Il numero degli italiani costretti a emigrare in altri continenti nella seconda metà dell’ottocento fu abbastanza elevato. Proprio in quel contesto temporale, san Pio X, allora vescovo di Mantova, ebbe a cuore la questione migratoria. In una domenica di agosto del 1887, nel corso di una visita pastorale a Castelbelforte, venne informato che entro pochi giorni si sarebbero trasferiti oltreoceano circa 300 parrocchiani. Rimase talmente turbato da tale notizia che volle subito far sentire il suo sostegno a coloro che a causa delle pessime condizioni di vita, soprattutto nelle campagne, erano costretti a lasciare la propria terra.
Il racconto di Luca, vivace e partecipe dell’angosciosa ricerca di Giuseppe e Maria, merita di essere meditato nella sua interezza e complessità. L’inattesa scomparsa di Gesù rappresenta infatti un imprevisto non solo per loro, ma anche per noi. Scopriremo però che l’avventura ha un lieto fine, e che comunque non si è trattato del capriccio di un fanciullo o di uno smarrimento premeditato così da creare suspense nel lettore, per quanto l’improvvisa assenza del giovane Messia abbia ugualmente suscitato una dolente sorpresa negli angosciati genitori.
Giuseppe, falegname e carpentiere per tradizione familiare, insegna il mestiere a Gesù, appena l’adolescente è in grado di manovrare i vari attrezzi. Il lavoro manuale per gli ebrei è sacro. Rabbini e sacerdoti del tempio, e gli stessi maestri della legge (detti impropriamente dottori della legge), hanno come Giuseppe i calli alle mani. Nel Qoèlet (o Ecclesiaste, come si traduceva fino a pochi anni fa il quarto dei libri didattici dell’Antico Testamento) si legge: “Accanto allo studio procurati un mestiere”.