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Giovedì, 05 Dicembre 2013 15:37

Un comunicatore credibile di Dio Featured

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di Antonio Lovascio

Il cardinal Tonini

Per gli operatori dei media passerà alla storia come “il comunicatore di Dio”, perché ha lasciato sicuramente un segno nel nostro tempo, con il suo stile ed il suo eloquio inconfondibili - tanto apprezzati da Indro Montanelli ed Enzo Biagi – che abbiamo ammirato sulla grande stampa nazionale, su “Avvenire”  (lo considerava quasi una sua creatura) e nei talk-show della Rai.
Ma il cardinale Ersilio Tonini, morto qualche mese dopo il suo novantanovesimo compleanno (20 luglio), è stato anche un grande uomo di carità.  Questo esile “pretino di campagna” dalla solida cultura e dalla formazione di stampo pacelliano acquisite in seminario e alla Lateranense, piacentino come molti diplomatici vaticani di gran stoffa (Casaroli in primis), nato da una modesta famiglia di contadini, fino all’ultimo ha speso tutte le sue energie per testimoniare con vigore il Vangelo della solidarietà.

Accanto ai malati terminali e disabili dell’Istituto Santa Teresa del Bambino Gesù di Ravenna (dove fin dal 1975 aveva scelto di vivere lasciando il suo appartamento in Arcivescovado ad una comunità di tossicodipendenti); continuando a raccogliere fondi per gli indios del Brasile e le popolazioni dell’Amazzonia. Viveva in povertà. E tanto sarebbe piaciuto a Papa Francesco. Sicuramente con la sua cultura e un ottimismo travolgente conquistò Giovanni Paolo II, che, a sorpresa, nel 1994 lo elevò alla porpora, ormai ottuagenario e arcivescovo emerito di Ravenna, per i riconoscimenti acquisiti come scrittore, nei media e nella predicazione televisiva. Avevano molti tratti  in comune questi due grandi servitori della Chiesa. Sicuramente si sono preparati ad abbracciare Cristo con la stessa serenità. «È rimasto lucido fino alla fine. Si è reso conto che stava per morire. Ha detto che si preparava per andare incontro al Signore, che il Signore è buono», ha testimoniato  Suor Virginia, da 52 anni assistente all'opera Santa Teresa, che da 12 anni seguiva da vicino il cardinale Tonini. è stata lei a raccogliere le ultime parole del porporato. Negli ultimi due giorni di vita  «chiamava la mamma, morta quando lui era piccolo. E una sorella, Bianca, deceduta da pochi mesi e alla quale era molto legato». Ma non si stancava di ripetere: «Voletevi bene, io torno al Padre mio».
Non ho fatto in tempo a fargli gli auguri nell’imminenza del suo novantanovesimo compleanno. Mi rimangono  però scolpite nella mente e nel cuore le belle parole di immeritato apprezzamento e gratitudine che  mi espresse  nell’ottobre 2012,  quando gli spedii la biografia che, per incarico dell’attuale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, avevo scritto sul cardinale Giovanni Benelli, nel trentennale della morte.  In un capitolo del libro ho doverosamente evidenziato uno dei periodi più fertili di ministero episcopale di Tonini, a ridosso del 1978, quando Papa Montini, prima di morire, gli affidò la guida della Società editrice di “Avvenire” (allora diretto con coraggio ed equilibrio da un maestro di giornalismo come Angelo Narducci)  per una non facile ristrutturazione ma soprattutto per rilanciarlo. Lui ricordava con piacere quegli anni  ed il delicato compito svolto per conto della CEI.   Forse anche in omaggio a Dante, il Pastore ravennate - che aveva già alle spalle una buona esperienza episcopale a Macerata e Tolentino - cercò e trovò un’affidabile sponda qui in Toscana: un forte legame con il cardinal   Benelli (da poco insediatosi a Firenze e già sponsor del giornale quand’era il braccio destro di Paolo VI  nella Segreteria di Stato) e poi con Piovanelli, con i vescovi Agresti, Ablondi, Fiordelli, Matteucci, e più avanti anche con Simoni. Con il loro sostegno riuscì a far lievitare nell’episcopato italiano una presa di coscienza per una più ampia diffusione del quotidiano cattolico in edicola e attraverso una più convinta ed incisiva promozione degli abbonamenti. In quegli anni in Toscana c’erano ben tre redazioni di “Avvenire”: quella di Firenze (che ho avuto il piacere e l’onore di dirigere per 14 anni, prima di passare nel 1982 alla “Nazione”) e poi  giornalisti anche a Prato e Lucca, pronta quest’ultima a cogliere al volo l’opportunità di  realizzare il sogno di monsignor Enrico Bartoletti, che Tonini  aveva conosciuto a Roma e tanto aveva stimato.  
Sulle rive dell’Arno era quindi di casa: per incontri operativi con i responsabili delle Comunicazioni sociali della CET e delle varie Diocesi (monsignor Italo Taddei, padre Reginaldo Santilli, don Averardo Dini, don Mario Carrera, don Oreste Cioppi, don Pietro Gianneschi, monsignor Carlo Migliorati, monsignor Vasco Simoncini) ma anche per conferenze, qua e là nelle parrocchie, dove esaltava “la Chiesa dei poveri  lontana dai lussi e dalle manovre di potere” ora diventata emblema di Papa  Francesco. Aveva un linguaggio semplice, anche se – da filosofo colto e ironico – citava spesso Socrate e Platone, soprattutto quando parlava ai giovani. E proprio con i giovani – fin dagli anni in cui era assistente della Fuci di Piacenza e direttore-fondatore del settimanale diocesano “Il  Nuovo Giornale”  - ha sempre tenuto aperto un dialogo non privo di quesiti esistenziali, speranze e confessioni. Interpretava una catechesi moderna, un Vangelo sociale che attraeva e faceva riflettere anche i non credenti. Per me il meglio di sé lo ha comunque espresso dalle colonne di “Avvenire” – cui certo ha contribuito a dare autorevolezza - con memorabili editoriali sulla famiglia, sulla scuola, sull’impegno dei cattolici in politica, e con interviste ad altri quotidiani e settimanali sui Dico (nel 2007) e le nuove emergenze (immigrati, violenza sulle donne, disagio giovanile), assumendo spesso posizioni critiche e scomode. Ma l’apice della notorietà l’ha indubbiamente raggiunto con le apparizioni in tv a “Porta a Porta” e soprattutto nel  seguitissimo programma condotto da Enzo Biagi “I dieci Comandamenti degli italiani”, che ha offerto pure spunti per numerosi convegni in giro per la Penisola. E proprio per difendere l'amico giornalista - preoccupato del pericolo che correva la democrazia - tuonò contro il cosiddetto "editto bulgaro" di Berlusconi e l'allontanamento dalla Rai dello stesso Biagi e di Santoro.  Abbandonata la televisione, il cardinale Tonini non chiuse la sua missione. Anzi. Concentrò le sue residue forze per aiutare  spiritualmente i malati terminali di Alzheimer e disabili dell’Istituto Santa Teresa del Bambino Gesù di Ravenna e per raccogliere fondi da inviare agli indios dell’Amazzonia, a lui tanto cari. Il grande Comunicatore di Dio si è trasformato nel buon Samaritano, in un esemplare modello di carità, che ha continuato a predicare Cristo senza mai risparmiarsi.

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