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Super User

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Lunedì, 07 Aprile 2014 12:49

Storie di uomini e donne

Dopo cento anni di storia un doveroso ri-volgersi al passato

di Graziella Fons

«Ogni comunità deve celebrare i suoi anniversari, rileggere la propria storia e rendere grazie per la maniera con la quale Dio ha vegliato su di loro nel corso degli anni». In questa memoria «si trovano la speranza e l’ardimento di cui abbiamo bisogno per affrontare nuovi rischi e accettare difficoltà e sofferenza con coraggio e perseveranza». Queste parole sono state scritte da Jean Vanier, un grande amico dei poveri, fondatore e animatore di tanti focolari della carità, chiamati in francese «arche», a favore di persone handicappate. 
Dopo cento anni di storia anche la Primaria Pia Unione del Transito di San Giuseppe ha desiderato rileggere la propria storia, trovare i grandi motivi di lode e ringraziamento a Dio per il bene compiuto e anche rivisitare le radici della speranza per attingere linfa vitale capace di fruttificare e offrire ai nostri giorni a volte così turbolenti e smemorarti motivi di speranza.
Mercoledì, 17 Giugno 2015 13:03

Dove siamo

Per venirci a trovare!
 


 

Mercoledì, 02 Marzo 2016 13:52

«Don Vincenzo, non perdere il tuo sorriso»

a cura di Graziella Fons

Quando si dice di una persona che è un “galantuomo”, si vuol rilevare quel grappolo di virtù umane che rendono positiva un’esistenza. Il beato cardinal John Henry Newman nel descrivere la qualifica di galantuomo diceva: «Essere galantuomo significa mostrare considerazione per gli altri, è l’equivalente di amare il prossimo come se stessi». Nella vita di ciascuno di noi abbiamo conosciuto persone, uomini e donne, meritevoli di questa definizione.

Un plebiscito per quest’attestazione, con certezza lo possiamo attribuire a don Vincenzo Savio, vescovo di Belluno-Feltre il 31 marzo 2004 all’età di cinquantanove anni. La sua giovane età, ma, soprattutto, la testimonianza del suo entusiasta zelo apostolico hanno promosso un coro di simpatia nei pochi anni in cui è stato vescovo nella diocesi Belluno-Feltre. Perché ne scriviamo? Perché don Vincenzo, come si faceva chiamare anche da vescovo, nelle ultime settimane della sua malattia mortale ha voluto che la porta dell’arcivescovado fosse aperta così che i suoi diocesani potessero dargli un “Addio”, così, “consegnarlo a Dio”, al momento della sua morte. Ci fu una grande partecipazione alle vicende della sua salute, soprattutto, per benefica e incoraggiante prospettiva pastorale che aveva suscitato nei tre anni della sua missione episcopale.

Giovedì, 04 Febbraio 2016 13:50

Aggrappati al tormentato filo della paura

Dal numero precedente della nostra rivista, padre Giovanni Cucci ha iniziato a trattare una nuova tematica per offrire un aiuto, per accompagnarci nello «spazio della fragilità» che riguarda comunque l’esistenza umana. Come introduzione al suo volume «Abitare lo spazio della fragilità. Oltre a cultura dell’homo infirmus» (ed. Ancora, euro16,00) riporta il dialogo di una scena di un film del celebre regista Woody Allen che proponiamo come beneficio ai lettori. Il nostro desiderio è il tentativo di offrire una scialuppa al nostro disagio fisico per accendere una scintilla di speranza.

di Graziella Fons

E' davvero strano che in mezzo alla valanga di saperi utili e inutili che andiamo accumulando per tutto il corso della vita che non rientri questo: imparare a morire. La contemporaneità ha fatto della morte il suo tabù, il più temuto e occultato, e ci lascia completamente impreparati ad affrontare la naturalità con cui la vita la abbraccia. La morte appare come un’interruzione, un interdetto del linguaggio più sconveniente di una stupidaggine, un dolore da vivere di nascosto, una intromissione che non mettiamo mai in conto, in nessun momento. Sulla morte non sappiamo che dire, neppure cosa pensare. È veramente una carenza enorme. 

Giovedì, 03 Dicembre 2015 10:49

Quando l’amore allunga la gioia di vivere

L’Alzheimer non ha travolto la storia di Bill e Glad

di Graziella Fons

La pagina evangelica delle beatitudini non è solo la descrizione di un modo di essere per essere contenti d vivere, ma il riconoscimento che nel mondo l’annuncio delle beatitudine è carne della storia umana. Già vivono con noi i puri di cuore, i misericordiosi, coloro che piangono per le tremende fatiche della vita, per la perdita prematura di persone care.

Anche le fatiche innegabili della vita matrimoniale sostenute con forza e perseveranza già rivelano un ventaglio di un umanesimo costantemente in bocciolo in attesa di fiorire per il canto delle beatitudine. Uno degli ingredienti per poter cantare la beatitudine è la preghiera.

Ai bambini tante volte viene evitato qualsiasi sforzo

di Graziella Fons

Il dolore dei bambini costituisce lo scoglio sul quale s’infrange la nostra rabbia di fronte al male nel mondo in cui i bambini sono vittime innocenti. L’irruzione di Gesù nella vita dell’umanità ha sconvolto ogni logica umana e là dove Gesù ha trovato la sua morte ignominiosa è spuntata la luce della speranza. Se la tenerezza di Dio nel cuore di Gesù ha trionfato sull’egoismo umano, allora si ha diritto di guardare il futuro illuminato dalla speranza. È una speranza che si modella lungo i sentieri tortuosi della vita. La palestra, dove si genera questo plasma divino, dono del Dio della vita, è la famiglia. Papa Francesco ha detto che «la famiglia da sempre è “l’ospedale” più vicino. Sono la mamma, il papà, i fratelli, le sorelle, le nonne che garantiscono le cure e aiutano a guarire». Gesù si è fatto uno di noi per conoscere il peso del soffrire e dare credito alla sua parola di consolazione; infatti: «Nessuna parola può essere credibile, se non sappiamo abitare i luoghi della sofferenza».

Venerdì, 03 Luglio 2015 14:59

Per Michelangelo la morte è madre

Osservando le tre “Pietà” del sommo artista

di Mario Carrera

 

La fede non solo ispira la fantasia dell’artista, ma lavora e plasma la sua stessa vita. Questa considerazione è evidente nelle opere artistiche di Michelangelo e, in particolare, nelle tre "Pietà" che egli ha scolpito. All’età di ventiquattro anni ha scolpito la “Pietà”, quella più nota, la “Pietà” per eccellenza che ammiriamo nella basilica di san Pietro a Roma. È un inno all’amore di una giovane madre che perde un figlio in modo drammatico. Un inno alla fede e alla rassegnazione. Con il passare degli anni il dramma del morire bussa alla vena artistica dell’artista fiorentino e la morte prende il volto nella “Pietà”. Le sculture delle tre “Pietà” nella vita dell’artista hanno un itinerario quasi privato. A ventiquattro anni scolpisce una bellezza sontuosa, pur nel dramma della morte del Figlio di Dio. Le ultime due “pietà”, quella del Museo del duomo di Firenze e quella del Castello Sforzesco di Milano, sono lo specchio del suo stato d’animo di fronte alla morte. “L’incompiuta”, a Firenze, nella fisionomia di Nicodemo che sorregge il Cristo ci dona il suo autoritratto, il suo volto. La “Pietà” di Milano, nominata abitualmente “Pietà Rondanini”, è l'ultima opera di Michelangelo. Ad essa il Maestro dedicò gli ultimi pensieri e anche le ultime ore di vita.

Mercoledì, 10 Giugno 2015 12:19

Il ruolo della comunicazione

Medico e infermiere come garanti dei diritti del malato terminale

di Flavia Caretta

Non si può dimenticare che l’elemento centrale in medicina, ma ancor più nella fase terminale, è trovare e mantenere con il paziente un canale di comunicazione, perché possa esprimere i suoi bisogni, le sue paure, i suoi interrogativi, cercando di far superare il senso di solitudine e di isolamento che spesso lo condizionano.

Ivan è stato un uomo che ha trascorso la sua esistenza ad insegnare «il mestiere di vivere» umano. Essendo maestro di vita, negli anni della sua esistenza ha incontrato una serie innumerevole di persone e la moglie Nadège ha dovuto «condividere» il marito con tanti uomini e donne che si erano rivolti a lui alla ricerca di un aiuto per superare gli ostacoli del loro vivere. 
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