Santa Maria, donna del pane, chi sa quante volte all’interno della casa di Nazareth hai sperimentato pure tu la povertà della mensa, che avresti voluto meno indegna del Figlio di Dio. E, come tutte le madri della terra preoccupate di preservare dagli stenti l’adolescenza delle proprie creature, ti sei adattata alle fatiche più pesanti perché a Gesù non mancasse, sulla tavole, una scodella di legumi e, nelle sacche della sua tunica, un pugno di fichi.
Molti si chiedono sorpresi perché mai il Vangelo, mentre ci parla di Gesù apparso nel giorno di Pasqua a tantissime persone, non ci riporti, invece, alcuna apparizione alla Madre da parte del Figlio risorto.
lo una risposta ce l’avrei: perché non c’era bisogno! Non c’era bisogno, cioè, che Gesù apparisse a Maria, perché lei, l’unica, fu presente alla Risurrezione.
I teologi ci dicono che questo evento fu sottratto agli occhi di tutti, si svolse nelle insondabili profondità del mistero, e, nel suo attuarsi storico, non ebbe alcun testimone. lo penso, però, che un’ eccezione ci fu: Maria, l’unica, dovette essere presente a questa peripezia suprema della storia.
Maria è buona solo come punto di riferimento per le monache di clausura e per le ragazze tutte casa e chiesa, o è l’aspirazione struggente di ogni donna che voglia vivere in pienezza la sua femminilità?
Le donne della terra la guardano con tenerezza perché nella sua vita terrena ha riassunto i misteri dolorosi di tutte le loro soggezioni? O perché è il simbolo eloquente di chi sperimenta i misteri gaudiosi dell’ esodo dai “laghi amari” dell’antica condizione servile? O perché è l’immagine che sintetizza i misteri gloriosi della definitiva liberazione della donna da tutte le schiavitù che, nel corso della storia, ne hanno sfigurato la dignità?
Maria, la vogliamo sentire così: di casa. Mentre parla il nostro dialetto. Esperta di tradizioni antiche e di usanze popolari.
Donna a cui tutte le figlie di Eva, quale che sia la stagione della loro vita, possano sentirsi vicine.
Tutta nostra, ma senza gelosie. Sempre pronta a darci una mano. A contagiarci della sua speranza. A farci sentire, con la sua struggente purezza, il bisogno di Dio. E a spartire con noi momenti di festa e di lacrime.
Sì, è stata lei la prima a posare gli occhi sul corpo nudo di Dio. E l’ha avvolto immediatamente con lo sguardo. Prima ancora di avvolgerlo in fasce. Anzi, l’ha coperto subito nei panni, quasi per comprimere la luce di quel corpo e non rimanerne accecata. Eccolo lì, l’atteso delle genti lambito dagli occhi di Maria, come agnello tremante sfiorato dalla lingua materna.
Il Vangelo non dice nulla, ma i riferimenti biblici che alludono all’eleganza di Maria sono tantissimi. Basterebbe pensare a quel passo del Cantico dei Cantici nel quale la liturgia intravede, quasi in filigrana, la figura della Madonna che lotta contro le forze del male: «Chi è costei che sorge come l’aurora… fulgida come il sole…?».
Non è stata la “Madonna della seggiola” a suggerirmi questo titolo. Anche se la tela di Raffaello, che ritrae la Vergine finalmente seduta e con piccolo Gesù che riposa tra le sue braccia, evoca tutta una costellazione di immagini centrate attorno all’archetipo materno, che dondola la sua creatura per farla addormentare. Certo anche Maria, come tutte le madri, ha placato il pianto del suo bambino, stringendoselo al petto.
No, la Madonna non fu neutrale. Basta leggere il Magnificat per rendersi conto che Maria si è schierata. Ha preso posizione ed è stata dalla parte dei poveri, naturalmente. Degli umiliati e offesi di tutti i tempi. Dei discriminati dalla cattiveria umana e degli esclusi dalla forza del destino. Di tutti coloro, insomma, che non contano nulla davanti agli occhi della storia. Sta di fatto, però, che sul piano storico, Maria ha fatto una precisa scelta di campo. Si è messa dalla parte dei vinti. Ha deciso di giocare con la squadra che perde. Ha scelto di agitare come bandiera gli stracci dei miserabili e non di impugnare i lucidi gagliardetti dei dominatori. Si è arruolata, per così dire, nell’esercito dei poveri.
«Chi è il più grande nel regno dei cieli?». Con questa domanda, rivolta a Gesù dai discepoli, si apre il capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo. Dolcemente Gesù chiama a sé un bambino e lo addita come esempio: «Se non vi convertirete e non diventerete come questo bambino, non entrerete nel regno dei cieli». Nel Regno dei cieli ciò che a noi sembra importante è privo di valore, anzi, non ha neppure diritto di cittadinanza, mentre ciò che a noi sembra piccolo e spregevole è veramente grande.
«Nel tuo provvido amore, (o Padre), hai scelto san Giuseppe perché custodisse il tuo Figlio fatto uomo, circondandolo di affetto paterno, e a noi offrisse l'esempio di una esistenza laboriosa. Pur discendendo dalla stirpe regale di Davide, si guadagnò il pane col sudore della fronte. Nobilitò l'umana fatica sorretto e allietato dalla convivenza di Gesù e di Maria; esercitando la sua arte con impegno e virtù mirabile, divenne maestro di lavoro a Cristo Signore che non disdegnò di essere detto figlio del carpentiere» .
Chiunque abbia avuto, leggendo nei Vangeli, la grazia di mettersi in ascolto dei silenzi di sfan Giuseppe, sa che lui non è una bella statuina del presepio, immobile e decorativa. Era il padre “putativo” di Gesù, ma questo non deve far pensare a un suo ruolo marginale e un po' patetico nella santa Famiglia. Giuseppe ha esercitato la sua paternità a tutti gli effetti. Del resto, anche gli studi psicologici recenti riconoscono che «un padre deve sempre adottare il proprio figlio» (Doltò).
Sino a qualche tempo fa il nome più diffuso in Italia, dopo quella di Maria era il nome di Giuseppe: l'uomo del silenzio faceva riecheggiare il suo nome nei più sperduti borghi d'Italia. In questi ultimi cent'anni la società ha subito grandi trasformazioni, ha sofferto distruzioni, morti, lutti, lacrime, ha sperimentato la bomba atomica, è andata sulla luna, ha riempito il cielo di satelliti. Nel secolo scorso con un ritmo di cinquant'anni, sono saliti alla cattedra di Pietro tre pontefici che nel battesimo avevano ricevuto il nome di Giuseppe: Giuseppe Sarto, San Pio X, Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII e Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. Tre uomini che hanno contribuito con uno stile pastorale diverso a rendere la Chiesa più evangelica. La scena politica, pur nella passionalità e acredine anticlericale, ha cooperato a liberare la Chiesa dalla pesantezza del potere temporale.
Il 3 dicembre 1844, nello scolasticato dei gesuiti di Vals, nell’Alta Loira, per iniziativa del p. Francesco Saverio Gautrelet, nasceva l’Apostolato della Preghiera, ora Rete Mondiale di Preghiera del Papa. Se scriviamo un po’ della sua storia, non è tanto per un desiderio di erudizione, o per pura curiosità, ma piuttosto per poter ripercorrerne le intuizioni originarie, il suo primo slancio, per potere più fruttuosamente viverne oggi la spiritualità e la originaria fecondità apostolica.
In questo tempo di Quaresima l’Ora Santa è più che mai indicata per entrare nel mistero della Passione del Signore: vi ricordo che si tratta di un’ora continua di preghiera che si fa il giovedì sera, accogliendo l’invito del Signore di vegliare e pregare, con l’intenzione di offrire al Signore amore e riparazione per i peccati propri e delle anime consacrate.