Sulle labbra silenziose di quelle foto possiamo immaginare sopra la nostra testa un coro di preghiere che accomuna tutti i credenti. Nei vialetti del cimitero, in quei passi lenti, accanto ai ricordi di tenerezze, donate e ricevute, ci accompagna l’eco di una preghiere di quando i nostri cari erano pellegrini sulle strade della vita, ma anche oggi affiora sulle nostre labbra e la vogliamo ripetere: «Signore, abbi pietà di chi dubita, dell’incredulo che vorrebbe credere, di noi prigionieri della vita, che andiamo avanti da soli nella notte, sotto un cielo non più illuminato dalla fiaccole dell’antica speranza».
Questa preghiera è sempre di inquietante attualità.
Ai nostri giorni, avendo tentato di cancellare dalle conversazioni la parola “morte” abbiamo svuotato il futuro e abbia accartocciato l’immortalità sino a ridurla ad una tomba senza speranza. Esiliando Dio dalla nostra vita è destino inesorabile uccidere la speranza e le motivazioni del nostro agire.
In noi la vita si muove sempre su linee parallele: il bene e il male. Nella scommessa sull’esistenza umana comunque vince sempre il bene: Gesù ha pagato per tutti il riscatto, ha stracciato la cambiale del nostro debito e ha permesso alla vita positiva, spesso sotto traccia e sotterranea di scorrere ininterrottamente e sfociare nel mare dell’eternità.
Tutti siamo dominati dal desiderio della vita e il progresso scientifico in tutte le latitudini ha come scopo primario sconfiggere la morte. Nella storia tutte le civiltà hanno lottato contro questa grande e beffarda intrusa della vita: la morte.
Ha scritto Jorge Borges, uno scrittore argentino, conosciuto e stimato da papa Francesco, che «La morte è un’usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare».
Molto prima di Borges, il celebre filosofo, scienziato, matematico Blaise Pascal scriveva della vita: «Per quanto bella sia stata la commedia in tutto il resto, l’ultimo atto è sempre sanguinoso». È una lacerazione drammatica nel tessuto dell’esistenza che tutti vorrebbero evitare.
Questa lacerazione dolorosa è iniziata quando Adamo si è fatto estromettere dal paradiso. Quell’uscita non è stato un semplice allontanamento. «Da quel giorno, Adamo - ha scritto da cardinale Jorge Mario Bergoglio - ha intrapreso il suo percorso di conoscenza di ciò che è bene e di ciò che è male e Dio non l’ha abbandonato, ma dal quel giorno il Padre si è messo in attesa, sulla porta di casa per scrutare l’orizzonte».
Da quel giorno lontano ogni creatura umana porta in fondo all’anima questa nostalgia di casa. Noi siamo radicati sulla terra e preferiamo fidarci del certo e del conosciuto. L’ignoto a tutti fa paura; anche Gesù ha chiesto al Padre che gli risparmiasse quel passaggio obbligato, ma nella sua confidenza ha detto «Sia fatta la tua volontà». Anche chi crede non fa eccezione, ma la vittoria della vita sulla morte con la risurrezione di Gesù ci dà la garanzia che lui ha vinto. Allora chiediamo la grazia di fidarci della parola di verità che con la voce di san Paolo ci invita a credere che il nostro corpo corruttibile si rivestirà di incorruttibilità e che questo corpo mortale si rivestirà di immortalità. Allora parteciperemo a quella pace divina che Gesù con la sua risurrezione ha riportato definitivamente sulla terra sempre che attende «cieli nuovi e di terre nuove».