L’Accademia Musicale del Lazio, con il sostegno della Regione Lazio ha preparato un significativo evento artistico, costituito da due concerti monografici per organo, dedicati al celebre compositore romano Filippo Capocci (1840-1911) - in occasione del centenario della sua morte - tenuti presso la Basilica romana di San Giuseppe al Trionfale. Il ciclo si è aperto domenica 6 novembre 2011 alle ore 16.45 con il Professor Jiri Lecian (docente di organo a Santa Cecilia), seguito la domenica successiva, il 13 alla stessa ora, dal M° Roberto Dioletta (direttore dell’Accademia Musicale del Lazio).
Entrambi i concerti sono stati presentati dalla Musicologa Orchidea Salvati (docente di Storia della Musica a Santa Cecilia) che ha introdotto tutti i brani in esecuzione, seguendo un percorso monografico rappresentativo e ragionato. è un piccolo e meritatissimo tributo che l’Accademia e tutta la Comunità di San Giuseppe presieduta del Parroco don Wladimiro Bogoni, hanno offerto al proprio pubblico, in omaggio al più importante organista romano ed italiano dell’ottocento. In effetti Filippo Capocci appena sopraggiunta la sua morte avvenuta a Roma nel 1911, venne inspiegabilmente dimenticato. Oggi possiamo dire con certezza che è stato una fondamentale figura della musica organistica italiana, e purtroppo non occupa ancora il posto che gli spetta nella considerazione della critica musicale. Eppure vi è una accertata importanza storica ed oggettiva della sua creatività: compone brani proiettati al futuro per un organo che ancora non esiste nell’arte organaria italiana del tempo. Prima di lui il deserto con organi ed organisti che suonavano l’opera ed il teatro. Rincorre il progresso organario ed organistico e assimilando le esperienze d’oltralpe, si prodiga affinché i maestri organari nostrani, aderiscano ai nuovi dettami costruttivi. La sua permanenza negli ambienti francesi, gli consentono di ipotizzare nei progetti organari, la fusione dell’arte organaria italiana con quella futuribile franco-tedesca. Frutto di questa sua idea è la creazione di tre magnifici strumenti a Roma: l’organo “Merklin” a San Luigi dei Francesi (1881) e i due “Morettini” a San Giovanni in Laterano (1886). Le sue, sono composizioni possenti, sinfoniche, grandiose, del tutto nuove in Italia e sconcertano l’uditorio. Ma dal suo solco si dipana la direzione nella quale si deve muovere la successiva creatività organistica. Una curiosità: Filippo Capocci fu insegnante privato della Regina Margherita. La Regina infatti era una appassionata dell’organo ed oltre a suonarlo discretamente, si interessava alla vita musicale della Capitale. Fondò il “Quintetto d’archi di Roma” e una volta alla settimana radunava attorno a sé al Quirinale, il meglio della cultura italiana ed europea di passaggio nella Capitale.
Roma è abituata a vip e personalità istituzionali, Capi di Stato e politici famosi, tanto che la gente non presta nemmeno più attenzione a chi sfila velocemente per strada con le auto blu a sirene spiegate con poliziotti e carabinieri al seguito. Tutto normale, eppure il 19 marzo scorso, nel quartiere Trionfale, la gente si è fermata e per alcune ore per giunta, per ossequiare un passaggio illustre, quello di un uomo poco terreno e tanto divino nella fede: san Giuseppe. Accompagnato eccezionalmente quest’anno dalla banda musicale della Città del Vaticano, il santo è riuscito a mobilitare e coinvolgere tante persone, circa tremila al seguito della processione, un altro migliaio ha preferito seguire invece con lo sguardo l’uscita della statua nelle strade, da via Bernardino Telesio a via della Giuliana, Andrea Doria, piazzale degli Eroi e ritorno in Basilica, dando le spalle all’edificio ed il volto rivolto alla folla acclamante. In quei pochi minuti, che precedevano la posa sul piedistallo di sempre, il discendente della casa di Giacobbe è sembrato benedire le anime presenti.
Desidero proporre delle riflessioni di carattere etico generale circa il problema, o meglio l’esperienza del dolore. Cosa significa qui “etica”? In estrema semplificazione la possiamo intendere così: la riflessione sul comportamento umano per valutarlo in confronto ai valori (cosa è bene e cosa è male) e per orientarlo a forme migliori.
Nel linguaggio comune usiamo con una certa indeterminazione i termini dolore e sofferenza. Quando ad es. un paziente tenta di spiegare al medico i sintomi che lo affliggono, può dire: “Sento un forte dolore al ginocchio”, oppure: “Questa artrosi mi fa soffrire terribilmente”. Non voglio qui entrare in distinzioni concettuali troppo raffinate, più proprie del pensiero filosofico o della psicologia. Dolore e sofferenza non sono uguali. Entrambi appartengono all’esperienza del patire, ma sono di diversa natura. Spesso vanno insieme, ma possono essere distinti. Si può soffrire senza provare dolore: es. per un’ingiustizia subita, per un tradimento, per il male morale proprio o degli altri. O si può provare una forma di dolore che non causa sofferenza: es. un atleta nello sforzo della prestazione fisica, un dolore sopportato per raggiungere un bene superiore.
L’aveva intitolato «Nel mese del fervore» e, in quel volumetto, dedicato al Sacro Cuore, don Guanella gli aveva riversato tutta la sua devozione e il suo affetto, voleva far conoscere a tutti che in quel «cuore» è presente un abisso di misericordia.
All’inizio di questo mese di giugno, velato dalla nebbia dell’indifferenza religiosa, bagnato dalle lacrime della guerra e dalla difficoltà dell’immigrazione, vorrei invitare a far nostra una preghiera, un po’ paradossale, scritta nel diario di una giovane, che s’impegnava ad «aiutare Dio», affinché il suo nome non scomparisse dai nostri cuori: «L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi è un piccolo pezzo di Te, o Dio, dentro di noi e forse possiamo contribuire a disseppellirti dal cuore devastato di tanti uomini».
La splendida villa nel verde, a piazza di Novella a Roma, dove ha sede il “Centro Studi Investimenti Sociali” noto come Censis, dona quella pace che fa mantenere la calma a chi legge i continui dati sulla famiglia. Numeri che lasciano tanta amarezza se si pensa che il “sì” sull’altare è diventato il più eroico degl’impegni da mantenere. Proprio di famiglia, di ruoli famigliari e giovani voglio parlare con Giuseppe De Rita che non è solo l’autorevole Presidente del Censis, ma soprattutto un uomo di fede. Crede e fa credere chi lo ascolta, convince davvero che quello che dice lo pensa. Non lo incontri negli eventi politici romani, piuttosto a quelli religiosi. Cresciuto con i padri gesuiti, è padre di 8 figli e nonno di 14 nipoti. Dietro quella statura austera c’è una persona semplice che si interroga sulla vita, sui cambiamenti e si preoccupa di dare la propria testimonianza, sapendo che il momento non è dei migliori.
Il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, Giovanni XXIII indice il Concilio Ecumenico Vaticano II. Da dove ha egli attinto il coraggio per affrontare così “pacatamente”, ma decisamente tanto colossale impresa?
Egli ci apre “una finestra nel suo cuore” nella Lettera Apostolica “Le voci”, scritta il 19 marzo 1961, nella quale porge a san Giuseppe, “attraverso le voci e i documenti dei nostri immediati antecessori dell’ultimo secolo, da Pio XI a Pio XII, un serto di onore, in eco alle testimonianze di affettuosa venerazione, che ormai si sollevano da tutte le nazioni cattoliche e da tutte le regioni missionarie”.
Per gli operatori dei media passerà alla storia come “il comunicatore di Dio”, perché ha lasciato sicuramente un segno nel nostro tempo, con il suo stile ed il suo eloquio inconfondibili - tanto apprezzati da Indro Montanelli ed Enzo Biagi – che abbiamo ammirato sulla grande stampa nazionale, su “Avvenire” (lo considerava quasi una sua creatura) e nei talk-show della Rai.
Ma il cardinale Ersilio Tonini, morto qualche mese dopo il suo novantanovesimo compleanno (20 luglio), è stato anche un grande uomo di carità. Questo esile “pretino di campagna” dalla solida cultura e dalla formazione di stampo pacelliano acquisite in seminario e alla Lateranense, piacentino come molti diplomatici vaticani di gran stoffa (Casaroli in primis), nato da una modesta famiglia di contadini, fino all’ultimo ha speso tutte le sue energie per testimoniare con vigore il Vangelo della solidarietà.
In un contesto storico di positivismo culturale, quale era quello del secolo XIX, Giuseppe Toniolo indicava che anche l’impegno spirituale è un fattore di civiltà. Anzi, sosteneva, proprio perché radicata nel mistero dell’Incarnazione, la Chiesa opera all’interno dell’ordine sociale non come un organo periferico, ma come cuore.
Aveva la certezza che la storia va letta con un’ottica di tempi lunghi per scoprirvi il disegno della Provvidenza: ne era convinto anche don Guanella, quando ricordava la sua opera nata “col visibile aiuto della Provvidenza, che non verrà mai meno”.
Gli anni in cui vissero Toniolo (1845-1918) e don Guanella (1842-1915) quasi coincidono, ma essi non hanno lasciato testimonianze dirette di un loro incontro, anche se certamente a don Guanella, attento alle vicende anche sociali del suo tempo, non sarà sfuggita l’opera del sociologo ed economista, fervente cattolico e, come lui, fedelissimo al papa.
«Sin dall’inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza, non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita; così ha trovato Cristo, in Cristo, la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia». Così il cardinale Ratzinger ricordava don Luigi Giussani il 24 febbraio 2005, giorno del suo funerale nel duomo di Milano.
Non è semplice sintetizzare la vita di un uomo poliedrico, che è stato un genio dell’umano e della fede. Ma un filo conduttore si può rintracciare in quelle parole di Ratzinger: il cristianesimo come avvenimento di bellezza.
di p. Guglielmo Camera, postulatore
Il Beato Conforti nasce a Casalora di Ravadese (paese a pochi chilometri da Parma, diocesi di Parma) nel 1865. Viene ordinato presbitero nel 1888. Nominato Vice Rettore del Seminario ancora prima dell’ordinazione presbiterale, in quest'ufficio rimase per vari anni, dimostrando notevoli doti di educatore, ma soprattutto edificando gli alunni con l'esempio di una vita santa e con la persuasiva parola della fede.
Nel 1894, viene nominato Vicario Generale della Diocesi di Parma e nel 1895 fonda l’Istituto Saveriano per le Missioni Estere. Nel 1902, a 37 anni, per volontà del Papa Leone XIII viene nominato arcivescovo di Ravenna, allora sede cardinalizia, rinunciandovi due anni dopo per motivi di salute.
Nel 1907 viene nominato da Pio X Vescovo di Parma, che reggerà per 24 anni. Nel 1928, visita i suoi missionari in Cina e nel 1931, 5 Novembre, a 66 anni, muore santamente.