Un’originale scala santa
di Violetta Ferrario
Scala nella chiesetta di San Giuseppe a Santa Fe, capitale del New Mexico (Stati Uniti)
Di “scale sante” ce ne sono molte, sparse nei santuari: in genere si tratta di costruzioni inserite in contesti che invitano a rivivere, nella preghiera, le sofferenze patite dal nostro Redentore nel suo immolarsi per noi o che vantano di possedere qualche reliquia legata alla sua Passione. Ma quella che si trova nella chiesetta di San Giuseppe a Santa Fe, capitale del New Mexico negli Stati Uniti, è veramente singolare. Nel 1872 il vescovo diocesano, monsignor Jean Baptiste Lamy, accolse un gruppo di quattro Suore di Loreto, e per dare loro un luogo di culto pubblico, fece costruire una cappella. Ne affidò l’incarico alla superiora, Madre Madeleine, con la condizione che la costruzione assomigliasse alla Sainte-Chapelle di Parigi, realizzata in stile gotico.
I lavori, affidati all’architetto P. Mouly, durarono cinque anni, e alla fine l’edificio risultò lungo 22,5 metri, largo 7,5 metri e alto 25,5 metri. L’opera, prima costruzione gotica in quelle zone, era esteticamente ammirevole: riusciva a creare un devoto raccoglimento. Ciò che però lasciò sbalordite le suore fu l’accorgersi che non era stata costruita la scala di accesso al coro. Al termine dei lavori il progettista era purtroppo deceduto, per cui si dovette cercarne un altro, ma tutti gli interpellati constatarono che lo spazio era insufficiente per la costruzione di una nuova scala.
Le suore iniziarono allora una novena a San Giuseppe, a cui era dedicata la chiesetta, pregandolo di intercedere in loro favore. Il nono giorno si presentò alla loro porta un uomo canuto, che tirava un asino, carico di semplici attrezzi e che manifestò la volontà di eseguire l’opera, ponendo la clausola di essere lasciato solo durante il suo lavoro. La proposta fu accettata, anche se ogni tanto le suore davano qualche sbirciatina, e tutte restavano perplesse nel vedere che usava solo una sega, un goniometro e un martello, senza fare uso alcuno di chiodi, ma solo di cavicchi lignei. Immergeva poi dei pezzi di legno in secchi d’acqua. Per rispetto le suore non vollero però intromettersi, e attesero la conclusione. Dopo tre mesi la scala fu pronta e l’uomo sparì senza lasciare nessuna traccia e senza chiedere il minimo compenso, nonostante le ricerche condotte dalla superiora, preoccupata di estinguere il debito. La scala che ancora oggi conduce al coro è a doppia spirale, apparentemente sospesa e senza punti d’appoggio, assemblata senza alcun chiodo e realizzata con un tipo di legno assolutamente sconosciuto.
E’ composta di trentatré gradini (gli anni di Gesù) che girano su due spirali di 360 gradi esatti, senza alcun sostegno centrale, così che tutto il peso deve necessariamente gravare sul primo gradino. Delle caratteristiche costruttive, queste, apparentemente contrarie alle più elementari leggi della fisica e della statica, tanto che le suore, in una fase iniziale, erano apparse piuttosto esitanti all’idea di utilizzare la scala. Eppure, a oltre centoquaranta anni dal verificarsi di quel prodigio, e nonostante sopporti il peso quotidiano di centinaia di persone, la scala non mostra alcun segno di minimo cedimento. Molti sono gli enigmi ai quali la ragione umana fatica a dare risposta: chi era quell’uomo? Da dove veniva? Come mai si presentò proprio alla fine della novena? Come fece, da solo, a progettare e realizzare una scala così perfetta, con una precisione delle curve montanti pressoché irrealizzabile date le cognizioni scientifiche dell’epoca? Da dove proveniva quel legno che nessuno fino a oggi è riuscito a classificare? Come può una tale scala, dopo tanti anni e dopo aver sopportato il peso quotidiano di centinaia di persone, non mostrare il minimo cedimento? Forse la risposta migliore è ammettere, con Pascal, che «l’ultimo stadio della ragione è che vi sono una quantità infinita di cose che la superano». Che sia stato veramente San Giuseppe a realizzare quest’opera? O che si sia servito di qualcun altro, ispirandogli il lavoro? In ogni caso, l’enigma legato a quella costruzione attira ogni anno oltre duecentocinquantamila visitatori provenienti da ogni parte del mondo. E tutto, grazie all’opera di quell’umile artigiano. O forse, di San Giuseppe in persona.