Un’altra mamma carcerata con i suoi due piccoli, in preda a un attacco di depressione acuta, li ha scaraventati giù per le scale della prigione uccidendoli. Non si contano i casi di uomini i quali, per gelosia o disperazione per l’imminente separazione, uccidono le proprie mogli e compagne, per poi rivolgere l’arma verso sé stessi. Aumentano anche gli eventi che vedono anziani che sopprimono il coniuge immobilizzato nel letto da una lunga malattia, motivando il loro gesto con la “pietà”. E che dire dei 70-80 mila aborti l’anno che si compiono nel nostro Paese? E’ una strage silenziosa, che non fa più notizia se non eccezionalmente.
Ci sono poi le numerosissime morti in incidenti stradali (circa 5-6 mila ogni anno senza contare le decine di migliaia di feriti gravissimi che rimangono menomati per sempre). Per lo più sono dovuti a distrazione e quindi siamo di fronte a omicidi veri e propri dove non c’è intenzionalità quanto piuttosto trascuratezza. E infatti è stata varata la legge sull’ “omicidio stradale”. La casistica delle morti tragiche potrebbe continuare (sul lavoro, per droga, criminalità) e tutti conveniamo che non si tratta certo di un elenco piacevole. Credenti e non credenti, cristiani e islamici, ebrei e induisti, buddisti e atei, agnostici e animisti: siamo tutti accomunati da una suprema domanda su quale sia il senso fondamentale del vivere e del morire e cosa ci attenda (o non ci attenda) “dopo”, nell’aldilà.
Nel convegno promosso dieci anni fa (25-26 gennaio 2008) dalla Pia Unione del Transito di San Giuseppe sul tema “L’arte di accompagnare all’incontro con la morte”, lo psichiatra Vittorino Andreoli disse una frase molto evocativa: «Anche da chi come me guarda le cose dalla “città della Terra”, c’è la sensazione che un elemento accomuni tutti, di fronte alla morte, credenti e non credenti. Ed è la paura. Una paura terrificante della morte. Che permane anche in chi ha incontrato Dio». Nella posizione di Andreoli c’è una realistica dichiarazione di debolezza di fronte al mistero della morte e anche una apertura alla possibilità, misteriosa ma affascinante, che “di là”, in Paradiso, qualcuno ci attenda e che la nostra vita possa proseguire così come ci è stato promesso da Gesù e insegnato dalla Chiesa (la nostra anima è immortale e i nostri corpi risorgeranno!).
Il vero punto oggi è verificare quanti di noi credano davvero che l’anima sia immortale e che i nostri corpi un giorno, alla fine dei tempi, risorgeranno. Appunto: ma quanti ci credono oggi? Un caso recente che mi è stato raccontato è quello di un uomo felicemente sposato da 40 anni, che in pochi mesi ha visto la propria consorte ammalarsi e spegnersi per un tumore del tutto incurabile. La signora non è riuscita a festeggiare il suo 60mo compleanno, spegnendosi un mese prima del proprio genetliaco. L’uomo si era sempre dichiarato ateo e, pur sollecitato a considerare l’ipotesi che l’Aldilà esista, lo aveva sempre gentilmente negato. Alla tragica e rapidissima morte della consorte ha subìto uno choc potentissimo. Ha deciso di far cremare il suo corpo e ha conservato parte delle ceneri nella propria abitazione. E ora, a distanza di un paio di mesi dalla scomparsa, afferma tristemente: «Di lei mi restano solo le foto!».
E allora, in prospettiva cristiana, ci chiediamo: come può oggi la Chiesa, cioè tutti noi, tornare ad annunciare quelle verità semplici che sono alla base del messaggio cristiano? Quanti oggi sanno cosa siano i “Novissimi”: morte, giudizio, inferno, paradiso? E quanti, anche tra coloro che “vanno a messa”, sono davvero fiduciosi che accada a loro quanto è accaduto al “buon ladrone”: «Oggi tu sarai con me in Paradiso»? La sfida per noi cristiani è tutta qui: parlare ai nostri familiari e amici, discutere, osare proporre e annunciare che la vita non finisce qui, che l’Aldilà esiste e che noi siamo fiduciosi che Dio, giusto e misericordioso insieme, ci accoglierà dopo averci perdonati e purificati.
E allora: «Io credo, o Signore, ma tu aumenta la mia fede».