La splendida villa nel verde, a piazza di Novella a Roma, dove ha sede il “Centro Studi Investimenti Sociali” noto come Censis, dona quella pace che fa mantenere la calma a chi legge i continui dati sulla famiglia. Numeri che lasciano tanta amarezza se si pensa che il “sì” sull’altare è diventato il più eroico degl’impegni da mantenere. Proprio di famiglia, di ruoli famigliari e giovani voglio parlare con Giuseppe De Rita che non è solo l’autorevole Presidente del Censis, ma soprattutto un uomo di fede. Crede e fa credere chi lo ascolta, convince davvero che quello che dice lo pensa. Non lo incontri negli eventi politici romani, piuttosto a quelli religiosi. Cresciuto con i padri gesuiti, è padre di 8 figli e nonno di 14 nipoti. Dietro quella statura austera c’è una persona semplice che si interroga sulla vita, sui cambiamenti e si preoccupa di dare la propria testimonianza, sapendo che il momento non è dei migliori.
Il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, Giovanni XXIII indice il Concilio Ecumenico Vaticano II. Da dove ha egli attinto il coraggio per affrontare così “pacatamente”, ma decisamente tanto colossale impresa?
Egli ci apre “una finestra nel suo cuore” nella Lettera Apostolica “Le voci”, scritta il 19 marzo 1961, nella quale porge a san Giuseppe, “attraverso le voci e i documenti dei nostri immediati antecessori dell’ultimo secolo, da Pio XI a Pio XII, un serto di onore, in eco alle testimonianze di affettuosa venerazione, che ormai si sollevano da tutte le nazioni cattoliche e da tutte le regioni missionarie”.
Per gli operatori dei media passerà alla storia come “il comunicatore di Dio”, perché ha lasciato sicuramente un segno nel nostro tempo, con il suo stile ed il suo eloquio inconfondibili - tanto apprezzati da Indro Montanelli ed Enzo Biagi – che abbiamo ammirato sulla grande stampa nazionale, su “Avvenire” (lo considerava quasi una sua creatura) e nei talk-show della Rai.
Ma il cardinale Ersilio Tonini, morto qualche mese dopo il suo novantanovesimo compleanno (20 luglio), è stato anche un grande uomo di carità. Questo esile “pretino di campagna” dalla solida cultura e dalla formazione di stampo pacelliano acquisite in seminario e alla Lateranense, piacentino come molti diplomatici vaticani di gran stoffa (Casaroli in primis), nato da una modesta famiglia di contadini, fino all’ultimo ha speso tutte le sue energie per testimoniare con vigore il Vangelo della solidarietà.
In un contesto storico di positivismo culturale, quale era quello del secolo XIX, Giuseppe Toniolo indicava che anche l’impegno spirituale è un fattore di civiltà. Anzi, sosteneva, proprio perché radicata nel mistero dell’Incarnazione, la Chiesa opera all’interno dell’ordine sociale non come un organo periferico, ma come cuore.
Aveva la certezza che la storia va letta con un’ottica di tempi lunghi per scoprirvi il disegno della Provvidenza: ne era convinto anche don Guanella, quando ricordava la sua opera nata “col visibile aiuto della Provvidenza, che non verrà mai meno”.
Gli anni in cui vissero Toniolo (1845-1918) e don Guanella (1842-1915) quasi coincidono, ma essi non hanno lasciato testimonianze dirette di un loro incontro, anche se certamente a don Guanella, attento alle vicende anche sociali del suo tempo, non sarà sfuggita l’opera del sociologo ed economista, fervente cattolico e, come lui, fedelissimo al papa.
«Sin dall’inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza, non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita; così ha trovato Cristo, in Cristo, la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia». Così il cardinale Ratzinger ricordava don Luigi Giussani il 24 febbraio 2005, giorno del suo funerale nel duomo di Milano.
Non è semplice sintetizzare la vita di un uomo poliedrico, che è stato un genio dell’umano e della fede. Ma un filo conduttore si può rintracciare in quelle parole di Ratzinger: il cristianesimo come avvenimento di bellezza.
di p. Guglielmo Camera, postulatore
Il Beato Conforti nasce a Casalora di Ravadese (paese a pochi chilometri da Parma, diocesi di Parma) nel 1865. Viene ordinato presbitero nel 1888. Nominato Vice Rettore del Seminario ancora prima dell’ordinazione presbiterale, in quest'ufficio rimase per vari anni, dimostrando notevoli doti di educatore, ma soprattutto edificando gli alunni con l'esempio di una vita santa e con la persuasiva parola della fede.
Nel 1894, viene nominato Vicario Generale della Diocesi di Parma e nel 1895 fonda l’Istituto Saveriano per le Missioni Estere. Nel 1902, a 37 anni, per volontà del Papa Leone XIII viene nominato arcivescovo di Ravenna, allora sede cardinalizia, rinunciandovi due anni dopo per motivi di salute.
Nel 1907 viene nominato da Pio X Vescovo di Parma, che reggerà per 24 anni. Nel 1928, visita i suoi missionari in Cina e nel 1931, 5 Novembre, a 66 anni, muore santamente.
Cent’anni fa nasceva Enrico Medi, uno dei protagonisti della lunghissima diretta tv durante la quale raccontò e commentò lo sbarco sulla luna di Neil Armstrong. Più avanti, ricordando quella memorabile notte, Medi scrisse: «Ore 4.56, 21 luglio 1969 dell’era cristiana. Tentenna il piede dell’uomo poi si abbassa… poggia sul suolo lunare… ecco vi lascia un’impronta: la firma dell’uomo. L’uomo è sulla Luna» (E. Medi, “La Luna ci guarda“, Roma, 1970, p. 79).
Il fisico e divulgatore Franco Gàbici - prendendo spunto dal volume di A. Gliozzo, “Enrico Medi, scienziato e credente” - commenta queste parole sul sito di Disf.com: «Quello specificare l’appartenenza all'“era cristiana” dell’anno di quella straordinaria impresa non fu certo una semplice annotazione temporale, ma la dimostrazione della Weltanschauung cristiana di un uomo di scienza che di fronte a un evento epocale intendeva ricordare che quell’importante successo della tecnologia umana non doveva far dimenticare la mano del Creatore. D’accordo, era pur sempre l’uomo “che compiva un primo passo”, ma quel passo gli era stato consentito dalle “leggi della fisica che Dio gli ha permesso di usare”.
Abituati a vedere Don Guanella come l'uomo della carità, della comprensione e della pazienza, coloro che lo conobbero, spesso, si meravigliarono nel trovarsi, in certi casi, di fronte a una straordinaria fermezza. Evidentemente, trattandosi di decisioni che si sono rivelate poi giuste ed opportune, c'era in lui la capacità di decidere e di operare con la fermezza che deve avere un chirurgo quando separa ciò che è sano da ciò che è malato. In queste decisioni, come nel caso che qui è riferito, Don Guanella si assumeva la responsabilità.
Suor Vismara ricordava sovente un suo incontro decisivo con Don Guanella. Abitava ancora in famiglia ad Ardenno, in provincia di Sondrio, quando venne a sapere che Don Luigi era andato a far visita a suo fratello, Don Lorenzo Guanella. Ritenne che quella fosse una buona occasione per incontrarlo e prendere consiglio sulla sua vocazione e sull'opposizione che questa trovava da parte dei familiari. L'ostilità era forte se per ben sette anni, in seguito, la famiglia non volle perdonare a Suor Vismara la sua scelta.
Tra i buoni figli, ossia i poveri picchiatelli che Don Guanella prediligeva e amava particolarmente, ce n'era uno chiamato Bietola, alludendo alla sua goffaggine, al suo modo arruffato di parlare e di camminare, e alla sua assoluta mancanza di malizia.
Chi sa per quale ragione questo Bietola se la prendeva sempre con uno suo pari, di pelo rossiccio, che era logicamente chiamato Carota: erano nati per stare insieme, ma non potevano stare insieme senza litigare ogni tanto.
Un giorno, mentre Don Guanella riceveva alcune persone, ecco che si apre la porta e piomba nella direzione come un toro scatenato Bietola con i segni d'un'alterazione preoccupante. Senza badare alla presenza degli ospiti, Bietola si mette davanti a Don Guanella urlando:
— O via lui, o via io! O via lui, o via io!
Alludeva naturalmente al suo amico Carota col quale ce l'aveva chi lo sa perché.
Suor Chiara si presenta come una santa di ieri, ma per una santità di oggi. è la sconcertante validità che sigilla la causa di beatificazione. La rileggiamo.
“Questa umile figlia della Chiesa, dedicandosi al compimento delle consuete azioni della vita quotidiana, ha raggiunto virtù altissime. La stessa può indicare a tutti i fedeli che come lei peregrinano, attraverso le difficoltà e le lotte della vita, quale sia la via da intraprendere per poter più facilmente e più sicuramente giungere alla mèta. Ancor più siamo presi da grande ammirazione e ci sentiamo confortati, perché a tutti è dato di vedere una grande perfezione ed abbondanza di meriti, attraverso il compimento delle semplici azioni di ogni giorno, fatte per amore di Dio. E’ ciò che decretiamo e vogliamo sia valido ora e per il tempo futuro.”
E ancora, il beato Giovanni Paolo II dichiarava nell’omelia: “L’attualità del messaggio di questa Beata sta nel fatto che ha compiuto con amore le semplici azioni di ogni giorno, stando in continua sintonia con Dio e santificando così il quotidiano. Nella sua vita non ci sono stati fenomeni o gesti straordinari; straordinario, invece è stato il suo modo di porsi in relazione con Dio, lasciando spazio a Lui in tutto il suo essere. La beata dice che la santità è possibile, è accessibile a tutti, purchè si resti fedeli a Dio e fedeli all’uomo” (Roma, 21-04-1991).
Queste espressioni risuonate 20 anni fa nel giorno radioso della beatificazione di suor Chiara ci raggiungono, dunque, ancora oggi, con forza propositiva e suscitano interrogativi esistenziali: qual è il segreto di suor Chiara?
Suor Chiara e don Luigi Guanella… il padre spirituale e la figlia: come hanno vissuto questo rapporto profondo?
E noi, oggi, di fronte a suor Chiara?
Tentiamo una risposta al primo interrogativo.