Vivere l’amicizia richiede anche la capacità di stare bene con se stessi, con il proprio mondo interiore, e di saper accettare la solitudine. La solitudine è la situazione caratteristica di ogni essere umano, ma il celibe la avverte in modo particolare come rinuncia al rapporto esclusivo con un’altra persona; è una prova che si deve attraversare per poter conoscere il mistero d’amore di Dio, che è «più intimo a me di me stesso» (Sant’Agostino): la persona religiosa è essenzialmente chiamata a stare da sola con il Signore, come nota il vangelo a proposito della chiamata degli apostoli da parte di Gesù, «Ne costituì dodici che stessero con lui» (Mc 3, 14).
Un altro punto importante dell’amicizia autentica è l’aver superato la fase della vita corrispondente a quello che Freud chiamava il principio del piacere, che contrapponeva al principio di realtà. Il principio del piacere non riguarda soltanto le espressioni apertamente sessuali, ma anche gratificazioni di altro tipo, più sottili ma non meno deleterie, legate ad esempio al potere, ai ricatti affettivi, alla compiacenza al non poter dire ciò che si pensa perché tagliati fuori irrimediabilmente dalla considerazione altrui; in questo modo l’altro scompare come altro, esso è ridotto a una funzione, quella appunto di soddisfare la propria gratificazione: è stato ridotto a una cosa. Freud fa delle osservazioni acute sul carattere paradossale del piacere: esso non è altro che la morte del desiderio, allenta la tensione interna e con il tempo richiede dosi sempre più forti.
La vera amicizia può essere vissuta con coraggio e con franchezza, perché in questo caso la persona non è guidata semplicemente da un bisogno, ma da un valore etico: il bene dell’altro. I segni dell’amicizia autentica sono riconoscibili dall’apertura, dalla flessibilità, dall’assenza di possessività, dal desiderio di verità, dalla capacità di confrontarsi con gli altri e con le esigenze della vita, dalla disponibilità ad obbedire.
La persona affettivamente matura ha la propensione a cercare ciò che possa far felice l’altro, anche se comporta un sacrificio di sé; l’amicizia vissuta in autenticità di spirito e di intenti aiuta la persona ad aprire i propri orizzonti e a leggere nel cuore dell’altro.
Una delle forme più significative di relazione è data dall’amicizia; essa costituisce, insieme all’amore sponsale, il vertice dell’espressione affettiva della persona. L’amicizia è un bene prezioso per tutti, essa introduce nella vita il colore delle relazioni, è espressione di maturità affettiva e aiuta lo stesso rapporto con il Signore che ci ha chiamati amici (Gv 15,15). L’amicizia è una maniera di fare esperienza dell’amore di Dio, e insieme un possibile arricchimento e una purificazione del proprio essere.
Vogliamo ora contemplare un momento molto importante della vita di Pietro, sempre riflettendo la sua esperienza nella nostra, pensando cioè a quanto accadde a lui per comprendere quel che accade a noi: la trasfigurazione. “Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (Lc 9, 29-31).
La professione di fede di Pietro, che abbiamo contemplato in questi due nostri ultimi incontri, non finisce qui: ci aspetteremmo un lieto fine, ma in realtà le cose proseguono diversamente: «Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai” Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Lungi da me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”».
Proseguiamo con la nostra riflessione sul capitolo 16 di Matteo, sempre ricordando che nel contemplare la figura di san Pietro vogliamo ritrovare noi stessi, la nostra esperienza di fede, la nostra personale sequela di Gesù. Ci siamo lasciati con la solenne professione di fede dell’Apostolo, e la benedizione di Gesù: «Beato te, Simone…»: e noi beati con lui. Proseguiamo la lettura: «E io ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli. Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo».
Nei prossimi nostri incontri vogliamo esaminare un brano che ha avuto molta fortuna: il primato di Pietro. Lo possiamo trovare nel capitolo 16 di Matteo: “Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simone Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16, 13- 17).
Il finale della pericope che stiamo leggendo è il culmine della scena, la vera e propria vocazione di Pietro, nella quale troviamo rispecchiate le nostre. Ma leggiamo con ordine: «Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5, 8-11).
Proseguiamo con la nostra lettura di Lc 5: «Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. E avendolo fatto presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche, al punto che quasi affondavano».