Ritornando alla normalità del vivere, dopo giorni vissuti diversamente, mi è tornato alla mente un’espressione di sant'Agostino, il quale si domandava a cosa può servire avere uno scrigno pieno di ricchezze quando si ha la coscienza “svuotata”. Questo interrogativo è valido a maggior ragione oggi che siamo inondati dal flusso di messaggi digitali: la tv, i cellulari, whatsApp, instagram.
Questa domanda sull’utilizzo dei singoli talenti, oggi più che nel passato, interpella le nostre generazioni.
«Il prezzo della vita proviene da cose senza prezzo», infatti, nella sfera del gratuito ci sono tutti i passi della nostra vita, tutto il godimento degli occhi, le carezze del vento, i sentimenti dell’anima, le lacrime della condivisione e delle separazioni.
Nella stagione estiva, per le persone che se le possono godere, ci sono le vacanze, felice occasione di un’apertura su un orizzonte immenso che ci permette di sentirci abitanti vivi in un mondo vivo.
Nella lingua italiana la parola “vacanza” significa una sospensione delle attività quotidiane che riempiono con tenace costanza azioni abitudinarie. La stagione estiva ci invita a ritagliarsi frammenti di giornata da dedicare esclusivamente a noi stessi in modo da immagazzinare energie indispensabili per seminare un futuro da vivere con soddisfazione. Il tempo delle ferie per chi lavora, il tempo di vacanza per chi studia ha bisogno di uno spazio di tempo per disinquinare la nostra mente da tante parole pronunciate ed ascoltate in questo periodo.
di Mario Carrera
Il Sinodo dei Vescovi, per parlare dei giovani e con i giovani, ha vissuto due momenti: il primo, una rete e una risonanza mondiale ha interpellato tutte le diocesi sparse nei vari continenti; il secondo, la fase conclusiva in cui le chiese locali hanno inviato il loro contributo alla presidenza, ma la partecipazione di qualche centinaio di giovani ai lavori, collaborando così ad esaminare ed illuminare le problematiche giovanili consegnando ai vescovi «un vissuto concreto con l’odore della vita» e non solo «un sentito dire».
La vita - è stato scritto - non è altro che un gettar ponti: dal limbo del tempo alla riva dell'eternità, dalla spiaggia della fatica del vivere alla sponda della speranza.
Ogni volta che la liturgia mi porta nel cuore della fede cristiana - che è la celebrazione della Pasqua - questo evento straordinario e singolare della Resurrezione di Gesù cerca un appoggio nella mia vita e mi invita a perseverare, nonostante tutto, sulla strada dell'immortalità.
La famiglia di Nazareth dal momento in cui Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù sono tornati in Galilea nella loro casa, si è aperta l’Università della vita. Da quel momento al vivere umano è stato aggiunto un supplemento di qualità: Dio cammina con noi con una carne umana. La vita del Creatore ha iniziato a pulsare con il ritmo della nostra umanità. Con l’alfabeto umano Dio ha imparato a gustare la dolcezza di un sorriso, nel pianto del bambino ha udito il lamento di una preghiera come un’elemosina di vita.
Nella tradizione religiosa ogni festività nasconde una scintilla di divino da regalarci. La festa della Presentazione di Gesù al tempio non è solo una scintilla ma accende un arcobaleno di luce che lega in un’alleanza eterna il cielo con la terra. Dopo quaranta giorni dalla sua nascita, troviamo Gesù con i suoi genitori nel tempio di Gerusalemme. Ogni papà alla nascita del figlio primogenito aveva l’obbligo religioso di riconsegnare, simbolicamente, a Dio il dono ricevuto della vita che rendeva perpetua la continuità del nucleo familiare.
All’alba di un nuovo anno, la liturgia ci introduce nello spazio della vita, guidandoci con la stella luminosa della Parola di Dio. La Parola all’inizio della messa del 1° gennaio apre il panorama del nostro futuro con il desiderio che Dio, il datore di ogni vita, ci possa benedire, custodire e che la luce gioiosa del suo volto possa illuminare il nostro cammino.
Inginocchiati davanti alla culla di Gesù nella sembianze di un bambino, con gli occhi illuminati dalla fede, intravediamo una carne umana abitata da Dio e scopriamo con gioia che la nostra carne è capace di ospitare Dio e avere la facoltà di respirare con il suo stesso respiro.
A Natale «il Dio invisibile si è reso visibile» nella fragilità della carne di un bambino. Come tutti i bambini, figli dell’umanità, anche Gesù ha avuto bisogno di sentirsi circondato di amore e assistito da mani operose che aiutassero questa visibilità divina a manifestarsi al mondo.