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Giovedì, 06 Settembre 2012 13:26

Settembre, il mese della frutta e dell'abbondanza per gli uomini e gli animali Featured

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di Carlo Lapucci

Per le nostre zone settembre è il periodo più generoso di frutti e alimenti donati dalla terra: dall'orto ai campi; gran parte delle risorse alimentari si raccolgono in questo tempo e tale è l'abbondanza che perfino le siepi sono piene di bacche e l'uomo, con gli animali, non riescono a utilizzare tutti i beni che sono a disposizione. Questo appare come uno spreco della natura, soprattutto agli occhi di coloro che un tempo potevano conservare pochissimo e avevano scarsi mezzi per farlo: la salatura, l'affumicatura, l'essiccamento al sole e in forno, la preparazione delle conserve, la messa sotto aceto, sotto spirito, sott'olio, ma si trattava di poche cose.
La natura però guarda lontano pensando a tutti e questa abbondanza esagerata torna utile per gli animali, molti dei quali si rimpinzano di tutto questo ben di Dio con una provvidenziale ghiottoneria. Molti infatti col freddo dovranno cadere in letargo e il grasso accumulato in questo periodo d'abbondanza servirà loro per vivere nell'inverno dentro le loro tane, sotto la terra, nel fango, nelle tane degli alberi, dentro gli alveari. Altri come gli uccelli si preparano alle migrazioni e anche loro hanno bisogno di riserve alimentari ed energetiche per attraversare i mari, percorrere immense distanze.


Così il mutamento di clima e l'inoltrarsi nel freddo è preparato da questa elargizione straordinaria della dispensa di Dio per gli uomini e per gli animali. È questo il mese in cui, nelle zone temperate, avviene anche l'ultima smielatura dell'alveare, perché il miele del periodo che rimane va lasciato alle api come riserva per poter trascorrere l'inverno, mentre scoiattoli, ghiri, topi, formiche completano i loro rifornimenti stivando nei loro buchi le provviste di semi secchi.
Difficile è scegliere tra tante piante che offrono i loro prodotti alcune più rappresentative o più importanti. Il fenomeno più comune è quello che vede una quantità notevole d'erbe, d'arbusti, di alberi giungere insieme alla fruttificazione, per cui molti proverbi rilevano questo fatto:
Settembre
l'uva arrossa e il fico pende.
Settembre cortese
anche le siepi ci fanno le spese.

I frutti selvatici

Una volta cominciava la raccolta dei frutti di macchia con lo scopo di farci marmellate e la stagione continua per alcune specie fino a novembre: more, scarnige, corbezzoli, giuggiole, sorbe, nespole, rosa canina. La frutta selvatica si raccoglie nei boschi, nelle macchie o sulle siepi lungo le strade. In particolare la rosa di macchia (Rosa canina) i cui frutti sono verdi, poi gialli e rossi a piena maturazione, si usava per fare sciroppi, marmellate, per aromatizzare liquori e vini, cucinare selvaggina e fare la conserva salata.
Tra la flora spontanea si trovano il dente di leone, la crepide, mirtilli e bacche varie.
Perfino i primi funghi si affacciano nei boschi, se qualche pioggia abbondante cade in un periodo caldo: si possono trovare soprattutto ovoli, ma anche porcini e altre specie con la stagione propizia.
Gran parte della frutta, spontanea e coltivata, appare concentrata in questo periodo: pesche, mele, pere, castagne, noci, mandorle, nocciole, fichi, uva, sorbe, more, ribes, lamponi, susine, mele lazzarole, giuggiole (tutta frutta da marmellate), e anche meloni e cocomeri, se il caldo persiste.
Gran parte di questi prodotti oggi non si raccolgono e non si mangiano più, ma in altri tempi di penuria si dedicava loro molta attenzione e molto tempo perché certe bacche e certi frutti si prestano ad essere conservati, con opportune attenzioni e precauzioni, fino nel cuore dell'inverno, periodo nel quale rappresentavano un'integrazione alimentare fondamentale, mancando alimenti importanti. I fichi, ad esempio, seccati, con uno spicchio di noce dentro, rappresentavano il companatico dei pasti minori, come la colazione e la merenda, soprattutto per i ragazzi. E così le noci, le castagne secche, le nocciole, le mandorle, le sorbe, le susine secche: tutti frutti pieni di calorie, che oggi si mangiano con moderazione e attenzione, in quanto siamo iperalimentati, ma una volta erano fonti di energie necessarie e la fame non conosceva problemi di digestione.

L’orto e le piante domestiche

L'orto offre ancora cipolle, ceci e fagioli sgranati, fagiolini, zucchini, pomodori, carote, spinaci, sedani, cardi, cicoria, peperoni, melanzane, carote, cavoli, patate, insalate diverse, scarola, rape, fagioli freschi.
A proposito dei peperoni c'è una curiosità: il pepe di Caienna che ancor oggi molti ritengono una spezia esotica anche per la sua straordinaria forza irritante, nasce in questo mese nei nostri campi. Dalle piante secche dei peperoni si tolgono i frutti essiccati per ricavarne i semi da usarsi nelle prossime seminagioni a primavera. Questi semi hanno la caratteristica di provocare un prurito fortissimo, molto più del frutto, fino a provocare addirittura dolore: ridotti in polvere venivano e venduti e usati comunemente per speziature forti sotto il nome fantasioso di pepe di Caienna.
Tipico frutto di questo mese è la zucca che matura nei campi e negli orti, vera leccornia per i porci, ma certe specie sono commestibili e appaiono sulle nostre tavole. Caratteristica fondamentale è che la zucca con particolari cure è conservabile e dura fino al profondo inverno, per cui veniva un tempo raccolta e posta in ambienti fuori dal gelo. I semi vengono ancora salati ed essiccati: erano i lussi dei mercati, delle fiere dov'erano venduti in cartocci, ed erano un mezzo passatempo e una mezza ghiottoneria nelle veglie invernali.
Con le zucche si faceva un gioco chiamato morte secca. Era un uso settembrino: un nome orribile per un gioco innocente. Se ne sceglie una piuttosto grossa, la si taglia al culmine in modo che se ne tolga un coperchio o un cappellino. La si svuota completamente, riducendola alquanto di spessore e quindi, con un coltello si praticano alcune aperture corrispondenti al naso, alle orecchie, alla bocca e agli occhi. Con alcuni stecchini, o con i semi, si fanno degli orribili denti, con uno stecchino e un seme la pupilla. Sul cappello s'infila una penna. Sul fondo della zucca si pone un mozzicone di candela e, venuta la notte, si accende, ponendo la morte secca, dai bagliori giallastri, su qualche colonna, a una finestra, dietro un cespuglio, la curva d'una strada di campagna, dietro un tabernacolo solitario, nascondendosi per vedere l'effetto che fa sui passanti.
L'uso, antico e diffuso in Europa era diffuso anche nelle feste con lanterne e rificolone, come l'otto settembre (l'Immacolata Concezione), o San Martino e fu portato in America dai colonizzatori dove è diventato Hallowe'en spostandosi alla vigilia d'Ognissanti: noi abbiamo gettato via il nostro per adottare la novità.
Con l'inizio del mese comincia a maturare l'uva, un tempo gioia dei ragazzi che invadevano a frotte le vigne con poca gioia dei contadini. Un uso particolare di questo tempo era la preparazione dell'agresto, un succo asprigno, ma appetitoso un po' come l'aceto. Era un condimento povero, oggi dimenticato. Agresto è il nome di una specie di vite da cui viene un'uva che non giunge mai a maturazione, ma si dava lo stesso nome in genere a tutta l'uva primaticcia, stenta, non ben maturata. Da questa, pestata nel mortaio ovvero stretta, si ricavava un liquido che veniva fatto fermentare e vi si potevano unire sale e varie erbe aromatiche (un po' come l'aceto balsamico). S'impiegava per dar sapore agli alimenti insipidi (rape, verdure cotte, cavoli, patate) e anche come condimento in genere, oppure stemperato nell'acqua per farvi una bevanda, e messo in tutto quello che non aveva sapore.

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