”, si legge nel testo, che si articola in tre parti: l’ascolto delle sfide sulla famiglia, il discernimento della sua vocazione, la riflessione sulla sua missione.
«Le creature di questo mondo non possono essere considerate un bene senza proprietario: “Sono tue, Signore, amante della vita”(Sap 11,26). Questo induce alla convinzione - ha scritto papa Francesco nell’enciclica “Laudato si’” - che, essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro, amorevole e umile».
Questo «rispetto umile» era nel DNA della santità di don Guanella; per lui tutto era sacro: dalle persone a questa «stanza senza pareti», che è il nostro mondo. Niente di questo mondo ci è indifferente e per don Guanella tutto era interessante e meritevole di attenzione. Dice papa Francesco: «Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio.
Così sono definiti gli Atti degli Apostoli, scritti da Luca, con stile asciutto e preciso, sull'esempio dei diari di viaggio dei grandi narratori greci. Il libro di Luca è il documento più interessante delle origini del cristianesimo, senza il quale la storia della Chiesa primitiva mancherebbe, in parte, della testimonianza diretta del suo grande protagonista Paolo. L'Apostolo delle genti, per buona sorte, non mancò di fornirci varie preziose informazioni sul proprio operato con le sue Lettere.
Per solennizzare il «Patrocinio di san Giuseppe», proponiamo un regalo a tiratura limitata. è pensato, preparato e pregato per dare linfa nuova al futuro.
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La famiglia di Nazareth è da sempre una scuola di vita. Dio ha affidato a Giuseppe il compito di essere padre e a Maria la missione di educare Gesù facendolo crescere all’ombra del padre adottivo e del calore del genio femminile della Mamma.
L’ombra dei genitori cammina sempre accanto ai figli i quali imparano da loro a scrivere la vita con la lingua imparata dal loro linguaggio.
Un libro su san Giuseppe? Le dimensioni, il tono delle parole, l’animo di don Mario che le ha coltivate e deposte sul foglio con punta di pennello sottile, il confronto con la nostra condizione (uomini e donne, padri e madri, figli e figlie, sposi, malati, in pericolo, in attesa e ricerca, intimoriti e in fuga …) ne fanno un prezioso compagno di viaggio, un prontuario dell’anima, una casella di posta tra il cielo e la terra. Sia benedetto questo piccolo libro.
Non ci sarebbe nulla da aggiungere alla sapienza delle pagine di don Mario poste all’inizio a mo’ d’introduzione; delicate e profonde; confidenti e pensate. Eppure, per la vicinanza “salvifica” alla Madre di Dio, vergine di Nazareth e sua promessa sposa, anche di Giuseppe – in qualche modo – si può dire numquam satis, l’antica espressione usata per affermare che parlare di Maria non era mai abbastanza.
San Giuseppe era “giusto”, cioè santo perché docile, generoso e radicale custode del Figlio dell’Altissimo. L’obbedienza di Giuseppe è atto di altissima dignità perché il confronto è con la volontà di Dio; perciò sostenuto da una fede profondissima. La sua fede e la sua obbedienza lo fanno – come fu Abramo – «padre di molti popoli» e tra questi il popolo della Chiesa universale.
La paternità di san Giuseppe è ricevuta in dono, inaspettata, provvidenziale e gratuita, che sono gli aggettivi legati a Dio stesso, Provvidenza e Grazia. Dio ha scelto di essere l’Emmanuele e per questo ha chiesto a Giuseppe di prendere con sé Maria, ne accogliesse il Figlio come il proprio figlio e lo chiamasse Gesù perché Salvatore di tutto il popolo.
Quest’anno ricorre il 30° dell’esortazione apostolica Redemptoris custos di san Giovanni Paolo II; quindici anni prima un altro papa santo, Paolo VI, a Nazareth pronunciò parole ispirate indicando in Giuseppe e nella sua convivenza trentennale con Maria tre cose: il silenzio, la comunione di amore, il lavoro. Il silenzio, «nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo».
La comunione di amore di tre cuori vergini, abitati dallo Spirito e perciò reciprocamente rispettosi, dediti, delicati, pronti all’ascolto e al servizio, in perfetta unità, riflesso di quella divina.
Il lavoro: legge severa, ma liberatrice della fatica umana, e manifestazione della sua dignità perché sostegno per la famiglia e servizio alla società.
«All’ombra del Padre»: l’allusione è al nuovo passo compiuto da Giuseppe quando Dio irrompe nel suo sonno agitato e nel suo pensiero, rassicurandolo con le parole di un angelo. Anche Maria era stata invitata da un angelo a non aver paura. Ora è lui, Giuseppe, a trovarsi sotto l’ombra del mistero divino che lo sceglie per dare il nome a colui che non è suo. Giuseppe è un padre presente, attento, pronto a far fronte alle difficoltà. Delinea il modello della famiglia autentica. Troppe mamme sono lasciate da sempre sole coi figli. E padri – tanti – occupati altrove. Giuseppe rimette le cose a posto. Dio rimette ordine nella vita dell’uomo e lo invita a destarsi dal sonno e a rimboccarsi le maniche.
Questo piccolo libro è un dono grande. Ho l’impressione che ci venga proprio da lui, il custode. In una attualità che è colma di orrori per i mille volti delle vittime di violenza (specialmente in famiglia), unisco anche la mia alle preghiere qui raccolte.