Carissimi fratelli e sorelle!
All’indomani della Canonizzazione di Don Luigi Guanella, ci ritroviamo con gioia nella Basilica di San Pietro per elevare a Dio il nostro rendimento di grazie. In questa Eucaristia noi prolunghiamo la lode di ieri e anticipiamo quella delle generazioni che verranno, e che troveranno nel calendario liturgico della Chiesa, alla data odierna, il nome di San Luigi Guanella. Saluto con affetto i membri degli Istituti fondati dal nuovo Santo: le Figlie di Santa Maria della Provvidenza, i Servi della Carità e i Cooperatori Guanelliani. Saluto con riconoscenza le Autorità civili presenti e tutti voi, cari fedeli![…]
Davvero intense e indimenticabili sono le ore che sta vivendo la Famiglia guanelliana sparsa nel mondo, in oltre 20 nazioni, all’interno del gaudio che è di tutta la Chiesa, sulla terra e nel Cielo. Per la seconda volta, nella sua storia millenaria, la Basilica Vaticana ha sentito risuonare solennemente il nome di Luigi Guanella, presentando al nostro sguardo l’avventura singolare che ha condotto un semplice montanaro alla gloria di Dio. Così si intitola uno dei libri da lui scritti: Il montanaro. Con pagine di sapore autobiografico, egli vi traccia la linea di tutta la sua vita, il filo rosso della sua vocazione sacerdotale, fino a sentirlo esclamare: «Sono felice con Dio». Un’inondazione aveva colpito la Valtellina ed egli, rimasto sconvolto per le condizioni di necessità e precarietà cui dovette far fronte la sua gente, voleva porgere conforto e fare in modo che non se ne perdesse la memoria. E così fu sempre: interiormente interpellato dal dolore altrui, che si trattasse del colera a Napoli, o della guerra, del terremoto di Messina o di Avezzano, del vecchio abbandonato e del disabile, dei fanciulli orfani o di gente povera defraudata dei propri diritti, dei preti ammalati o con una storia triste… Ogni situazione diventa per don Luigi momento buono per aiutare il fratello a ritrovare nella fragilità della natura umana la tenerezza di Dio che «osserva l'uomo con sospiri di amore […] e se ne prende cura come se non avesse che a provvedere a lui solo». Ogni persona umana può dire: io sono «l'unico pensiero» di Dio. Verità che consola ogni cuore e principio vitale che ha ispirato a San Luigi Guanella il ministero dolcissimo della carità e ogni sua e nostra opera di bene. […]
La passione di San Luigi Guanella era quella per il “mezzo passo in più”, per il piccolo miglioramento, per il lento aprirsi dei poveri alla fiducia e alla speranza: il suo popolo non era certo di quelli che potessero procurare molta gloria a chi se ne prendeva cura. Né spesso egli poteva aspettarsi grandi miglioramenti: poco, a volte pochissimo poteva sperare da certe vite ormai in declino; ma egli sapeva che la vita al tramonto ha dei colori di una bellezza rara come l’autunno spesso è la più colorata delle stagioni, o il sole che «sul tramonto è più bello», come amava dire. San Luigi sapeva rinunciare al suo piatto quando qualcuno era senza cibo, o al suo letto quando qualcuno non sapeva dove coricarsi; e questo ha lasciato in eredità a tutti voi, suoi figli e figlie di ieri, di oggi e di domani. Chiaro il suo testamento: non fate torto alla carità e alla provvidenza «non mettete all'ultimo posto di casa chi deve stare al primo, il più povero, la persona più abbietta e abbandonata». Quindi un forte richiamo all'impegno affinché nessuno sia lasciato indietro nella vita.
Mentre guardiamo a questo cielo che tutti i santi hanno trapiantato sulla terra, il mio pensiero, in quanto salesiano, va al legame «duraturo nel tempo» di amicizia e d'intesa profonda tra don Guanella e don Bosco, «l'uno accanto all'altro», in molti così li hanno da sempre pensati. E i salesiani si uniscono alla voce di chi nel momento della morte di don Guanella scrisse: «il nome di questo uomo[…] passa glorioso alla storia come quello di un nuovo apostolo della carità, e noi ci dichiariamo orgogliosi di averlo avuto nell'elenco dei nostri confratelli».
Insieme alla famiglia guanelliana radunata dai quattro continenti vogliamo pregarlo:
San Luigi Guanella, servo di coloro che spesso sono dimenticati e lasciati indietro nella vita, ricordaci che servire è una grazia, e indicaci sempre il Sacramento della Carità, dove Dio si fa vicino perché anche noi ci facciamo prossimi ai fratelli, nella gioia. Aiutaci a «vivere di fede come Maria» e ottienici di celebrare e testimoniare con il cuore e le opere una fede viva e sincera nel Signore Gesù. Amen!
La testimonianza umana e spirituale di san Luigi Guanella è per tutta la Chiesa un particolare dono di grazia. Durante la sua esistenza terrena egli ha vissuto con coraggio e determinazione il Vangelo della Carità, il “grande comandamento” che anche oggi la Parola di Dio ci ha richiamato. Grazie alla profonda e continua unione con Cristo, nella contemplazione del suo amore, Don Guanella, guidato dalla Provvidenza divina, è diventato compagno e maestro, conforto e sollievo dei più poveri e dei più deboli. L’amore di Dio animava in lui il desiderio del bene per le persone che gli erano affidate, nella concretezza del vivere quotidiano. Premurosa attenzione poneva al cammino di ognuno, rispettandone i tempi di crescita e coltivando nel cuore la speranza che ogni essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio, gustando la gioia di essere amato da Lui - Padre di tutti -, può trarre e donare agli altri il meglio di sé. Vogliamo oggi lodare e ringraziare il Signore perché in san Luigi Guanella ci ha dato un profeta e un apostolo della carità. Nella sua testimonianza, così carica di umanità e di attenzione agli ultimi, riconosciamo un segno luminoso della presenza e dell’azione benefica di Dio: il Dio - come è risuonato nella prima Lettura - che difende il forestiero, la vedova, l’orfano, il povero che deve dare a pegno il proprio mantello, la sola coperta che ha per coprirsi di notte (cfr Es 22,20-26). Questo nuovo Santo della carità sia per tutti, in particolare per i membri delle Congregazioni da lui fondate, modello di profonda e feconda sintesi tra contemplazione e azione, così come egli stesso l’ha vissuta e messa in atto. Tutta la sua vicenda umana e spirituale la possiamo sintetizzare nelle ultime parole che pronunciò sul letto di morte: “in caritate Christi”. è l’amore di Cristo che illumina la vita di ogni uomo, rivelando come nel dono di sé all’altro non si perde nulla, ma si realizza pienamente la nostra vera felicità. San Luigi Guanella ci ottenga di crescere nell’amicizia con il Signore per essere nel nostro tempo portatori della pienezza dell’amore di Dio, per promuovere la vita in ogni sua manifestazione e condizione, e far sì che la società umana diventi sempre più la famiglia dei figli di Dio.
Quando Mosè alzava le mani a Dio, Israele diventava più forte…», dice il libro dell’Esodo e il popolo dei pellegrini alla ricerca del volto di Cristo riflesso nel volto luminoso di don Guanella, hanno alzato le mani verso Dio e il popolo di Dio presente in Roma per la canonizzazione e quello sparso nel mondo è diventato più forte per la «Veglia di preghiera» che il popolo guanelliano ha vissuto nella stupenda e solenne basilica di San Paolo fuori le mura.
Nel pomeriggio di sabato 22 ottobre la piazza di San Paolo si è illuminata di quasi quattromila berretti bianchi e di sciarpe gialle con l’effige di don Guanella e alle ore 16.30 «gente di ogni lingua e da ogni tribù» ha iniziato una preghiera corale per disporre gli animi a ricevere i doni della grazia divina nella grande e solenne cerimonia della glorificazione del giorno seguente. Attorno alla veglia è stata costruita una cornice, uno spazio per illuminare la vita del nostro Fondatore e cogliere i cardini sui quali l’azione caritativa si è mossa.
Attori professionisti e spettacolari immagini hanno condotto per mano i partecipanti tra i filari della «vigna del Signore» nella quale don Guanella ha lavorato con intensità per produrre il vino della gioia di vivere. E subito i filari sono stati invasi dal canto di giubilo di vendemmiatori. Da subito i membri dell’assemblea si sono sentiti tra i filari di una vigna piantata dalla stessa mano di Dio come pure tralci di un’unica vite, tralci, «amati, scelti e inviati» nel mondo a portare la gioia di sentirsi amati e quindi chiamati a costituire la grande famiglia di figli benedetti dal Padre.
«Il canto - ha scritto un premio Nobel della letteratura – è la scala di Giacobbe che gli angeli hanno dimenticato sulla terra». La sera del 22 ottobre, nel cortile dell’oratorio San Giuseppe al Trionfale, quella scala ha fatto volteggiare le ali degli angeli che hanno portato verso il cielo il canto, la lode, le benemerenze di don Guanella e hanno fatto discendere dal cielo la nostalgia della santità e la voglia d’imitazione di quella profezia di carità che ha costituito l’anima dell’azione caritativa di don Guanella. Sul palco, ricco di luci e di effetti, si sono avvicendati alcuni innamorati del carisma guanelliano e, come in una rinnovata pentecoste, hanno espresso i loro sentimenti nelle diverse lingue popolate dalla luce e dall’armonia della carità coltivata e vissuta in quattro continenti.
Accanto a don Giosy Cento, autore del canto ufficiale della canonizzazione, si sono esibiti alcuni confratelli guanelliani, provenienti dai diversi paesi. Il canto a don Guanella di Giosy Cento ha aperto l’orizzonte internazionale con il ritornello cantato in diverse lingue. Giovani cantautori italiani hanno anch’essi inneggiato a don Guanella con melodie e parole meritevoli di attenzione. Il numeroso pubblico coinvolto nelle motivazioni dei canti ha applaudito con entusiasmo ed è tornato chi a casa e chi in albergo con gioiosi sentimenti consapevoli di aver scalato in armonia la scala che conduce a Dio. Uno dei castighi con cui un santo vescovo ammoniva i suoi fedeli era questa espressione: «Cari fratelli, se commettiamo ingiustizia, Dio ci lascerà senza musica». E senza musica si è costretti a vivere in un frastuono fastidioso e senza gioia.
Tra le profezie di saggezza evangelica uscite dal cuore di don Guanella si legge: «La santità salverà il mondo». La salvezza è il porto sicuro che calamita ogni affanno della vita e la santità è il grembo materno di Dio inondato di luce. Il Santo è colui che nel cammino della vita aderisce a Dio nella fede e nell’amore, tentando di percorrere un’esistenza giusta. Nella festa di tutti i Santi il firmamento si fa più luminoso, e ogni cristiano, alla ricerca del volto di Dio, vede riflessa nella luce divina la sua persona e avverte un’energia che muove la volontà e dà sostanza evangelica al suo agire. Nella vita di ognuno c’è un polo di attrazione che la caratterizza: è l’amore come la forza di gravità. Sant’Agostino diceva: «Tu in realtà sei quello che in effetti ami. Ami Dio? Ti assimili a Lui. Ami la terra? Sei terra». Forse, non pensiamo mai alla pesante fatica di essere mediocri e alla gioia invece di essere santi.
Con l’Avvento ha inizio l’anno liturgico, il tempo sacro della grazia (kairòs) in cui la Chiesa celebra il grande mistero della salvezza. Il suo nucleo essenziale è l’evento Gesù Cristo: il Figlio di Dio che si è incarnato ed è entrato nel mondo per condurre gli uomini al loro fine ultimo, alla piena comunione di vita con Dio nel Regno dell’eterna vita.
Con la nostra partecipazione alla celebrazione liturgica degli eventi salvifici, diventiamo annunziatori e testimoni della nostra fede, testimoni, quindi, dell’Amore del Padre che si è rivelato nella Persona del Figlio, anzi, ce lo ha donato perché «chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Tutto il tempo della Chiesa – l’anno liturgico – è caratterizzato da una triplice dimensione: la memoria del passato (l’attesa e la venuta di Gesù nella carne), la dinamica del presente (come oggi questo evento ancora avviene e si attualizza) e l’attesa del futuro (il ritorno del Cristo nella gloria: evento escatologico).
Mentre il Tempo Ordinario volge al termine e la natura si fa di giorno in giorno più brulla e spoglia, il mese di novembre si apre con il contrasto della bellissima festa di Tutti i Santi: un tripudio di luce, di canto, di gioia; il Cielo sulla terra.
In questa solennità la Chiesa pellegrina nella fede, contemplando le abbondanti messi già raccolte nei celesti granai, comincia sin d’ora a cantare la gioia del suo arrivo in patria: «Rallegriamoci tutti nel Signore, celebrando questo giorno di festa in onore di tutti i Santi: con noi gioiscono gli angeli e lodano il Figlio di Dio». Con questa antifona si apre la Celebrazione Eucaristica, durante la quale si viene ad instaurare, per così dire, un appassionato dialogo tra terra e cielo, tra i santi ancora pellegrini nella fede e i santi già in patria, tra i “santi delle beatitudini” (cf. Vangelo della solennità) e i santi della «moltitudine immensa, di ogni nazione, razza, popolo, lingua» che innalza a gran voce il grandioso cantico della salvezza, di cui si sente l’eco nella prima lettura (cf. Ap 7).
Tra gli uni e gli altri non c’è separazione, ma compartecipazione; non distanza, ma affettuosa vicinanza. I santi già in patria sono presenti a noi nelle nostre tribolazioni e noi, “santi in cammino”, ci rallegriamo con loro per la pace di cui godono e che già, in forza dell’amore, si riversa nei nostri cuori. Con questa solennità la Chiesa ci invita, dunque, ad una grande festa di famiglia, convoca tutti i suoi figli attorno all’unica mensa. Infatti, chi sono i santi, se non i figli di Dio cresciuti fino alla “pienezza di Cristo” (cf. Ef 4,14)? Essi sono i nostri fratelli maggiori. Alcuni di loro, forse, sono stati fino a ieri nostri compagni di viaggio; perdura forse ancora nella nostra mano il calore della loro mano, nella nostra memoria il suono della loro voce… Tra i santi possono esservi – anzi, certamente ci sono – anche tanti che chiamiamo i “nostri morti” e che, sapientemente, la Chiesa ci fa commemorare proprio il 2 novembre, dilatando la festa in due giorni, per sottolineare l’unità del mistero.
Come la natura in autunno si riveste a festa con il suo abito dai variegati colori, e dà gioia ai cuori offrendo gli alberi carichi di frutti maturi e le vigne pronte per la vendemmia, così anche la Chiesa nei mesi di settembre e ottobre ci offre un calendario liturgico ricco di bellissime feste, particolarmente care al popolo cristiano.
Proprio all’inizio di settembre, ecco la festa della Natività di Maria. Un’antifona della liturgia così si esprime con una bellissima melodia gregoriana: «La tua nascita, o Vergine Madre di Dio, ha annunziato la gioia al mondo intero, perché da te è nato il Sole di giustizia: Cristo nostro Dio. Egli è colui che ha tolto la condanna e ha portato la grazia. Ha vinto la morte e ci ha donato la vita». Motivo della gioia di questa festa è, dunque, l’opera della salvezza che Dio ha compiuto. Per attuare il suo disegno, egli ha voluto servirsi di una donna, di una creatura umile e semplice, preparata per dare alla luce il Cristo salvatore. Maria è l’Aurora piena di speranza del Giorno nuovo che più non conosce tramonto, nel quale già siamo entrati, in speranza, e verso il quale camminiamo, saldi nella fede e sospinti dall’amore.
Nei mesi estivi, mentre molti cercano il luogo delle vacanze al mare, ai monti, ai laghi, alle isole lontane per svagarsi e riposare, anche il calendario liturgico è tutto costellato di luoghi deliziosi, ossia di feste per la gioia e il sollievo spirituale dei credenti. A partire dal mese di giugno, il giorno 24 troviamo la solennità della nascita di Giovanni Battista, che risveglia nel cuore un ardente desiderio del Cristo da lui mostrato; poi viene la solennità dei santi Pietro e Paolo (29 giugno) che ci porta a Roma, agli inizi della Chiesa animata da grande slancio missionario e dalla testimonianza fino al martirio.
In questi mesi, inoltre, si celebrano le feste di ben tre dei sei compatroni d’Europa: san Benedetto (11 luglio) che con la sua Regola e i suoi monasteri ha silenziosamente contribuito a dare un volto cristiano al nostro continente, anzi, a dargli profonde radici cristiane. In agosto (9 e 23) si celebrano le feste di santa Teresa Benedetta della Croce – Edith Stein – e santa Brigida di Svezia, compatrone d’Europa. Questi santi in epoche diverse hanno dato un contributo altamente significativo alla crescita non solo della Chiesa, ma anche della società civile.
Con la solennità della Pentecoste, il vento dello Spirito irrompe nella Chiesa, spezzando nel cuore degli apostoli le catene della paura che ancora li tenevano prigionieri. Inizia davvero il tempo nuovo: tempo di missione e tempo di adorazione in spirito e verità; tempo di impegno nella storia per costruire la “civiltà dell’amore” nell’attesa del ritorno del Signore nella gloria. Il Cristo, infatti, verrà alla fine del tempo per porre termine alla storia e dare compimento al suo regno glorioso. Allora, insieme con l’umanità redenta ci saranno cieli nuovi e terra nuova, e Dio sarà tutto in tutti.