Il sacro monte è un itinerario di devozione realizzato di solito sulle pendici d’un rilievo con un itinerario che sale dalla base alla cima dove di solito si trova un santuario o una semplice chiesa.
Ci teniamo alla consegna puntuale della nostra rivista. Il lavoro in Redazione è continuo e scrupoloso: la scelta degli argomenti, la serietà dei collaboratori nel tenere fede alla data di consegna del loro articolo, la precisione degli operatori nella preparazione dell’indirizzario... Ma poi la sensazione è che questo sia stato inutile. Tutto questo lavoro per niente? Le vostre telefonate in cui ci avvertire che non ricevete la rivista da mesi, che il vosto indirizzo è rimasto sempre lo stesso, che il postino è stato avvertito...
Afine settembre scorso i temi del suicidio assistito e dell’eutanasia sono tornati di grande attualità in Italia. La Corte Costituzionale ha infatti deciso con un pronunciamento in merito al caso DJ Fabo-Cappato di depenalizzare l’“aiuto al suicidio” che l’esponente radicale aveva attuato in forma pubblica e con clamore mediatico per raggiungere il suo scopo di totale liberalizzazione.
Carissimi amici e care amiche,
i sentimenti sanno farsi strada oltre la siepe dei sensi. In un’epoca in cui si tenta di sfumare ogni realtà in un grigiume senza contrasti, di abbassare gli orizzonti, sorge prepotente dentro l’anima un desiderio di chiarezza, una richiesta di senso, la voglia di definire i contorni delle cose nella loro giusta dimensione, la volontà di dare un ruolo alle persone.
A Copertino, suo paese Natale, da piccolo lo chiamavano Boccaperta per la sua abituale distrazione. Incapace di imparare un mestiere come quello del carpentiere o dello scarparo, servì per alcuni anni da garzone in un negozio. Qui si trovava meglio che a casa, perché la sua era una piccola stalla adattata ad abitazione umana.
Una storia dolorosa aveva influito enormemente sul suo carattere. Non gli mancava l'intelligenza, ma spesso non aveva di che mangiare. Suo padre Felice, "mastro di fare i carri", era uomo di fiducia dei signorotti del posto, che a Copertino avevano un castello. Non era evidentemente un nobile, ma di ceto medio ed economicamente se la passava abbastanza bene in paragone con gli altri paesani. Per questo si era sposato con Franceschina, una donna di famiglia economicamente discreta, industriosa e pia, che gli aveva portato in dote un piccolo patrimonio di ducati. Vivevano una vita tranquilla con cinque figli e in attesa di un sesto, quando accadde l'imprevisto.
23 giugno, sacerdote
«Le sue parole piombavano nel cuore come fulmini e toccavano così profondamente da portare al pianto».
di Enrico Pepe
«Le vergini! Non hanno sposato un uomo, ma Dio. Non hanno pochi figli, ma molti: tutti quelli che il Signore ha messo sulla loro strada: figli che come e più d’una madre naturale beneficano, incoraggiano, aiutano, istruiscono, sostengono, se vicini, attendono sempre se lontani, tutto sperando con la carità che è loro natura, con la preghiera presso lo Sposo loro onnipotente ed onnipresente».
di don Enrico Pepe
Ci sono persone che fin dall’infanzia sentono la chiamata di Dio alla verginità con una lucidità che ci lascia sconcertati. È possibile che un ragazzo di dieci anni come San Luigi Gonzaga o una fanciulla di tredici come Laura Cardozo – e tanti altri – facciano il voto di castità sapendone la portata? La risposta positiva è comprovata dalla loro esistenza vissuta gioiosamente su quella linea senza tentennamenti o ripensamenti.
Una fanciulla innamorata di Dio
Laura Evangelista Alvarado Cardozo nacque a Choroni, un paesino verso il centro-nord, sulle spiagge dei Caraibi, nello Stato di Aragua in Venezuala il 25 aprile 1875 da genitori cristiani. A cinque anni la famiglia si trasferì nella capitale dello stato, a Maracay, dove la bambina iniziò i suoi studi.
A tredici anni fece la Prima Comunione e fu allora che sentì la spinta interiore di consacrarsi a Dio e fece il voto di castità. Era la festa dell’Immacolata. La figura della Vergine resterà sempre la sua guida con l’impegno di imitarla.
A 17 anni vestì lo scapolare della Vergine del Carmine insieme ad altre compagne ed entrò tra le Figlie di Maria, fondate in parrocchia nel 1893 dal sacerdote López Acevedo. Laura aveva sempre aiutato le varie iniziative della comunità parrocchiale e, quando il parroco costruì nella città il primo ospedale dove i poveri venivano accolti e curati, contava soprattutto su di lei, ormai ventiquattrenne e le affidò la direzione e l’amministrazione della nuova opera.
Cofondatrice
In breve tempo si formò attorno a lei un gruppo che condivideva il suo spirito di donazione e il parroco, agostiniano recolletto, propose loro di costituire una congregazione di religiose che chiamò Agostiniane Recollette. Piacque l’idea e naturalmente Laura fu scelta come superiora e le fu dato un nome nuovo: Madre Maria di San Giuseppe.
Come avviene quasi sempre con le opere di Dio, la nuova fondazione fiorì con l’arrivo di molte vocazioni. Per la madre cresceva il lavoro: non doveva pensare solo all’ospedale, ma anche alla formazione delle nuove aspiranti alla vita religiosa. Lo Spirito Santo le diede il dono della sapienza per cui, nonostante non fosse molto istruita, aveva tanto buon senso e tanta esperienza delle cose di Dio da innamorare le giovani a vivere il suo carisma. E con loro allargò il raggio d’azione costruendo orfanotrofi, ricoveri per mendicanti, ospedali, scuole e altre opere, sempre per venire incontro ai poveri.
La sua lunga vita trascorse tra questi due amori che erano: Gesù con cui conversava nella preghiera e che riceveva con profonda fede nell’Eucaristia e Gesù che serviva con estrema delicatezza nei poveri. Nella città tutti la conoscevano e l’ammiravano: era diventata il rifugio di ogni umana miseria.
Quando a 92 anni lasciò questo mondo, il 2 aprile 1967, gli abitanti di Maracay piansero la sua scomparsa, ma quando Giovanni Paolo II la proclamò beata, il 7 maggio 1995, tutti i venezuelani fecero gran festa, perché era la prima volta che una venezuelana veniva elevata agli onori degli altari.
«Josefa Naval Girbés, privata nell’infanzia dell’affetto della madre terrena, trovò conforto nel totale affidamento di sé alle sollecitudini della Madre celeste».
Con queste parole Giovanni Paolo II nell’Angelus del 25 settembre 1988 poneva in rilievo una caratterista della vita di Josefa che nella sua non facile esistenza cercò sempre di “rivivere Maria” con un amore totalitario verso Dio e una donazione continua e gioiosa verso il prossimo, aiutando soprattutto le giovani a valorizzare la propria dignità di donne e a realizzare nella vita il prezioso disegno che Dio ha pensato per ognuna di loro.
Giuseppe Allamano ci ricorda che per restare fedeli alla nostra vocazione cristiana occorre saper condividere i doni ricevuti da Dio con i fratelli di ogni razza e di ogni cultura; occorre annunciare con coraggio e con coerenza il Cristo ad ogni persona che incontriamo, specialmente a coloro che ancora non lo conoscono.
Fu veramente fortunato l’Allamano, perché nipote di un prete santo, Giuseppe Cafasso, e alunno di un educatore anch’esso santo, don Bosco, e di questa fortuna egli seppe approfittarne bene.