Cent’anni fa nasceva Enrico Medi, uno dei protagonisti della lunghissima diretta tv durante la quale raccontò e commentò lo sbarco sulla luna di Neil Armstrong. Più avanti, ricordando quella memorabile notte, Medi scrisse: «Ore 4.56, 21 luglio 1969 dell’era cristiana. Tentenna il piede dell’uomo poi si abbassa… poggia sul suolo lunare… ecco vi lascia un’impronta: la firma dell’uomo. L’uomo è sulla Luna» (E. Medi, “La Luna ci guarda“, Roma, 1970, p. 79).
Il fisico e divulgatore Franco Gàbici - prendendo spunto dal volume di A. Gliozzo, “Enrico Medi, scienziato e credente” - commenta queste parole sul sito di Disf.com: «Quello specificare l’appartenenza all'“era cristiana” dell’anno di quella straordinaria impresa non fu certo una semplice annotazione temporale, ma la dimostrazione della Weltanschauung cristiana di un uomo di scienza che di fronte a un evento epocale intendeva ricordare che quell’importante successo della tecnologia umana non doveva far dimenticare la mano del Creatore. D’accordo, era pur sempre l’uomo “che compiva un primo passo”, ma quel passo gli era stato consentito dalle “leggi della fisica che Dio gli ha permesso di usare”.
Abituati a vedere Don Guanella come l'uomo della carità, della comprensione e della pazienza, coloro che lo conobbero, spesso, si meravigliarono nel trovarsi, in certi casi, di fronte a una straordinaria fermezza. Evidentemente, trattandosi di decisioni che si sono rivelate poi giuste ed opportune, c'era in lui la capacità di decidere e di operare con la fermezza che deve avere un chirurgo quando separa ciò che è sano da ciò che è malato. In queste decisioni, come nel caso che qui è riferito, Don Guanella si assumeva la responsabilità.
Suor Vismara ricordava sovente un suo incontro decisivo con Don Guanella. Abitava ancora in famiglia ad Ardenno, in provincia di Sondrio, quando venne a sapere che Don Luigi era andato a far visita a suo fratello, Don Lorenzo Guanella. Ritenne che quella fosse una buona occasione per incontrarlo e prendere consiglio sulla sua vocazione e sull'opposizione che questa trovava da parte dei familiari. L'ostilità era forte se per ben sette anni, in seguito, la famiglia non volle perdonare a Suor Vismara la sua scelta.
Tra i buoni figli, ossia i poveri picchiatelli che Don Guanella prediligeva e amava particolarmente, ce n'era uno chiamato Bietola, alludendo alla sua goffaggine, al suo modo arruffato di parlare e di camminare, e alla sua assoluta mancanza di malizia.
Chi sa per quale ragione questo Bietola se la prendeva sempre con uno suo pari, di pelo rossiccio, che era logicamente chiamato Carota: erano nati per stare insieme, ma non potevano stare insieme senza litigare ogni tanto.
Un giorno, mentre Don Guanella riceveva alcune persone, ecco che si apre la porta e piomba nella direzione come un toro scatenato Bietola con i segni d'un'alterazione preoccupante. Senza badare alla presenza degli ospiti, Bietola si mette davanti a Don Guanella urlando:
— O via lui, o via io! O via lui, o via io!
Alludeva naturalmente al suo amico Carota col quale ce l'aveva chi lo sa perché.
Suor Chiara si presenta come una santa di ieri, ma per una santità di oggi. è la sconcertante validità che sigilla la causa di beatificazione. La rileggiamo.
“Questa umile figlia della Chiesa, dedicandosi al compimento delle consuete azioni della vita quotidiana, ha raggiunto virtù altissime. La stessa può indicare a tutti i fedeli che come lei peregrinano, attraverso le difficoltà e le lotte della vita, quale sia la via da intraprendere per poter più facilmente e più sicuramente giungere alla mèta. Ancor più siamo presi da grande ammirazione e ci sentiamo confortati, perché a tutti è dato di vedere una grande perfezione ed abbondanza di meriti, attraverso il compimento delle semplici azioni di ogni giorno, fatte per amore di Dio. E’ ciò che decretiamo e vogliamo sia valido ora e per il tempo futuro.”
E ancora, il beato Giovanni Paolo II dichiarava nell’omelia: “L’attualità del messaggio di questa Beata sta nel fatto che ha compiuto con amore le semplici azioni di ogni giorno, stando in continua sintonia con Dio e santificando così il quotidiano. Nella sua vita non ci sono stati fenomeni o gesti straordinari; straordinario, invece è stato il suo modo di porsi in relazione con Dio, lasciando spazio a Lui in tutto il suo essere. La beata dice che la santità è possibile, è accessibile a tutti, purchè si resti fedeli a Dio e fedeli all’uomo” (Roma, 21-04-1991).
Queste espressioni risuonate 20 anni fa nel giorno radioso della beatificazione di suor Chiara ci raggiungono, dunque, ancora oggi, con forza propositiva e suscitano interrogativi esistenziali: qual è il segreto di suor Chiara?
Suor Chiara e don Luigi Guanella… il padre spirituale e la figlia: come hanno vissuto questo rapporto profondo?
E noi, oggi, di fronte a suor Chiara?
Tentiamo una risposta al primo interrogativo.
Quel 20 aprile 1887 rintocchi di “campane a morto” si rincorrevano sulla superficie immobile del lago. Con il loro cadenzato lamento annunciavano il gemito di un popolo in lutto; ma tra i rami di peschi in fiore faceva eco un canto di speranza. Un gruppetto di bambine, raccolte in un angolo del cortile dell’orfanotrofio con gli occhi umidi di lacrime, si chiedeva: “Tornerà suor Chiara tra noi?”. Don Guanella, pur immerso nel dolore, confortava quelle bimbe dicendo loro che suor Chiara sarebbe tornata, anzi che loro l’avrebbero ritrovata nella grande festa finale, quando Dio avrebbe chiamato tutti a giocare eternamente con lui insieme ai suoi e ai nostri amici.
Ma Dio ha voluto che suor Chiara, incoronata di gloria, tornasse prima.
Rientrava nella scena del mondo come una regina vestita di splendore, con il volto luminoso di chi ha visto Dio e ha immerso lo sguardo nei suoi occhi.
Un premio Nobel della letteratura, il colombiano Gabriel Garcia Marques, ha lasciato scritto: «A un bambino regalerei le ali, ma lascerei che da solo imparasse a volare». Al piccolo Luigi Guanella le ali furono regalate nel «sogno» nel giorno della sua prima comunione, quando si trovava a custodire un grappolo di pecore sull’altura di Gualdera a un paio di chilometri dalla sua casa natale.
Era il giovedì santo. Allora il giorno della prima Comunione conservava il ritmo del quotidiano; era il mondo dell’invisibile inondato dalla luce della grazia divina. Allora, a differenza di oggi, non si conoscevano regali per la circostanza. Quel giorno la sveglia fu anticipata. Bisognava essere all’alba a Campodolcino, nella parrocchia, prima della messa. Poi la risalita a Fraciscio, una frugale colazione e, invece della scuola, al pascolo con le pecore.
San Luigi Guanella, nuovo santo del terzo millennio. Ricordo le parole del Papa che aprì questo nuovo millennio insieme ai giovani di tutto il mondo: “Non abbiate paura di essere i santi del nuovo millennio! Con Cristo la santità - progetto divino per ogni battezzato - diventa realizzabile...Gesù cammina con voi, vi rinnova il cuore e vi irrobustisce con il vigore del suo Spirito”. La santità, allora, è un progetto che, insieme a Cristo, ogni battezzato può realizzare. Bisogna contare su di Lui; credere alla forza invincibile del Vangelo e porre la fede a fondamento della speranza. Si può dire ancora di più: ogni progetto umano dovrebbe essere considerato nella prospettiva della santità, se vuole dare qualcosa di vero alla vita e durare persino oltre la vita. Con un po’ di fede si intuisce come Dio abbia su ognuno di noi un progetto, misterioso, tutto da scoprire e che esige impegno, fatica, anche sofferenza e lotta. Ne vale ogni pena, perché è salvifico, riguarda la salvezza. In Maria è tutto realizzato il progetto di bellezza, di felicità autentica e di amore, il progetto di santità che Dio ha per ciascuno di noi. Maria è il capolavoro a cui guardiamo con sicura speranza.
Un santo non è un divo. Un santo non somiglia ad un uomo di successo. I cristiani lo sanno. E sanno che c’è una bella differenza tra il successo nelle cose del mondo e quello nelle cose del cielo. Le cose del cielo, del resto, sono poi quelle stesse della terra ma vissute, per così dire, in modo centuplicato, in modo più povero, ma in modo senza fine, eterno com’è Dio. Così è scritto nel Vangelo, come è scritto nella vita di tutti i santi, quelli famosi e quelli meno noti, quelli di casa, della parrocchia, dei gruppi e dei movimenti ecclesiali.
Gente che ha vissuto nella ferialità del mondo, ma con la convinzione che non tutto finisce nel mondo. Gente che ha sperimentato e fatto vedere agli altri l’Infinito nelle cose finite. Il cielo dentro la terra, il centuplo quaggiù, che è una ricchezza di senso. Una ricchezza incalcolabile agli occhi di un mondo di terra.
di don Mario Carrera
«Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo». Con queste parole del salmo 90 Giovanni Paolo II apriva la sua lettera agli anziani.
Alla fine del Secondo millennio il Papa, ormai entrato nella terza età, ha sentito il desiderio di mettersi in dialogo con le persone coetanee per esprimere innanzitutto la sua gratitudine a Dio «per i doni e le opportunità che con abbondanza gli ha elargito».
Festa è un parola importante, necessaria quanto il lavoro, anzi: in questi tempi di diffusa crisi economica, solo il fatto di avere un buon lavoro oggi è già motivo sufficiente per fare festa». La festa è componente fondamentale di una vita che vuole essere pienamente umana, ma è necessario capire cosa è festa. L’uomo moderno, infatti, ha creato il tempo libero, ma ha perso il senso della festa e in particolare della domenica.
Per la famiglia l’esperienza della festa è esperienza di un tempo molto speciale: «Parte dell’emozione della festa è desiderarla, aspettarla e prepararla. Diciamo che essere in festa si apprende, la festa non si improvvisa come non si improvvisa essere amici. La festa è un ingrediente per creare legami che uniscono le persone che diventano parte della nostra vita. Nel focolare della famiglia, la festa è un giorno speciale, dove c’è posto per la contemplazione, l’adorazione, la gratitudine, come è la domenica».
La Chiesa è nata intorno all’Eucaristia e in essa «abbiamo qualcosa di più importante del divertimento: abbiamo l’amore portato agli estremi». Partendo da questa premessa, il card. Sean O’Malley, arcivescovo statunitense, ha proposto la sua riflessione su «Santificare la festa: la famiglia nel giorno del Signore». Secondo il cardinale, «la nostra celebrazione dell’Eucaristia, il sacrifico della messa, è per noi cattolici un pasto familiare. È lì che noi facciamo esperienza dell’amore di Dio e impariamo la nostra identità, chi siamo, perché siamo al mondo e cosa fare della nostra vita. Quando partecipiamo alla messa con loro, insegniamo ai nostri figli e nipoti una delle lezioni più importanti. I bambini che sentono dai loro genitori quanto e perché essi amano la messa, saranno meno portati a paragonare la messa con la televisione e considerarla noiosa».
L’intervento del card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio della famiglia, ha parlato all’Incontro mondiale sul tema: «La famiglia, il lavoro e la festa» e lo ha trattato alla luce del libro della Genesi riguardo ai «tre beni che si realizzano nella relazione con gli altri e con Dio». Questa relazionalità, ha suggerito il cardinale, è da valorizzare: «Gli altri non vanno guardati come rivali da sovrastare e utilizzare, ma come alleati con i quali aiutarsi, per crescere insieme. Non è lecito ridurli a strumento. Sono un bene in se stessi e meritano di essere rispettati, amati e valorizzati. In una stagione della storia nella quale la persona è ridotta ad individuo, la società a gioco d’interessi, la felicità a piacere, la verità a opinione, anche la famiglia, il lavoro e la festa subiscono riduzioni e distorsioni. Tutte le dimensioni della vita devono essere plasmate dall’amore». Nella riflessione del card. Antonelli «non solo nella famiglia e nella festa, ma anche nel lavoro e nell’economia deve prevalere la logica del dono, integrando utilità e gratuità, bene strumentale e bene voluto per se stesso. La famiglia è un fenomeno universale nella storia del genere umano. Ha una struttura permanente, costituita dal rapporto tra i due sessi, legame uomo-donna, e dal rapporto tra le due generazioni, legame genitori-figli, legami non solo affettivi, ma anche etici».
Il card. Antonelli ha concluso il suo intervento con un auspicio: «La cultura individualista, utilitarista, consumista, relativista ha impoverito le relazioni umane e ha compromesso la fiducia tra le persone; ha provocato la crisi dell’economia, del lavoro e della famiglia. La riscoperta dell’uomo come soggetto essenzialmente relazionale e la cura per la buona qualità delle relazioni porteranno al superamento della crisi del lavoro e della famiglia. La crisi fa emergere il malessere latente da tempo e apre prospettive nuove».