Conta centinaia di milioni di devoti al mondo. Sono milioni i bambini e le bambine che portano
il suo nome. È ben presente nel Vangelo,
nel presepio e nelle chiese, ma la sua vicenda umana e la sua rilevanza nella storia della salvezza sono poco conosciute.
Stiamo parlando di San Giuseppe, sposo di Maria e padre adottivo di Gesù. Riportiamo alcuni passaggi di un’intervista realizzata da Zenit
al professore don Salvatore Vitiello, coordinatore del Master in architettura, arti sacre
e liturgia dell’Università Europea di Roma
e del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum
Ernesto Olivero ed il Sermig sono una sola cosa. L’opera da lui “pensata” nel 1964 resta tra le più grandi intuizioni profetiche ad oggi realizzate da un laico, che è sposato, padre di tre figli e conta sette nipoti. E’ nato nel 1940 a Mercato San Severino in provincia di Salerno. Dopo avere lavorato in varie industrie del torinese e poi in banca, nel 1991 rassegna le dimissioni. Nel 1964 fonda a Torino il Sermig, Servizio Missionario Giovani, insieme alla moglie Maria e ad un gruppo di giovani. Nel 1983 viene assegnato al Sermig in comodato dal Comune di Torino l’ex Arsenale Militare di Piazza Borgo Dora. Olivero, incoraggiato da Giorgio La Pira, sente che questo sarà il primo grande passo di una profezia di pace. Ne inizia la trasformazione con l’aiuto gratuito di migliaia di giovani, di volontari, di uomini e donne di buona volontà da ogni parte d’Italia. L’11 aprile 1984 è il Presidente della Repubblica Sandro Pertini ad inaugurare l’Arsenale della Pace.
Quando Qualcuno, Lui… il Signore, ha comunicato se stesso e io, noi lo abbiamo ascoltato, è necessario e… educato rispondere. La comunità si alza in piedi per gridare con il cuore: Tu ci hai rivelato la strada della vita e noi ci fidiamo di Te, perché Tu sei l’Amore che non tradisce per tutte le generazioni. “Credo” è il grido ripetuto varie volte in questo simbolo che è davvero il… manifesto dei credenti della Chiesa Cattolica Romana. Una sintesi meravigliosa della fede che si è formata nei secoli attraverso il cuore ecclesiale e il soffio dello Spirito Santo che mai è mancato come sorgente di verità. Per l’Assemblea della Santa Messa sembra quasi una nenia a memoria mentre invece possiede una energia sempre rigenerante della fede.
I giovani ammirano chi sa loro rispondere
alle provocazioni tipiche della loro età
e ritengono queste persone come riferimenti importanti con i quali relazionarsi
“Uffa mamma, basta con le prediche! Ma perché sempre le stesse cose? Ma non potresti inventarti qualcosa di nuovo?”. E in chiesa, guardando l’orologio: “Uffa, ma quando la smette questo prete? Sono già dieci minuti e poi… sempre le stesse cose! Ma quando dirà qualcosa di interessante?… oh!... adesso parla anche di politica… ma che parli del Vangelo e di Gesù Cristo…!”.
Comprendere il momento della Liturgia della Parola significa immergersi nel dialogo dell’Amore, perché non può essere un monologo. La comunicazione solitaria è da palcoscenico di teatro. Qui, il luogo è la comunità ecclesiale che attende la voce del suo Signore per bere alla Sorgente l’acqua limpida e mai inquinata della verità assoluta che rivela solo Amore. Sono i minuti dedicati all’incontro cuore a cuore con il Dio innamorato che si toglie tutti i veli e si fa conoscere alle sue creature.
E se la Celebrazione eucaristica è la fonte e il culmine della vita della Chiesa (Lumen Gentium), è proprio qui, con la Parola, che avviene la prima fondamentale comunicazione tra Dio e l’uomo. è il Signore che prende l’iniziativa perché, da una… eternità, sente il grido dell’uomo, ascolta i suoi perché, conosce i segreti intrighi della storia e delle storie e vuole rispondere per aprire gli orizzonti della speranza che l’uomo, da solo, non riesce a trovare. Ecco perché, nello srotolarsi della storia, Dio ha suscitato degli uomini che hanno letto con il cuore di Dio gli avvenimenti e li hanno scritti, nel suo santo nome, per dare le… “dritte” giuste, “le chiavi divine” di lettura della vita umana, personale e storica. Così il Signore Onnipotente ha scritto la sua lettera d’amore senza fine ai suoi figli che non dovrebbero mai stancarsi di leggerla.
La Celebrazione Eucaristica è la massima preghiera che la comunità cristiana può offrire al Padre per mezzo di Gesù e con l’opera dello Spirito Santo. Ci sono due momenti, durante la Santa Messa, nei quali il sacerdote dice esplicitamente la parola preghiamo: dopo il Gloria e dopo la Comunione. Nella Liturgia originaria questo preghiamo è chiamato Colletta, parola che significa, dal latino, “fare una raccolta”.Noi la usiamo, nel linguaggio comune per indicare una raccolta di denaro per qualche necessità particolare. Qui sta ad indicare che il celebrante, in quel momento, raccoglie la preghiera di ciascuno e di tutti nella comunità, e, a nome di tutti, offre questo… Mazzo di preghiere”, come fiori, al Padre. è quindi una preghiera importantissima perché è tutta la comunità che viene rappresentata dal sacerdote e si presenta unita davanti al suo Signore. è una preghiera grande che conclude con il testo, a volte troppo scontato per le nostre orecchie, ma profondissimo: accogli la nostra invocazione per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. E allora la preghiera diventa forte e irresistibile sul cuore del Padre perché detta a Lui, raccomandata da Colui che è il nostro Signore (perché ha dato la vita per noi e si fa nostro garante!).
Sull’umile grotta-casa di Bethlehem scende, nella Santa Notte, il canto divino del Coro e dell’Orchestra celeste: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini”. Rimbalzato per secoli, nelle orecchie e nei cuori, questo breve inno accende sempre, davanti agli occhi, l’immagine viva dell’uomo-Dio diventato carne e tenerezza toccabile.
è diventato un inno eucaristico perché, anche nel pane e nel vino, si tocca e si abbraccia Cristo in ogni istante della storia, fino alla fine del tempo, con infinito amore. In questo momento della celebrazione, soprattutto nella domenica e nelle feste, è il canto del “Grazie a Te, Signore, che, dall’alto dei cieli, compi meraviglie di pace totale, cioè di salvezza, in mezzo a tutti gli uomini”. è anche la preghiera più bella e più giusta, ma forse anche un po’ dimenticata da parte di noi figli nei riguardi della Trinità, dal cui amore infinito tutto e tutti noi proveniamo. Gesù disse grazie al lebbroso che lo ringraziava, perché vi leggeva un frammento di riconoscenza dei dieci lebbrosi guariti.
«Per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati». Lo tradurrei così: “Per vivere con dignità e gioia la vita coniugale e la vita di famiglia, riconosciamo i nostri sbagli quotidiani e i nostri errori di vita”. Veramente questo momento della celebrazione eucaristica è dirompente: non è sbagliato chi sbaglia, ma chi non riconosce i propri errori e fragilità. Come Adamo ed Eva ci andiamo a nascondere e ci copriamo con una foglia di fico che lascia scoperto quasi tutto. Significa che cerchiamo di coprire con bugie e scuse i nostri sbagli, che poi, molte volte alla fine, vengono scoperti. Bisogna conoscere la bellezza e il valore del riconoscere i propri peccati: “Se tu ti accusi Dio ti scusa, se tu ti scusi Dio ti accusa”, dice S. Francesco d’Assisi. Così ci invita a fare il Sacerdote in un breve momento di silenzio: almeno a ripercorrere con sincerità l’ultimo periodo di vita e metterlo davanti al sole di Dio con estrema verità, per avere il suo abbraccio di perdono che, se siamo sinceramente pentiti, avviene dal cielo in un attimo purificatore e rigenerante. In famiglia sono infiniti, molti più che nella S. Messa, i momenti nei quali bisogna riconoscere i propri errori. “Chi non vuole perdonare è meglio che non si sposi e non metta al mondo dei figli”, mi diceva una mamma matura.
E' nel mio sogno per chi con cordiale interesse ha partecipato alla canonizzazione di don Guanella, quest’anno nel firmamento della notte di Natale che trovi accesa una nuova stella. Accanto alla cometa per il viaggio dei Magi è apparsa la stella della carità che traccia il sentiero per ritrovare Gesù nel volto dei poveri. Don Guanella è nato a Fraciscio il 19 dicembre, sette giorni prima di Natale. Era una notte carica di neve e, in quel candore di gelo pungente, Dio ha acceso un nuovo fuoco per riscaldare il cuore del mondo. In quella notte, nella cornice dei monti, nel silenzio più profondo, un’altra mamma, di nome Maria, ha donato un batuffolo di carne come un concentrato di energia vitale per riempire di amore la solitudine di tanti cuori.A Betlemme il silenzio fu rotto dal canto di uno stuolo di angeli che lodavano l’Eterno Padre dicendo: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama». Betlemme, «la casa del pane» diventa la madia della speranza dei poveri.
Recita un proverbio orientale: «Chi si mette in mostra da sé non verrà mai in luce; chi si approva da sé non verrà mai considerato; chi si vanta da sé non avrà mai valore e chi si gloria da sé non sarà glorificato». Don Guanella lo sapeva e per tutta la sua vita ha ripetuto: «è Dio che fa», io sono come argilla nelle mani dell’artista, sono i colori spalmati su una tavolozza, solo Dio è l’artista che compie opere meravigliose. La canonizzazione di don Guanella è un inno all’umiltà: la parola umiltà deriva da humus – terra e la terra è diventata il palcoscenico del passaggio di luce di don Guanella accanto alle persone bisognose.
Don Luigi è vissuto lontano dalle ribalte degli uomini, nel silenzio ha onorato i poveri, per questo il coro dei poveri il 23 ottobre 2011, attraverso la voce del Papa, gli ha reso gli onori, chiamandolo «padre dei feriti nella vita». Il rito della canonizzazione contempla che il postulatore ringrazi il Santo Padre per il dono alla Chiesa universale del nuovo santo; in quella circostanza salendo i gradini del sagrato di Piazza San Pietro, sentivo sulle spalle il peso delle mille povertà, ma anche il vento della gratitudine che spingeva i miei passi verso il successore di Pietro. Le prime parole furono di ringraziamento: «Santità, in nome dei poveri, Le porto la gioia e la gratitudine degli umili per aver glorificato un profeta della carità, un amico dei poveri e un modello di santità». Il Santo Padre con un sorriso di compiacenza mi ha ripetuto: «Voi fate tanto bene, voi fate tanto bene; continuate a servire i poveri con amore».
Il 23 ottobre si è coronato un sogno di tutti i discepoli di don Guanella e, attraverso il magistero solenne del Papa, è stato presentato alla Chiesa universale un nuovo campione della fede, un modello di amore per il prossimo, un uomo carico di speranza, come pure grande intercessore per il popolo di Dio pellegrinante nei sentieri del disagio fisico e morale. I miei superiori da oltre vent’anni mi avevano assegnato il compito di postulatore delle cause dei santi della famiglia guanelliana. Il mio ruolo di postulatore è consistito nel raccogliere l’eredità dei miei predecessori che avevano portato alla beatificazione sia di don Guanella come di suor Chiara Bosatta. In questo campo hanno lavorato con assiduità e competenza don Carlo De Ambroggi; alla sua morte gli è subentrato don Ezio Cova, che ha saputo unire il ruolo di postulatore a quello di indimenticato e stimato direttore della Pia Unione del Transito di San Giuseppe.
In questi vent’anni, due sono stati i percorsi di lavoro che mi hanno impegnato: la causa di mons. Aurelio Bacciarini e, dall’inizio del nuovo millennio, il miracolo attribuito a don Guanella, verificatosi negli USA.
La causa di mons. Bacciarini ha richiesto parecchio lavoro. Dopo la morte di don Carlo De Ambroggi, la causa era rimasta ferma senza risposte ad alcune domande che il Promotore della fede aveva presentato alla postulazione. Risposto in modo positivo a tutte le obiezioni della Congregazione dei santi, un presunto miracolo, attribuito all’intercessore di mons. Bacciarini, ha fatto aprire un processo presso la curia diocesana di Lugano. Il processo ha avuto un iter completo e approvato anche dalla Congregazione dei santi, ma alla consulta dei medici, la guarigione, pur straordinaria, sulla scorta della letteratura medica era scientificamente spiegabile sia per le cure prestate come per le medicine somministrate.
In modo parallelo è proseguito pure all’esame delle virtù eroiche di mons. Aurelio Bacciarini con risultato positivo. Il Santo Padre, Benedetto XVI, ha firmato il decreto di eroicità delle virtù di Bacciarini, proclamando la sua venerabilità.
Siamo famiglia di santi, a noi è affidato l’energia di un carisma necessario al nostro prossimo, affinché avverta la carezza di Dio negli affanni della vita, ma soprattutto perché si faccia testimonianza viva di una presenza divina che supera le energie umane. La testimonianza di carità è una pagina viva di vangelo che anche gli analfabeti sanno leggere e, ogni giorno, a noi compete chiedere a Dio la forza di continuare a scrivere queste pagine di solidarietà che hanno reso grande don Guanella.