La morte oggi ha molte facce: la gran parte ordinarie, come il morire di vecchiaia e malattia. Un certo numero di morti però è segnata dal clamore e dalla tragedia e su di esse si riempiono le pagine dei giornali. Ad esempio, recentemente una madre, angosciata e disperata, si è procurata dosi di sonnifero, le ha date ai propri due figli e, una volta assopiti, ha iniettato loro un potente veleno uccidendoli. Poi si è tolta la vita.
L’enciclica Humanae vitae ha segnato una grande novità nella vita della Chiesa: è la prima volta che un documento pontificio viene seguito e commentato dalla stampa mondiale con tanta attenzione e spirito critico – trapelano perfino anticipazioni e previsioni fin dai mesi precedenti – ed è la prima volta che il papa è oggetto di vignette umoristiche e soprattutto che il mondo cattolico si divide pubblicamente, clero compreso, nella ricezione del documento.
Già alla fine del mese di ottobre e ai primi di novembre, per tutti c’è un appuntamento fisso: la visita ai nostri defunti. In quella circostanza, la vista di volti familiari aprirà il panorama della memoria. Volti, ricordi, esperienze, date, contemplate senza fretta, susciteranno emozioni e sentimenti di un passato sepolto negli anni, ma vivo di speranza come il bulbo di ciclamino in attesa di primavera.
Nella giornata del 2 giugno il Papa ha ricevuto i rappresentanti dell’Unione italiana Lotta alla distrofia e altre patologie neuromuscolari. In quella circostanza papa Francesco non solo ha elogiato il loro spirito di servizio ma ha dato un colore al tessuto della varietà dei loro molteplici servizi. «La vostra presenza al fianco di queste persone – ha detto – garantisce un’assistenza amichevole, offrendo loro preziosi servizi in ambito medico e sociale». Il Papa ha elogiato le qualità umane dei membri dell’Unione. «Tra le caratteristiche del vostro servizio vi è la gratuità della prestazione, unita all’indipendenza da interessi o ideologie di parte. Gratuità che si accompagna però con la professionalità e la continuità. Ciò è ben richiesto ai vostri soci insieme con altre virtù: discrezione, fedeltà, attenzione, prontezza ed efficacia nell’intervento, capacità di intuire anche i problemi inespressi del malato, umiltà, serietà, determinazione, puntualità, perseveranza e rispetto per il malato in ogni sua esigenza.
Cara Antonietta, non ci siamo mai conosciuti personalmente, ma, con la tua tragedia mi sei entrata nel cuore, eri presente nella mia preghiera. La tua vicenda, sia per un affetto umano sia per una spontanea ammirazione, ha suscitato nel mio animo sentimenti di solidarietà. Pur nella positiva luminosità di queste emozioni, con vergogna, ti devo confessare che nei primi giorni in cui ti trovavi in uno stato comatoso, ignara della mutilazione degli affetti più sacri di una mamma, in cui era precipitata la tua vita, ero tentato di pregare Dio-Padre che riallacciasse sulla riva dell’eternità il ponte crollato che ti legava alle tue figliole. In quei giorni mi veniva in mente la biblica Agar abbandonata in un deserto affettivo. Nella tua vicenda c’era la volontà di cancellare le tue orme lasciate su un tratto di strada percorso in compagnia di una persona amata, c’era una follia da annullare e l’assenza delle tue figliole uccise dalla bufera di una feroce violenza.
Un prete di una parrocchia dell’hinterland milanese, qualche mese fa scriveva al Direttore del quotidiano “Avvenire”: «I ragazzi che ti vedono fuori dalla Chiesa con la stola viola in una brevissima pausa dalle confessioni ti guardano come un marziano...». Erano le sensazioni di un prete che esercitava la sua missione là dove si affollano i capannoni industriali e i grandi centri commerciali, realtà grigie che di sera e di notte si illuminano, giganteschi, come fossero cattedrali. In quel territorio «Pare che si muova tutto, tranne che l'essenziale», osserva il sacerdote. In effetti è così stridente il contrasto fra la Pasqua degli esodi in autostrada, delle vacanze, della televisione accesa nelle case, e la memoria della vera Pasqua, nella quale si rende di vibrante attualità l’uccisione di un Innocente, coperto di sputi e dileggiato dagli insulti. Si celebra quel corpo appeso a una croce che esala l'ultimo respiro, e poi, bianco e immoto, avvolto in un lenzuolo viene calato nel sepolcro.
Gli anni passano, il corpo invecchia, le malattie avanzano. La nostra vita, anche quando si fa faticosa e dura, è sempre immensa, unica, irripetibile. Non è vero che la giovinezza, la ricchezza, il successo, la bellezza fisica diano all’essere umano una sorta di supplemento di dignità su questa terra. In questa menzogna, purtroppo, le generazioni inciampano spesso. Non è vero che la vita sia degna di essere vissuta solo quando ci sorride ed è in discesa.
«Trattamenti progressivamente più sofisticati e costosi sono accessibili a fasce sempre più ristrette e privilegiate di persone e di popolazioni, ponendo serie domande sulla sostenibilità dei servizi sanitar». Lo ha scritto Papa Francesco nel messaggio che ha inviato a monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e ai partecipanti al meeting europeo della World Medical Association sulle questioni del “fine-vita”.