Maria, la vogliamo sentire così: di casa. Mentre parla il nostro dialetto. Esperta di tradizioni antiche e di usanze popolari.
Donna a cui tutte le figlie di Eva, quale che sia la stagione della loro vita, possano sentirsi vicine.
Tutta nostra, ma senza gelosie. Sempre pronta a darci una mano. A contagiarci della sua speranza. A farci sentire, con la sua struggente purezza, il bisogno di Dio. E a spartire con noi momenti di festa e di lacrime.
Sì, è stata lei la prima a posare gli occhi sul corpo nudo di Dio. E l’ha avvolto immediatamente con lo sguardo. Prima ancora di avvolgerlo in fasce. Anzi, l’ha coperto subito nei panni, quasi per comprimere la luce di quel corpo e non rimanerne accecata. Eccolo lì, l’atteso delle genti lambito dagli occhi di Maria, come agnello tremante sfiorato dalla lingua materna.
Il Vangelo non dice nulla, ma i riferimenti biblici che alludono all’eleganza di Maria sono tantissimi. Basterebbe pensare a quel passo del Cantico dei Cantici nel quale la liturgia intravede, quasi in filigrana, la figura della Madonna che lotta contro le forze del male: «Chi è costei che sorge come l’aurora… fulgida come il sole…?».
Non è stata la “Madonna della seggiola” a suggerirmi questo titolo. Anche se la tela di Raffaello, che ritrae la Vergine finalmente seduta e con piccolo Gesù che riposa tra le sue braccia, evoca tutta una costellazione di immagini centrate attorno all’archetipo materno, che dondola la sua creatura per farla addormentare. Certo anche Maria, come tutte le madri, ha placato il pianto del suo bambino, stringendoselo al petto.
No, la Madonna non fu neutrale. Basta leggere il Magnificat per rendersi conto che Maria si è schierata. Ha preso posizione ed è stata dalla parte dei poveri, naturalmente. Degli umiliati e offesi di tutti i tempi. Dei discriminati dalla cattiveria umana e degli esclusi dalla forza del destino. Di tutti coloro, insomma, che non contano nulla davanti agli occhi della storia. Sta di fatto, però, che sul piano storico, Maria ha fatto una precisa scelta di campo. Si è messa dalla parte dei vinti. Ha deciso di giocare con la squadra che perde. Ha scelto di agitare come bandiera gli stracci dei miserabili e non di impugnare i lucidi gagliardetti dei dominatori. Si è arruolata, per così dire, nell’esercito dei poveri.
«Chi è il più grande nel regno dei cieli?». Con questa domanda, rivolta a Gesù dai discepoli, si apre il capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo. Dolcemente Gesù chiama a sé un bambino e lo addita come esempio: «Se non vi convertirete e non diventerete come questo bambino, non entrerete nel regno dei cieli». Nel Regno dei cieli ciò che a noi sembra importante è privo di valore, anzi, non ha neppure diritto di cittadinanza, mentre ciò che a noi sembra piccolo e spregevole è veramente grande.
Luigi Sturzo: prete, scrittore, economista, sociologo, sindaco, politico, deputato, fondatore di partito, esule, poi reduce, senatore a vita, sempre scomodo, ma tra un po’ persino beato: il cardinale Ruini nel 2002 avviando il processo lo ha detto “apostolo della politica”, e ora, 24 novembre 2017, al Vicariato di Roma si è chiusa la fase preparatoria in sede diocesana: 154 testimoni tra Italia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, e l’esame di 50 volumi di scritti vari. Avanti, dunque! Apprezzato nella Chiesa? Ora certamente, in passato qualche resistenza. Ma apprezzato anche in ambienti diversi. Per Gaetano Salvemini era «un’Himalaya di certezza e volontà». è don Luigi Sturzo. Contro quell’Himalaya sono andati a sbattere in tanti. Sesto figlio di un aristocratico di campagna, nasce a Caltagirone il 26 novembre 1871. Prete a 23 anni, ma a 20 la rivoluzione della vita gli viene dalla Rerum Novarum di Leone XIII.
Don Luigi: sono passati venti anni, ma non hanno cancellato la sua vitalità esemplare: uomo, prete, servo degli ultimi, perché servo di Gesù Cristo...
Tanti anni fa, una sera, con la commozione che l’istintiva ritrosia sua gli consentiva, di essere figlio di un emigrante clandestino negli Usa, recidivo e respinto più volte, per sfamare la famiglia, mi raccontò: «La prima volta che sono andato in America, una sera, ho camminato per ore sulle banchine del porto di New York... Era il cammino che tante volte lui, mio padre, emigrante per mantenere la famiglia aveva fatto da solo, quando arrivava e quando lo cacciavano...».
Don Zeno, il prete di Nomadelfia, un sogno divenuto realtà contro tutto e contro tutti, e insieme a favore di tutto e tutti. Ammirato anche da chi lo odiava. Difficile essere neutrali di fronte a uno come lui. Inimmaginabile per tanti, ma oggi reale, è in corso il processo di beatificazione…
Come lui pochi, prima, forse nessuno così fuori dagli schemi. Eccolo, dunque.
Zeno Saltini nasce il 30 agosto 1900 a Fossoli, presso Carpi, nono di 12 figli di una coppia di agricoltori agiati. A 14 anni lascia la scuola: così com’è la trova inutile alla vita, e va a lavorare nei campi. A 20 è militare a Firenze, e ascoltando un compagno dire che Gesù Cristo e Chiesa sono il vero ostacolo al progresso umano si rende conto di dover studiare per poter mostrare con la vita e la parola che Cristo invece è libertà e giustizia.
Contadino di nascita, alla campagna restò sempre fisicamente legato alla sua Bassa Padana. Papa Giovanni, due mesi prima che morisse, lo salutò così: “Ecco la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana!” Primo Mazzolari nasce nel 1890 a Boschetto di Cremona. A 22 anni è prete, viceparroco e professore di lettere, e per qualche tempo, a varie riprese, anche missionario tra gli italiani emigrati in Svizzera.