Incontrare persone è sempre un motivo di gioia, è un soffio di umanità che rinnova la nostra stessa vita, soprattutto, quando i motivi dell’incontro sono nobili come questo momento di spiritualità in compagnia di San Giuseppe.
San Giuseppe è un nostro compagno di viaggio particolarmente ora alla vigilia di un anno dedicato all’approfondimento della nostra fede in Gesù, il Figlio di Dio, che Dio stesso ha dato in consegna a San Giuseppe per introdurlo nella nostra esistenza umana.
Un cordiale ben trovati in questo nostro appuntamento mensile in compagnia di San Giuseppe.
E’ un appuntamento carico di affetto, di stima e di ascolto nell’armonia di suoni che solo l’anima innamorata e ricca di fede sa esperimentare. Vogliamo questa sera parlare a «cuore a cuore» con San Giuseppe, il papà terreno di Gesù.
San Giuseppe ci è maestro non tanto per le parole che non ha pronunciato, ma per l’ascolto che sa dare alle nostre parole e alle nostre richieste. Il suo silenzio non è mutismo, ma è un silenzio illuminato da irradiazioni con tante sfaccettature che riflettono colori luminosi, quasi indicazioni di strade da percorrere per camminare nel giusto sentiero della santità, pienezza di beatitudine evangelica.
Ha scritto il Beato Giovanni Paolo II che «l’arte è conoscenza tradotta in linee, immagini, suoni, simboli che il concetto sa riconoscere come proiezione del mistero della vita», che sa andare oltre le apparenze, aprendo il profondo dell’anima per innalzarlo verso l’alto. L’arte è un tentativo dell’uomo per offrire una risposta alla nostalgia di bellezza, alle inquietudini dell’anima, alla voglia di luce. L’artista non è mai appiattito sugli orizzonti bassi, ma è sempre un cercatore del divino.
Anche l’ingegner Aristide Leonori ha messo il genio del divino nelle sue progettazioni; un genio che fioriva dalla coltivazione di una forte interiorità.
La lunimosità, calda e con intense vibrazioni di colore, è data da un complesso di 20 finestre decorate e da 17 vetrate istoriate, che si aprono, le une e le altre, scandite da piacevoli ritmi geometrici: le finestre, dipinte con colori tenui (Giuliani, su disegni del Cisterna, 1922) nelle altre pareti della navata centrale, che risulta in tal modo leggera e quasi aerea e dà slancio ed eleganza a tutto l’interno, e ai lati dell’abside; le vetrate istoriate sulle pareti delle navate laterali. Nelle vetrate istoriate che si aprono nelle pareti delle navate laterali, sono narrati gli attributi e i fatti principali della vita di San Giuseppe.
Il mosaico, che si presenta come un grande dipinto terminante superiormente ad arco,
è l’elemento qualificante dell’intera ristrutturazione. L’immagine mostra il Santo,
sulla destra, nel gesto di offrire due pani ai poveri
La canonizzazione di San Luigi Guanella è stata celebrata, nella “sua” basilica di San Giuseppe al Trionfale, con la ristrutturazione della cappella a lui dedicata, consistente in un vano rettangolare al fondo della navata destra. Tale rifacimento, affidato alla Domus Dei, è un omaggio della Pia Unione di San Giuseppe, particolarmente legata al luogo perché ne illustra la genesi. La cappella originale fu realizzata negli anni 1970-71, quando fu ricostruita la crociera della basilica, e decorata nel 1972. La cappella originariamente si presentava come quella che, a tutt’oggi, è al fondo della navata sinistra, e che è dedicata a San Pio X. La cappella era arricchita da un rilievo sul frontale, due pale laterali e l’altare addossato alla parete di fondo con sopra il ritratto dell’allora Beato Luigi Guanella, realizzato dal pittore romano Aristide Capanna. Nella ristrutturazione sono stati conservati il rilievo del frontale e i due dipinti laterali, mentre l’altare è stato avanzato e completato nel retro in armonia con la parte anteriore e, sulla parete di fondo, è stato realizzato un mosaico con nell’interno il tabernacolo.
I mosaici che “illuminano” l’abside, il catino absidale e l’arco trionfale che lo precede,
risalgono agli anni 1963-64 e sono stati eseguiti dai Fratelli Toniutti di Bollate (Milano)
della Scuola del Mosaico di Spilinbergo, su cartoni dei fratelli Pio e Silvio Eroli di Roma
I mosaici che ornano la facciata sono tre e sono collocati entro le lunette sopra i tre portali, risalenti alla costruzione della facciata, mentre i mosaici furono messi in opera nel 1937. Eseguiti dallo Studio Vaticano del Mosaico, presentano due angeli nelle lunette laterali e San Giuseppe col Bambino in quella centrale. Le figure sono colte tutte a mezzo busto per ottemperare le esigenze di visibilità in relazione allo spazio.
Il mosaico centrale presenta San Giuseppe che tiene, tra le braccia, il Bambino infante che allunga le manine quasi ad accarezzare la barba bianca del vecchio padre terreno. La dolcezza affettiva del gesto e dell’incrocio degli sguardi perfettamente si inserisce nell’ambientazione, offerta da un bosco rigoglioso, con in primo piano la pianta di melograno con i suoi frutti simbolo della Chiesa, che si apre su un lago dalle verdi sponde. La luce calda del giorno, ammorbidita quasi dal filtro degli alberi, avvolge i due protagonisti. Un bordo rosso perimetrale, appena visibile, accentua l’effetto di profondità.
L’arte non è una cosa puramente individuale, è un’istituzione sociale come la lingua,
l’architettura, la musica. è lo sviluppo di una tradizione che si modifica e cerca linguaggi
nuovi per offrire sempre un messaggio di bellezza, in particolare nell’arte sacra
Siamo quasi alla conclusione di questi «inserti» in cui abbiamo raccontato il pellegrinaggio storico della basilica di San Giuseppe al Trionfale. Abbiamo scritto le vicende del passato che hanno creato le condizioni favorevoli per l’inizio dei lavori.
Pur avendo solo cento anni la chiesa del Trionfale si presenta con dignità, raffinatezza e grazia come sintesi di un’opera d’arte che abilita e favorisce la preghiera. In questa fase conclusiva, dobbiamo condividere l’affermazione che «l’architettura è essenzialmente un’arte cooperativa»: infatti, l’ingegner Aristide Leonori è stato il tecnico e don Guanella è stato il mentore di alcune caratteristiche. Non dimentichiamo che è di don Guanella l’idea delle colonne marmoree delle cave di Baveno, sua l’iniziativa nel recuperare le porte smesse del duomo di Milano. L’arte, la pastorale e le esigenze dell’ambiente hanno consegnato alla storia una chiesa, ma soprattutto un’anima al popolo. Ammirando la basilica di San Giuseppe abbiamo la registrazione di un frammento importante della storia di questo Quartiere. L’uomo dimenticando ed escludendo Dio dalla sua vita non può fare altro che nutrire sentimenti di malvagia rivalità. Nella progettazione dell’ingegner Leonori emergono due elementi costitutivi: la lode a Dio e la dignità restituita agli abitanti poveri del Quartiere.
Per le nostre zone settembre è il periodo più generoso di frutti e alimenti donati dalla terra: dall'orto ai campi; gran parte delle risorse alimentari si raccolgono in questo tempo e tale è l'abbondanza che perfino le siepi sono piene di bacche e l'uomo, con gli animali, non riescono a utilizzare tutti i beni che sono a disposizione. Questo appare come uno spreco della natura, soprattutto agli occhi di coloro che un tempo potevano conservare pochissimo e avevano scarsi mezzi per farlo: la salatura, l'affumicatura, l'essiccamento al sole e in forno, la preparazione delle conserve, la messa sotto aceto, sotto spirito, sott'olio, ma si trattava di poche cose.
La natura però guarda lontano pensando a tutti e questa abbondanza esagerata torna utile per gli animali, molti dei quali si rimpinzano di tutto questo ben di Dio con una provvidenziale ghiottoneria. Molti infatti col freddo dovranno cadere in letargo e il grasso accumulato in questo periodo d'abbondanza servirà loro per vivere nell'inverno dentro le loro tane, sotto la terra, nel fango, nelle tane degli alberi, dentro gli alveari. Altri come gli uccelli si preparano alle migrazioni e anche loro hanno bisogno di riserve alimentari ed energetiche per attraversare i mari, percorrere immense distanze.
Se poco sappiamo circa l’infanzia e l’adolescenza di Gesù, ancor minori notizie abbiamo della fanciullezza di Maria. L’autore del Protoevangelo di Giacomo, scritto apocrifo del secondo secolo, racconta che all’età di tre anni Maria fu accompagnata dai suoi genitori Gioacchino e Anna al tempio, dove un sacerdote l’accolse e la benedisse, facendola sedere sul terzo gradino, cioè il più vicino possibile all’altare; il Signore effuse su di lei la sua grazia ed ella si mise a danzare.
Il racconto apocrifo nasconde un grande messaggio: il cuore di Maria fu sempre interamente dedicato a Dio solo. Come molte feste mariane antiche, anche questa nasce dalla dedicazione di una basilica in onore di Santa Maria, costruita dall’imperatore Giustiniano (527-565) a Gerusalemme e dedicata il 21 novembre 543, sul luogo in cui la Vergine avrebbe trascorso la propria infanzia consacrata al servizio divino.
Nella convinzione di rendere cosa gradita ai nostri lettori che leggono sulla nostra rivista gli articoli letterari del nostro stimato e prestigioso collaboratore, padre Ferdinando Castelli s.j., con il suo consenso pubblichiamo parte della prefazione al volume «Sentinelle dell’Assoluto. Monaci, frati e suore raccontati dagli scrittori». In questo volume si possono leggere quindici classici che hanno descritto monaci, frati e suore. Si passa da Dostoevskij a Luca Desiato, da Léon Bloy a Diego Fabbri, da Georges Bernanos a Mario Pomilio, da Gilbert Cesbron a Rodolfo Doni, ecc…
Thomas Merton è un giovane dalla vita disordinata e dissoluta, aspirante poeta. Visitando le basiliche paleocristiane di Roma, viene a trovarsi dinanzi al mosaico del Cristo giudice dominante l’abside dei Santi Cosma e Damiano. «L’effetto di quella scoperta fu terribile», confessa raccontando la sua conversione nel volume “La montagna dalle sette balze”. Fu il rivelarsi del divino sull’umano, dello spirito sulla materia, della vita sulla morte. «Fu là che vidi per la prima volta Colui che ora servo come mio Dio e mio Re, Colui che presiede e governa la mia vita». Che cosa ha visto, col passare dei giorni, scrutando l’immagine di Cristo? Ha visto «un abisso di amore e di pace, quell’abisso era Dio».
La rivelazione lo sconvolge; all’amore non si può resistere. A ventisei anni, nel 1941, entra nell’abbazia trappista di Nostra Signora di Gethsemani, nel Kentucky, consacrando la sua vita a cantare l’amore di un Dio che per noi si è fatto uomo, amandoci fino al dono supremo di sé. Il suo canto raggiunge i toni alti quando esprime la gioia del dono totale di sé a Colui che per noi ha donato tutto se stesso. Thomas Merton, morto nel 1968, è l’icona di una vita che si dona all’Amore.
La vita consacrata si fonda e si sviluppa su una verità sconvolgente rivelataci da San Paolo nella Lettera ai Galati (2,20): «Dio mi ha amato e ha consegnato se stesso per me». La conseguenza che ne deduce un’anima nobile, illuminata dall’Alto, è immediata: amerò Dio e consegnerò me stesso per Lui.
Ecco la definizione della vita donata totalmente al Signore. Mentre l’ateismo e la secolarizzazione rifiutano o accantonano Dio, negando o dimenticando la sua sovranità, la consacrazione religiosa si fonda sul primato di Dio e sulla fede nel Cristo redentore; stabilisce pertanto una vita nel regno di Dio, dilatando al massimo questo regno che il battesimo e la cresima hanno instaurato nell’anima.[…]
In questo volume presento sedici significativi testi sulla vita consacrata di altrettanti autori, narratori o drammaturghi. In essi ci si interroga sul significato di questa scelta, le sue motivazioni di fondo, le sue dimensioni, la sua incidenza sulla persona e sulla società, le difficoltà che in essa si incontrano, l’importanza dell’aggiornamento e della fedeltà al carisma del fondatore. […]
«La carrellata continua» ho intitolato l’ultimo capitolo del volume. In realtà, l’argomento richiederebbe una trattazione più vasta e articolata. Per motivi di spazio ho dovuto fermarmi, limitandomi a una sintetica ed essenziale presentazione di alcuni autori che sulla vita consacrata - non sui semplici preti, si badi, chè la trattazione sarebbe sconfinata - hanno pubblicato volumi particolarmente significativi. Se mi si chiedesse di sintetizzare in una semplice battuta la concezione che quasi tutti gli autori presentati hanno della vita consacrata, riporterei l’affermazione di Julien Green dopo aver incontrato Jacques Maritain, «consacrato» con la moglie Raissa in un «Ordine speciale»: «Mi trovavo dinanzi a uno di quegli uomini che danno l’impressione di essere venuti da un altro mondo».
La vita consacrata è la testimonianza di un altro mondo.