Gennaio è il 1° mese dell’anno e i 31 giorni che lo compongono rappresentano, dal punto di vista climatico, il cuore della stagione invernale. Il termometro continua a scendere toccando le punte minime nei giorni 29, 30 e 31, considerati tradizionalmente i tre giorni più freddi dell’anno e ribattezzati «giorni della merla» (diverse le ipotesi, più o meno leggendarie, sull’origine di quest’espressione). Gennaio è stato introdotto nel calendario romano come undicesimo mese da Numa Pompilio ma, pur facendo cominciare l’anno da marzo, veniva considerato come punto di partenza per il rinnovo delle cariche consiliari. Con la riforma giuliana del 46 a. C. il primo giorno del mese è stato fatto coincidere con il capodanno, ma quest’ordine del calendario non è stato mantenuto in tutte le epoche. Nel Medioevo, ad esempio, venivano considerati come primo giorno dell’anno ora il 1° marzo (nella Repubblica di Venezia) ora il 1° settembre (nell’Impero d’Oriente e in Russia) ed è stato così fino al XVIII secolo.
Gennaio chiude i festeggiamenti del Natale cristiano con l’ultima festività dell’Epifania, celebrata il 6 gennaio.
3 gennaio 1954: nasce la televisione italiana.
7 gennaio 1797: il Tricolore viene adottato per la prima volta
11 gennaio 1922: primo test dell'insulina
19 gennaio 1915: brevettata la lampada a neon
21 gennaio 1951: arriva il “13” al Totocalcio
22 gennaio 1944: gli Alleati sbarcano ad Anzio
23 gennaio 1932: primo numero della Settimana Enigmistica
27 gennaio 2000: giorno della Memoria in Italia
29 gennaio 1886: Benz brevetta la prima vettura a motore
30 gennaio 1873: Verne, Il Giro del mondo in 80 giorni
31 gennaio 1865: abolita la schiavitù in America
Un piccolo di elefante, avendo voglia un giorno di esplorare un po’ il mondo, si era avventurato nella foresta. Proprio mentre stava attraversando un corso d'acqua, non si sa bene per quale ragione, se per un suo fare maldestro o per una circostanza fortuita, l'occhio sinistro gli saltò fuori dalla sua orbita e cadde nell'acqua. Per quanto ancora giovane e inesperto, l'elefantino sapeva bene quanto è importante disporre di ambedue i propri occhi. Si preoccupò dunque di recuperare subito l'occhio che gli era caduto. Immerse la sua proboscide nell'acqua e cominciò a sondare il fondo fangoso per ritrovarlo. L'acqua tutto attorno si fece torbida naturalmente e, per quanto con l'occhio rimastogli cercasse d'individuare quello perduto, non gli era possibile distinguere più niente sul fondo. Gli altri animali, che stavano sulla riva o che erano in acqua, si resero conto del suo problema. Provando simpatia e pena per lui, si preoccuparono di dargli qualche consiglio su cosa fare in una situazione del genere. Gli gridavano:
«Elefantino, calmati, la cosa migliore che puoi fare è fermarti un attimo...».
Ma il poverino era troppo preoccupato di ritrovare al più presto il suo occhio perduto. Spostava le sue zampe con circospezione, con la proboscide continuava a rimestare il fondo. Il risultato era un'acqua tutto attorno sempre più sporca, che escludeva ogni possibilità per lui di rintracciare l'occhio perduto.
E gli altri animali a insistere, a gridare più forte: «Elefantino, oh piccolo... non agitarti così, fermati un momento, non muovere l'acqua..».
Le grida furono così forti e insistenti che dovette, finalmente, prestare attenzione ai consigli che gli venivano inviati, alzò la testa, rimase fermo, con la proboscide fuori dall'acqua, per ascoltare meglio quel che gli veniva suggerito di fare. Bastò quel poco tempo in cui il fondo non fu agitato, per permettere alla corrente di portare verso valle l'acqua torbida. Quando poi di nuovo l'elefantino guardò davanti a sé, l'acqua era magicamente diventata tutta pulita e con l'altro occhio poté distinguere sul fondo, ora chiaro, quello perduto.
Introdusse di nuovo la sua proboscide, questa volta con tutta la delicatezza, recuperò il suo occhio e lo rimise al suo posto. Poté così continuare felice la sua passeggiata avendo acquisito una saggezza preziosa in più. Nella vita succedono a volte cose strane, spiacevoli, anche drammatiche e traumatizzanti. Ma se si ha l'accortezza di prendersi un tempo per riflettere prima di agire e di guardare le cose da una certa distanza, se si aggiunge la prudenza d'ascoltare il parere di qualcuno che sta attorno, si può sempre trovare il sistema per uscirne bene, per quanto difficile o penosa la situazione si riveli.
Il brano musicale noto come Largo di Handel, che si suona in tutti i matrimoni e nelle cerimonie commoventi, è praticamente un inno al Platano che vanta come ispirazione ascendenze millenarie con autori e personaggi illustri. Vero gigante della nostra flora arborea il Platanus orientalis, delle Platanacee, ha il tronco relativamente breve, ma la chioma folta ed estesissima. È l’albero ombroso per eccellenza che fin dall’antichità è stato magnificato dagli autori più famosi come Ateneo, Platone, Plutarco, Arcadio, lodandolo per il refrigerio e la protezione che offre a quanti si rifugiano sotto i suoi rami. È apprezzato soprattutto in certe zone dell’Oriente dove il caldo e la siccità sono maggiori e l’albero tuttavia vi cresce rigoglioso. Plinio (Storia Naturale XII, 3 e segg.) enumera casi e figure storiche che ammirarono, amarono, preservarono piante di platano magnifiche per la loro grandezza e per le loro grandi foglie che danno il nome alla pianta: platys è in greco “largo”. Gli antichi ebbero un vero culto per questa pianta. Una fu portata attraverso il Mare Ionio per collocarla sulla tomba di Diomede.
Il brano musicale noto come Largo di Handel, che si suona in tutti i matrimoni e nelle cerimonie commoventi, è praticamente un inno al Platano che vanta come ispirazione ascendenze millenarie con autori e personaggi illustri.
Vero gigante della nostra flora arborea il Platanus orientalis, delle Platanacee, ha il tronco relativamente breve, ma la chioma folta ed estesissima. È l’albero ombroso per eccellenza che fin dall’antichità è stato magnificato dagli autori più famosi come Ateneo, Platone, Plutarco, Arcadio, lodandolo per il refrigerio e la protezione che offre a quanti si rifugiano sotto i suoi rami. È apprezzato soprattutto in certe zone dell’Oriente dove il caldo e la siccità sono maggiori e l’albero tuttavia vi cresce rigoglioso. Plinio (Storia Naturale XII, 3ss.) enumera casi e figure storiche che ammirarono, amarono, preservarono piante di platano magnifiche per la loro grandezza e le loro grandi foglie che danno il nome alla pianta: platys è in greco “largo”. Gli antichi ebbero un vero culto per questa pianta. Una fu portata attraverso il Mare Ionio per collocarla sulla tomba di Diomede. Dioniso il Vecchio ne adornò la sua capitale e a Roma si annaffiava col vino un superbo esemplare.
È simbolo della capacità, dell’ingegno del ristoro, della magnificenza, per la dimensione e l’imponenza.
Celeberrimo fu il Platano della Lidia di cui parlano Erodoto ed Eliano a proposito di Serse I, re di Persia. Questi, durante la marcia con la sua armata, venendo dalla Frigia e penetrando nella Lidia, «trovò un esemplare tanto bello di tale pianta cui fece dono per la sua bellezza, di ornamenti d’oro; poi, affidatolo alla sorveglianza di uno dei suoi Immortali, al secondo giorno arrivò alla capitale della Lidia». Gli Immortali erano un reparto scelto dell’esercito costituito da 10.000 armati, detti così perché chiunque venisse a mancare era immediatamente sostituito in modo che il numero rimaneva immutato (Le storie VII, 31).
La vicenda d’un re che s’innamora e ammira tanto una pianta da lasciarla in custodia a un drappello del suo corpo migliore di soldati generò stupore e il fatto compare nel capolavoro di George Frideric Handel (1685-1759), la celebre opera Serse (Atto I, Scena I), al cui inizio il protagonista, stando sotto i rami dell’albero maestoso, canta l’aria celeberrima, musica meravigliosa per quanto sono povere e infelici le parole: Ombra mai fu / di vegetabile / cara ed amabile, / soave più. La musica è più nota nelle numerose trascrizioni e riduzioni strumentali che sono note come il Largo di Handel.
Piccolo sempreverde, (punica granatum, delle punicacee) a volte ha rami spinosi. Il melograno è una pianta ornamentale, di crescita lenta, viene coltivata per i suoi frutti dei quali si mangiano i semi. I fiori, scempi o stradoppi, sono di particolare bellezza per la forma e il colore vermiglio (come dice Carducci in Pianto antico). Matura in autunno. Si trova anche selvatico o inselvatichito per le siepi e le boscaglie.
Il frutto, di straordinaria bellezza, d’inspiegabile fascino e mistero, è stato oggetto nell’antichità di una simbologia segreta che verte sul tema della fecondità: questo vaso che nasconde compressi infiniti semi rossi di grande bellezza, dolcezza e perfezione, per cui la melagrana si collega sia al momento divino della creazione che della fecondità.
Anche la tradizione cristiana ne fa un frutto del Paradiso, a volte identificato col pomo dell’Albero della scienza del bene e del male, trascinato sulla terra da Lucifero nella sua caduta.
Nella mitologia antica è il frutto legato a Proserpina (Persefone) e a sua madre Demetra (Cerere), la divinità pagana che presiede all'agricoltura, alle messi e alle biade. Personificazione della vegetazione che sta sotto la terra in inverno ed esce con la buona stagione, Persefone fu rapita da Plutone. Demetra la cercò per la Sicilia accendendo due pini alle fiamme dell’Etna, agitandoli nella notte, poi salì sull’Olimpo ottenendo da Giove di riportare la figlia sulla terra, a condizione che questa non avesse mangiato nulla nel regno delle ombre. Ma, prigioniera di Plutone nel regno degl’Inferi, la fanciulla era sorvegliata da Ascalafo, il quale riferì d’averla vista mangiare sei chicchi di una melagrana, colta nei giardini della reggia plutonica. Ciò impedì che Proserpina potesse essere liberata e, per concessione di Giove, poté tornare per 9 mesi sulla Terra, restandone però 3 nel regno sotterraneo, proprio come la vegetazione fa nel suo ciclo annuale.
La leggenda cristiana dice che la melagrana un tempo fosse candida e nascesse sugli alberi che adornano il Paradiso. A Lucifero in particolare piaceva questo pomo quando era nel numero degli angeli. Quando si ribellò a Dio, al momento di essere precipitato dal cielo, afferrò uno di questi frutti che cadde con lui sulla terra. Per la grande calura e per il fuoco che si accese nelle sue membra, rovinando sulla terra, il frutto divenne d'un rosso acceso: i suoi semi si sparsero al suolo e nacque così il nostro melograno.
«Di maggio, ciliegie per assaggio, di giugno, ciliegie a pugno»
Campagna. In questo mese ci si dedica alla raccolta della frutta di fine primavera-inizio estate, che cresce in grande abbondanza, specie le ciliegie. Il clima di giugno rende necessario dedicarsi all’irrigazione e al diserbo. Si semina: mais, miglio, sorgo, girasole, erbai ecc.
Frutteto e vigneto. Si prosegue con i trattamenti contro le carpocapse, le psille e le mosche della frutta e con i lavori di potatura verde sulle drupacee e sull’olivo. Nel vigneto si eseguono spollonature e diradamento dei grappoli (specie per l’uva da tavola per migliorarne la qualità). Dove necessario, si inizia il trapianto degli esemplari di actinidia allevati in contenitori.
Orto. Si ombreggiano i semenzai e, per evitare che il terreno si secchi troppo, si esegue la pacciamatura e si annaffia di frequente nelle ore più fresche. Si eliminano le infestanti e si rincalzano cardi, fagioli, cavoli, melanzane, patate, peperoni. Si cimano angurie, meloni, melanzane, pomodori. Si controllano i tutori predisposti il mese precedente e si seminano gli ortaggi per la produzione autunno-invernale.
Allevamenti. Con l’alzarsi delle temperature è necessario arieggiare bene i pollai, e in generale far pascolare gli animali all’aperto in luoghi ombreggiati.
Giardino. Occorre dedicarsi alla falciatura del tappetto erboso e a una quotidiana annaffiatura. Si estirpano e ripongono i bulbi sfioriti. Si sarchiano le aiuole con piante da fiore. Si esegue la cimatura del crisantemo e si potano alberi, arbusti, rampicanti e rosai sfioriti. è ancora possibile piantare o trapiantare il geranio in vasi all’aperto ed eseguire talee e margotte.
Due amici erano in viaggio nel deserto. Si volevano bene, andavano molto d’accordo. L’uno considerava l’altro il migliore degli amici, l’amico del cuore.
Come si usa camminando nel deserto, fecero sosta durante le ore più calde. Si rifocillarono, si riposarono, occuparono il tempo discutendo di cose diverse. A un certo punto toccarono un argomento su cui si sorpresero di avere punti di vista divergenti. Ne venne fuori un vero diverbio tra loro, cosa che non era mai successa prima. Il loro discutere si trasformò in un litigare accanito, si lasciarono andare a qualche parola offensiva. Fino a che uno dei due, esasperato, non riuscì a trattenersi dal mollare un ceffone all’altro.
Zittirono. Non ci furono altre reazioni, ma chi aveva ricevuto la sberla, come per scaricare il proprio nervoso e l’umiliazione patita, si chinò per scrivere sulla sabbia: oggi il mio migliore amico mi ha dato un ceffone! L’altro osservò, non fece commenti. Ripresero in silenzio il cammino.
Arrivarono a destinazione, un’oasi con una bella sorgente d’acqua, abbondante al punto da creare un laghetto circondato da palme. L’invito era irresistibile a immergersi e a rinfrescarsi, dopo la polvere e l’afa del viaggio. Presero ambedue un bagno ristoratore in quella bell’acqua.
A un certo punto chi aveva ricevuto lo schiaffo ebbe la disavventura di cadere in una buca nascosta all’acqua. Non sapeva nuotare, annaspò, chiese aiuto per la paura di annegare. E allora l’amico intervenne prontamente e lo accompagnò in salvo all’asciutto.
Giusto il tempo di riprendere il fiato, il salvato si accucciò al bordo del laghetto, fatto di una roccia tenera, levigata dall’acqua. Con un sasso aguzzo cominciò a incidere qualche parola. Una dietro l’altra, venne fuori la frase: oggi il mio migliore amico mi ha salvato la vita!
L’altro lesse, rimase pensoso, per chiedere poi:
«Ho visto che oggi hai scritto sulla sabbia il brutto gesto di averti dato uno schiaffo. Adesso invece ti impegni a incidere sulla pietra il fatto di averti salvato la vita. C’è una ragione?».
L’amico risposte:
«Quando qualcuno ti colpisce o ti ferisce, conviene che lo tieni nella tua memoria, come qualcosa scritto sulla sabbia. Il vento della comprensione e del perdono ne fanno sparire rapidamente la traccia. Quando invece sei oggetto di un gesto d’amore, conviene che ne conservi un ricordo vivo, come una traccia incisa sulla pietra. Il vento non la fa sparire e resta un appello rinnovato a rinsaldare l’amicizia e l’intesa».
Vito Viganò
Ingredienti per 4 persone: un magatello di vitello, una maionese di tre uova, 350 gr. di tonno all’olio, sedano, carota, prezzemolo, una foglia di lauro, un bicchiere di vino bianco, 50 gr. di filetti di acciughe, capperi, olio, il succo di un limone, sale.
In una casseruola far cuocere il vitello con 2 bicchieri d’acqua, uno di vino, sedano, carota, prezzemolo, lauro, olio, sale e limone. A vitello cotto, toglierlo dalla casseruola e stemperare nel sugo rimasto tonno, acciughe e capperi; poi passare tutto allo staccio. Tagliare il vitello a fettine e disporle sul piatto coprendolo col sugo. Guarnire il tutto con capperi sotto aceto oppure carciofini.
Quando il Bàal Schem, il fondatore del chassidismo, doveva assolvere un compito difficile, andava in un certo posto nel bosco, accendeva un fuoco, diceva preghiere, e ciò che voleva si realizzava.
Quando, una generazione dopo, il Maggid di Meseritsh si trovò di fronte allo stesso problema, si recò in quel posto nel bosco e disse: “Non sappiamo più accendere il fuoco, ma possiamo dire le preghiere”– e tutto avvenne secondo il suo desiderio.
Ancora una generazione dopo, Rabbi Mosche Leib di Sassov si trovò nella stessa situazione, andò nel bosco e disse: “Non sappiamo più accendere il fuoco, non sappiamo più dire le preghiere, ma conosciamo il posto nel bosco, e questo deve bastare”. E infatti bastò.
Ma quando un’altra generazione trascorse e Rabbi Israel di Rischin dovette anch’egli misurarsi con la stessa difficoltà, restò nel suo castello, si mise a sedere sulla sua sedia dorata e disse: “Non sappiamo più accendere il fuoco, non siamo capaci di recitare le preghiere e non conosciamo nemmeno il posto nel bosco: ma di tutto questo possiamo raccontare la storia”. E, ancora una volta, questo bastò.
«Aprile fa il fiore e maggio gli dà l’odore»
Campagna. Durante questo mese, come dice il proverbio, tutte le piante sono in piena vegetazione e si coprono di fiori e di colori. Ma per quanto il clima sia mite, occorre fare attenzione alle gelate tardive e valutare il tempo per tutte le lavorazioni.
Oliveto. Si prosegue con la potatutra degli olivi e si eseguono trattamenti necessari contro gli eventuali attacchi da parte di cocciniglie e funghi.
Frutteto. Termina il lavoro di concimazione e hanno inizio i lavori di post-fioritura e post-potatura. Si prosegue con i lavori di scacchiatura e di sfoltimento. Prima della schiusa delle gemme si esegue, a scopo preventivo contro le crittogame, l’ultimo trattamento invernale a base di prodotti rameici.
Orto. In questo mese è ancora necessario vangare e sarchiare accuratamente il terreno. Si rincalza la patata e si predispongono i tutori per il pisello rampicante. Si possono mettere a dimora cavoli e insalate, barbabietola, cipolle, porri, ravanelli ecc. Si semina in vasetto o semenzaio protetto: anguria, melone, zucca, zucchina. In semenzaio all’aperto il basilico. Quasi tutti gli ortaggi seminati in semenzai a febbraio-marzo possono essere trapiantati in pieno campo.
Giardino. Si potano siepi, alberi ornamentali e rosai. Si mettono a dimora bulbi e rizome di anemone, canna d’India, ciclamino, dalia, giglio, iris, ranuncolo. Entro metà mese si ultimano le piantagioni delle specie da fiore: calendula, Amaranthus, convolvolo, crisantemo, fiordaliso, astro, Impatiens, begonia, bocca di leone, dalia, petunia, zinnia ecc. A fine mese si trasferiscono all’esterno i gerani e si rinvasano.
Riconoscere il mondo in cui si vive è una di quelle necessità vitali per non esistere come estranei in un ambiente che pian piano ci diventa ostile.
Un giorno il saggio Haikin ebbe una visita inconsueta. Di solito venivano a consultarlo persone dedite alla vita dello spirito, desiderose di sapere da lui come avanzare sul difficile cammino della perfezione. Questa volta aveva chiesto di vederlo un soldato, che aveva una certa sensibilità per le cose dello spirito, malgrado la sua professione. Avendo sentito parlare dell’inferno e del paradiso, aveva deciso di volersi meritare il paradiso. Non sapendo bene come riuscirci, aveva pensato ad Haikin, ai buoni consigli che avrebbe potuto ricevere da questo saggio.
Campagna. Il detto indica che il mese è assai capriccioso: le condizioni metereologiche variano molto facilmente e possono ritornare basse temperature e gelate, tanto da dover rinviare i lavori di semina e trapianto. Se il tempo lo consente, si prosegue con la semina della barbabietola e si inizia quella di girasole, mais, soia.
E' la Cenerentola delle piante: si trova nei vasi in ingressi, androni, scale: un fascio di foglie grandi, allungate che escono dal vaso creando uno spazio verde chiaro, o scuro secondo l’ambiente, di valore ornamentale. È frequente nelle chiese, cappelle, luoghi sacri, sacelli dove spesso cresce trascurata, stenta, malconcia e polverosa. All’anagrafe si chiama Aspidistra elatior; Aspidistra lurida, delle Liliacee. Prende il nome dal greco aspis che indica la forma delle foglie fatte a scudo.