Dalla Sicilia alla Puglia la festa di San Giuseppe è una semplice raccolta di santini e immagini sacre riferite al santo di Nazareth? è il peregrinare faticoso per paesi e città alla ricerca del misto sacro-profano? è l’esercizio retorico culturale per ricostruire feticismi e misticismi profani e popolari? No. è la saggezza mirata a rivalutare un culto che è di popolo, che è di piazza, che è di fede, che è cultura, storia e arte, senza confusioni. è un capolavoro di immagini e di testi, freschi di stampa, uscito in questi giorni, e concepito da chi ne è stata la curatrice, la dottoressa Vincenza Musardo Talò, per volere di una giovane casa editrice pugliese, la Talmus Art .
Il venerabile Giuseppe Quadrio
Chissà se le femministe nostrane sottoscriverebbero l’asserto che “l’amore della donna determina sempre il modo di amare dell’uomo”. A formularlo è stato un sacerdote salesiano, morto poco più che quarantenne in concetto di santità, nella metà del secolo scorso, don Giuseppe Quadrio. Lo aveva capito fin da fanciullo quando, a soli dieci anni, si era affidato a quella che sarebbe stata l’unica donna della sua vita, la Madonna, emettendo nelle sue mani il voto di verginità perpetua.
In un mondo orfano di padri, sembra opportuno ritrovare nell’esperienza di San Giuseppe il suo ruolo di padre accanto a Gesù. Giovanni Paolo II nella sua Esortazione apostolica sul «Custode del redentore» scriveva: «Giuseppe è padre: non è la sua paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è “apparente”, o soltanto “sostitutiva”, ma possiede in pieno l’autenticità della paternità umana, della missione paterna della famiglia».
Paolo VI nel suo pellegrinaggio in Terra Santa, proprio a Nazareth, indicava la Santa Famiglia come «scuola», com palestra dove si impara, in pienezza, il mestiere di vivere la vita cristiana: scuola di santità, scuola di preghiera, scuola di serenità nelle relazioni, scuola di reciproche obbedienze e di eloquente silenzio.
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San Giuseppe certo avrà sorriso, discreto e silenzioso, nel suo stile, nel vedere così tanti fedeli accorrere per festeggiarlo nel giorno intitolato a suo nome, il 19 marzo, alla Basilica di San Giuseppe al Trionfale, a Roma. Il clima era caldo, nel quartiere. Non per la temperatura di primavera, ma per l’intensità dell’emozione che sprigionava la moltitudine di gente venuta da ogni parte della città e anche dalla provincia per salutare il Papà.
Quest’anno, poi – ha detto il cardinale Severino Poletto, titolare della Basilica, nell’omelia della Messa solenne che ha celebrato con padre Alfonso Crippa, superiore generale della Congregazione dei Servi della Carità - Opera Don Guanella, e con padre Wladimiro Bogoni, il parroco – «due motivi in più rendono particolarmente straordinaria la solennità di San Giuseppe per essere convocati a venerare il Patrono della Chiesa universale: il Centenario della benedizione di questa grandiosa Basilica e la recente canonizzazione di Don Luigi Guanella», il 23 ottobre 2011. Papa Pio X affida la nuova chiesa di San Giuseppe al Trionfale alla congregazione di don Guanella. Al tempo in cui sorse, cento anni fa, nel quartiere – ha ricordato il porporato – «abitava una baraccopoli, con una moltitudine di povera gente». Il Papa Santo affidò questa comunità e la parrocchia al “padre dei poveri”, don Guanella, affinché potesse nascere «una consistente comunità cristiana». A cento anni dalla nascita, ha continuato il card. Poletto, «ammiro i frutti del lavoro dei Guanelliani, dell’azione spirituale e pastorale generosa dei figli e delle figlie di don Guanella».
Il Vangelo di Matteo racconta dell’invito dell’angelo a Giuseppe ad accogliere con sé Maria incinta per opera dello Spirito Santo, il card. Poletto ha ricordato che le Scritture non portano molte informazioni su S. Giuseppe, che «ha svolto il compito affidatogli da Dio in silenzio». Ma, quanto Matteo e Luca ci dicono di questo «giusto», il «custode del Redentore», è sufficiente ad «ammirare la grandezza spirituale del nostro Santo, la caratteristica della sua santità: la silenziosa obbedienza a Dio.
E poi, la tenerezza amorosa, generosa e fedele, con cui ha sempre accompagnato la sua sposa, Maria, assumendo il compito di fare da padre al Verbo incarnato, dai primi attimi di vita terrena all’età adulta». Non è una figura di secondo piano nella Sacra Famiglia, Giuseppe. «Il suo servizio di papà si è svolto nel lavoro quotidiano, di artigiano, con fatica e senso di responsabilità, per mantenere la famiglia, per educare Gesù». E, come mostra l’affresco che campeggia nella Basilica, la sua santità vissuta nel silenzio ha ricevuto il sigillo straordinario del conforto di Maria e di Gesù al momento del transito. «Dobbiamo imitare la fede di Giuseppe, seppure con la nostra povertà», ha detto il cardinale all’assemblea traboccante di fedeli accalcati nella Basilica. «Se Gesù venisse sulla terra oggi, quale fede troverebbe? La fede è testimonianza di carità, di speranza, di servizio. S. Giuseppe ci da un aiuto. Invochiamo la protezione del Santo Patrono, sulle nostre famiglie, la nostra parrocchia e la nostra società civile, affinché riesca a superare questa fase di crisi e possa tornare a vivere con speranza e serenità, frutto della fiducia in Dio che ha sempre guidato la vita di San Giuseppe».
Nelle prime file, in chiesa come durante la processione, c’erano i “Luigini”, i piccoli alunni della Scuola di S. Giuseppe al Trionfale, con gli abiti da paggetti, secondo una tradizione antica ripristinata in questa duplice occasione del Centenario della Basilica e della canonizzazione di don Guanella.
Per la ricorrenza, per accompagnare la liturgia e allietare con un concerto i fedeli, da Milano è giunta l’orchestra e il coro “Ludwig van Beethoven”, ventiquattro elementi diretti dai maestri Adriano Bassi e Achille Nava.
I festeggiamenti, iniziati una settimana prima del Giorno di San Giuseppe, con un convegno dedicato alla “Spiritualità del lavoro” che ha registrato la partecipazione di eminenti personalità della gerarchia ecclesiastica e della società civile, quali i cardinali Salvatore De Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo, Manuel Monteiro De Castro, penitenziere pontificio maggiore, Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Saraiva Martin Josè, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi.
Sono intervenuti anche padre Alfonso Crippa, superiore generale Opera don Guanella, don Nino Minetti, superiore provinciale dell’Opera don Guanella e don Mario Carrera, direttore de “La Santa Crociata in onore di San Giuseppe”. In rappresentanza del mondo del lavoro, il segretario generale Uil Luigi Angeletti e il segretario nazionale Cisl Raffaele Bonanni.
La “triplice” festa per San Giuseppe si è conclusa nel cortile dell’Oratorio, con una gioiosa convivialità, allietata di musica e danza e delle irrinunciabili frittelle di San Giuseppe, i bignè e le ciambelle.
In questi giorni la Conferenza episcopale italiana, attraverso la voce del card. Bagnasco, ha lanciato l’allarme di non tradire i giovani in un momento così drammatico di sofferenza e di disagio per il futuro.
E’ stato scritto che in questi ultimi anni viviamo «in un mondo senza padri, senza punti di riferimento, dove si cerca l’adulto e spesso non lo si trova o subito lo si perde». La Chiesa, «esperta in umanità», dona la sua saggezza e come un rabdomante s’immerge nella profondità dell’essere umano a scoprire riserve di bontà e di amore.
Il silenzio di San Giuseppe si fa «lingua madre» per aiutare le giovani generazioni ad affrontare un futuro difficile con la fiducia nella volontà di Dio che, comunque, scommette sul bene presente nella vita di ogni persona ed in particolare sui giovani.
Questo enorme patrimonio di fede dimora, silenzioso, nel cuore di tante persone, e si manifesta con entusiasmo nelle celebrazioni esteriori della fede. E’ quello che avviene in tante parti del mondo, come in questi giorni in Messico e a Cuba e in tante contrade d’Italia come ogni anno si ripete in occasione della festa di San Giuseppe al Quartiere Trionfale di Roma.
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Il rosario è stato chiamato "il libro dei salmi" dei poveri. Percorrendo nella preghiera le tappe della misericordia di Dio, per noi creature umane, che sostiamo davanti ai grandi misteri della salvezza, troviamo protagonisti: la Vergine Maria, San Giuseppe e, soprattutto, Gesù, la meta desiderata della nostra salvezza.
In questo rosario in onore di San Giuseppe, sul modello del rosario della Vergine Maria, vogliamo contemplare come in un canto corale la presenza di Giuseppe e affidarci all sua intercessione.
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L’Accademia Musicale del Lazio, con il sostegno della Regione Lazio ha preparato un significativo evento artistico, costituito da due concerti monografici per organo, dedicati al celebre compositore romano Filippo Capocci (1840-1911) - in occasione del centenario della sua morte - tenuti presso la Basilica romana di San Giuseppe al Trionfale. Il ciclo si è aperto domenica 6 novembre 2011 alle ore 16.45 con il Professor Jiri Lecian (docente di organo a Santa Cecilia), seguito la domenica successiva, il 13 alla stessa ora, dal M° Roberto Dioletta (direttore dell’Accademia Musicale del Lazio).
Entrambi i concerti sono stati presentati dalla Musicologa Orchidea Salvati (docente di Storia della Musica a Santa Cecilia) che ha introdotto tutti i brani in esecuzione, seguendo un percorso monografico rappresentativo e ragionato. è un piccolo e meritatissimo tributo che l’Accademia e tutta la Comunità di San Giuseppe presieduta del Parroco don Wladimiro Bogoni, hanno offerto al proprio pubblico, in omaggio al più importante organista romano ed italiano dell’ottocento. In effetti Filippo Capocci appena sopraggiunta la sua morte avvenuta a Roma nel 1911, venne inspiegabilmente dimenticato. Oggi possiamo dire con certezza che è stato una fondamentale figura della musica organistica italiana, e purtroppo non occupa ancora il posto che gli spetta nella considerazione della critica musicale. Eppure vi è una accertata importanza storica ed oggettiva della sua creatività: compone brani proiettati al futuro per un organo che ancora non esiste nell’arte organaria italiana del tempo. Prima di lui il deserto con organi ed organisti che suonavano l’opera ed il teatro. Rincorre il progresso organario ed organistico e assimilando le esperienze d’oltralpe, si prodiga affinché i maestri organari nostrani, aderiscano ai nuovi dettami costruttivi. La sua permanenza negli ambienti francesi, gli consentono di ipotizzare nei progetti organari, la fusione dell’arte organaria italiana con quella futuribile franco-tedesca. Frutto di questa sua idea è la creazione di tre magnifici strumenti a Roma: l’organo “Merklin” a San Luigi dei Francesi (1881) e i due “Morettini” a San Giovanni in Laterano (1886). Le sue, sono composizioni possenti, sinfoniche, grandiose, del tutto nuove in Italia e sconcertano l’uditorio. Ma dal suo solco si dipana la direzione nella quale si deve muovere la successiva creatività organistica. Una curiosità: Filippo Capocci fu insegnante privato della Regina Margherita. La Regina infatti era una appassionata dell’organo ed oltre a suonarlo discretamente, si interessava alla vita musicale della Capitale. Fondò il “Quintetto d’archi di Roma” e una volta alla settimana radunava attorno a sé al Quirinale, il meglio della cultura italiana ed europea di passaggio nella Capitale.
Roma è abituata a vip e personalità istituzionali, Capi di Stato e politici famosi, tanto che la gente non presta nemmeno più attenzione a chi sfila velocemente per strada con le auto blu a sirene spiegate con poliziotti e carabinieri al seguito. Tutto normale, eppure il 19 marzo scorso, nel quartiere Trionfale, la gente si è fermata e per alcune ore per giunta, per ossequiare un passaggio illustre, quello di un uomo poco terreno e tanto divino nella fede: san Giuseppe. Accompagnato eccezionalmente quest’anno dalla banda musicale della Città del Vaticano, il santo è riuscito a mobilitare e coinvolgere tante persone, circa tremila al seguito della processione, un altro migliaio ha preferito seguire invece con lo sguardo l’uscita della statua nelle strade, da via Bernardino Telesio a via della Giuliana, Andrea Doria, piazzale degli Eroi e ritorno in Basilica, dando le spalle all’edificio ed il volto rivolto alla folla acclamante. In quei pochi minuti, che precedevano la posa sul piedistallo di sempre, il discendente della casa di Giacobbe è sembrato benedire le anime presenti.
Desidero proporre delle riflessioni di carattere etico generale circa il problema, o meglio l’esperienza del dolore. Cosa significa qui “etica”? In estrema semplificazione la possiamo intendere così: la riflessione sul comportamento umano per valutarlo in confronto ai valori (cosa è bene e cosa è male) e per orientarlo a forme migliori.
Nel linguaggio comune usiamo con una certa indeterminazione i termini dolore e sofferenza. Quando ad es. un paziente tenta di spiegare al medico i sintomi che lo affliggono, può dire: “Sento un forte dolore al ginocchio”, oppure: “Questa artrosi mi fa soffrire terribilmente”. Non voglio qui entrare in distinzioni concettuali troppo raffinate, più proprie del pensiero filosofico o della psicologia. Dolore e sofferenza non sono uguali. Entrambi appartengono all’esperienza del patire, ma sono di diversa natura. Spesso vanno insieme, ma possono essere distinti. Si può soffrire senza provare dolore: es. per un’ingiustizia subita, per un tradimento, per il male morale proprio o degli altri. O si può provare una forma di dolore che non causa sofferenza: es. un atleta nello sforzo della prestazione fisica, un dolore sopportato per raggiungere un bene superiore.
L’aveva intitolato «Nel mese del fervore» e, in quel volumetto, dedicato al Sacro Cuore, don Guanella gli aveva riversato tutta la sua devozione e il suo affetto, voleva far conoscere a tutti che in quel «cuore» è presente un abisso di misericordia.
All’inizio di questo mese di giugno, velato dalla nebbia dell’indifferenza religiosa, bagnato dalle lacrime della guerra e dalla difficoltà dell’immigrazione, vorrei invitare a far nostra una preghiera, un po’ paradossale, scritta nel diario di una giovane, che s’impegnava ad «aiutare Dio», affinché il suo nome non scomparisse dai nostri cuori: «L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi è un piccolo pezzo di Te, o Dio, dentro di noi e forse possiamo contribuire a disseppellirti dal cuore devastato di tanti uomini».